Ecco come la guerra mi ha lasciato in vita – Intervista di Le Ortique alla scrittrice palestinese Wesam Almadani

Wesam Almadani Friby forfatterWesam Almadani Friby forfatter

di Valentina Di Cesare e Viviana Fiorentino, ripreso dal sito Le Ortique, che pubblica l’intervista in italiano e inglese.

 


Latitudini/Latitudes

Wesam Almadani è una scrittrice palestinese, originaria di Giaffa, ma cresciuta tra il Sudan, l’Egitto e Gaza. Attualmente, vive in Norvegia. Almadani ha pubblicato due libri in inglese e arabo: il romanzo The body’s schizophrenia (Arab institute for research & publishing, 2020) e la raccolta di poesie ياء yaa, (Dar Al Kalima for Publishing and Distribution, 2015). I libri di Wesam sono stati tradotti in inglese, norvegese, svedese, ebraico e italiano. Come attivista, Almadani ha lottato per i diritti umani e la libertà di espressione pacifica, qualunque sia la religione, il genere o il background, sostenendo il diritto di tutti a vivere in pace.

 

Valentina e Viviana: Qual è la tua esperienza di scrivere e vivere con diverse lingue, l’arabo palestinese, il norvegese e l’inglese? In che modo le lingue si legano ai ricordi e alle possibilità di raccontare le tue storie e quelle palestinesi?

Wesam Almadani: Per una come me che è nata in Sudan, cresciuta in Egitto, poi si è trasferita a Gaza per vivere lì 20 anni, e poi ancora si è trasferita in Norvegia, è una domanda appropriata. La lingua è una cultura in sé, quindi quando impariamo una lingua abbiamo bisogno di imparare la cultura e la storia di questa lingua in modo da poterci scrivere e poterla usare nella scrittura creativa e letteraria. Pertanto, imparare la lingua norvegese non è stato così difficile come è difficile capire l’attuale cultura di questa lingua, e questo richiede molto tempo. Nonostante abbia letto la storia norvegese e studiato un po’ di storia culturale e linguistica norvegese, mi chiedo ancora: verrà il giorno in cui userò il norvegese nelle mie opere letterarie? D’altra parte, chiedersi chi sia il pubblico che mi legge, è una sfida tutte le volte che scrivo. Dopo l’esperienza di tradurre il mio lavoro in norvegese, la domanda urgente è diventata: chi è il mio pubblico, è un lettore europeo, norvegese o arabo? Ogni pubblico ha una certa aspettativa e preferenza quando si parla di gusto letterario. Come posso scrivere della violenza e dell’odio che subiamo sotto il peso della guerra in un linguaggio positivo che non danneggi il lettore occidentale, ma è abbastanza forte da riflettere la quantità di dolore che i palestinesi hanno sofferto e, al contempo, riuscire come scrittrice a essere onesta nell’esporre questo dolore? Come scrivo i sentimenti di una madre che ha perso i suoi figli, come adempio al suo diritto e come proteggo il mio lettore occidentale e mi assicuro che non soffra di depressione e tristezza di cui non è colpevole? Eppure lo scopo di questo lavoro è anche quello di mobilitare le voci a sostegno del diritto umano a vivere in pace. Pertanto, chi leggerà la mia nuova raccolta di racconti Ecco come la guerra mi ha lasciato in vita, troverà alcune storie che presentano la guerra in modo umoristico, come un missile che racconta la sua sofferenza tra la sua famiglia, o un pagliaccio che usa un pallone ad elio (per bambini) per sopravvivere.

Valentina e Viviana: Uno degli argomenti che affronti nei tuoi testi è l’omofilia nei paesi arabi. Potresti dirci di più su questo?

Wesam Almadani: Nel 2013, una mia amica lesbica si è suicidata mentre era incinta. La sua morte è stato un grande dolore per me e per i nostri amici, tuttavia è stata una luce che mi ha dato forza. Ho deciso di scrivere la sua storia e parlare della sofferenza di altre lesbiche di diversi paesi arabi, dando loro il diritto di parlare e donando loro una voce neutrale per parlare della loro sofferenza, delle loro esperienze e delle esperienze delle loro amiche che hanno lasciato questo mondo perché sono state uccise dalle loro famiglie o si sono suicidate. Il romanzo La schizofrenia del corpo vuole far luce su altri aspetti LGBT+, in particolare delle lesbiche, e dare al lettore l’opportunità di vederli da una nuova prospettiva. Per vedere che non sono esseri diversi, solo persone e non animali lussuriosi corrotti che vogliono violentare tutti e corrompere la società, come mostrano certi romanzi commerciali. Volevo anche mostrare l’entità della sofferenza a cui sono esposti, sia dalla comunità che li circonda, sia dalla speciale sofferenza interiore che li fa sentire non in pace e rifiutati. Non è un tentativo di imporre l’accettazione dell’omosessualità, ma solo di guadagnare la disponibilità e l’apertura degli altri, almeno come inizio. Nella speranza che la società fermi il giudizio contro gli omosessuali e smetta di infastidirli, nella speranza che in un prossimo futuro possano accettarli. Il romanzo è la storia di una donna araba lesbica nel suo viaggio di comprensione e la scoperta del conflitto dentro di lei tra ciò che è veramente e come la società araba vuole che agisca. Questo è ciò scatena molti dei fatti del romanzo. Il lettore avrà uno sguardo all’interno della società araba attraverso le storie e la vita di altre donne. Dopo il quarto capitolo, c’è un capitolo blu che contiene parti tratte da reali pagine Facebook di omosessuali, la loro società segreta, e i loro problemi nei paesi arabi, scritte nel loro dialetto (per mostrare che sono ovunque in medio oriente); ho lavorato almeno due anni nella raccolta di storie di vita reale in diversi paesi.

Valentina e Viviana: Norvegia e Palestina, due luoghi e culture molto distanti. Ci racconti gli aspetti più belli di entrambe le culture?

Valentina e Viviana: Sarebbe più facile guardare alle somiglianze tra noi umani ma ci concentriamo maggiormente sulle differenze: a cosa dobbiamo questo limite ancestrale?

Wesam Almadani: La risposta a entrambe le domande è: quando sento la parola Palestina, la prima cosa che mi viene in mente è la parola “Dar”, che significa casa, mio nonno e le mie nonne, le persone che in guerra aprono le loro case agli estranei per aiutarli, l’odore dei vecchi ulivi da cui mio nonno voleva che raccogliessimo le olive, una per una, per non danneggiare l’albero. L’intera famiglia si riuniva ogni anno per raccogliere le olive, tra risate e conversazioni affettuose. Palestina è una parola che significa famiglia, amore e compassione. Questa è la cosa di cui sono più orgogliosa quando parlo della nostra cultura. E quando penso alla Norvegia, sento l’aria fresca della libertà nel petto. Sento rispetto per la Norvegia e la sua gente, che è stata in grado di svilupparsi in un modo così meraviglioso; c’è rispetto, accettazione ed empatia per gli altri che sono diversi. La Norvegia è anche l’amore incondizionato con cui i miei amici norvegesi mi hanno circondato. Sfortunatamente, molte persone si concentrano sulla differenza e la usavano con intenti cattivi, come creare motivi di odio, discriminazione e divisione tra le persone. Ma se provassimo a studiare la mia esperienza in due paesi geograficamente distanti che hanno due lingue completamente diverse, scopriremmo che condividono molti bei costumi e tradizioni. Un esempio di ciò è il mantenimento del “Bunad” da parte dei norvegesi come abito nazionale, proprio come i palestinesi che mantengono l’abito contadino palestinese “althawb”, ed entrambi lo usano per celebrare. Un altro esempio è l’importanza della famiglia in entrambe le culture, nonostante i diversi modi di mostrare questo amore tra le due culture. Sono molto felice che i miei figli crescano in un paese con usanze e tradizioni antiche che consentono loro di conservare e comprendere le usanze che hanno portato dalla madreterra.

Valentina e Viviana: «Luce, saltavo dai suoi buchi, ricolorandola, dandole il dono della parola nonostante il silenzio del corpo». La luce ha parole, il corpo tace. Puoi dirci qualcosa sull’importanza della scrittura nella tua vita?

Valentina e Viviana: La tua poesia e la tua narrativa sono letteratura di testimonianza. Credi che possano, almeno in parte, trasformare l’odio, la rabbia, la paura tra gli esseri umani?

Wesam Almadani: Rispondo a entrambe le domande qui di seguito. Il mondo intorno a noi è diventato molto spaventoso e ingiusto. Sento che siamo tutti responsabili dell’ingiustizia. Quando viviamo normalmente le nostre vite mentre le guerre uccidono e distruggono la vita delle persone, quando l’industria e il commercio di armi legali e illegali continuano e quando le persone opprimono i gruppi minoritari nelle società conservatrici e rubano le loro vite.

Sento che il nostro dovere è mobilitarci per fermare tutto questo, oppure noi – con questo silenzio – siamo coinvolti nel sostenere questa ingiustizia in un modo o nell’altro. Scrivere è il mio unico modo per combattere tutto questo. Credo che la parola abbia un potere non inferiore a quello dell’arma di creare cambiamento, ma ha bisogno di tempo. Esiste un concetto chiamato Fusion of Horizons, reso popolare da Hans Georg Gadamer nel suo libro Truth and Method. Riconosce il fatto che tutte le persone sono limitate dai propri orizzonti. L’unico modo per comprendere meglio la realtà è entrare in un dialogo costruttivo e fondere i nostri orizzonti. ِMi sento totalmente d’accordo con questo punto di vista. Scrivendo su argomenti diversi da prospettive diverse, diamo alle persone l’opportunità di ripensare alle proprie posizioni e opinioni, diamo loro la capacità di comprendere i sentimenti degli altri. Ad esempio, quando ho scelto la guerra e i suoi effetti sulle persone in That’s how war left me alive (trad. Ecco come la guerra mi ha lasciato in vita), volevo mostrare il lato e le immagini che i telegiornali non potevano trasmettere. La guerra non finisce con la dichiarazione di un cessate il fuoco, la questione va oltre perché la guerra è un veleno lento che lascia una scia che avvelena la generazione presente, il futuro e forse oltre. Una persona che sperimenta la guerra non sarà la stessa persona che era prima. Questa persona e i suoi ruoli nella sua famiglia e nella società – involontariamente – trasmetteranno questo trauma in diverse forme a coloro che lo circondano, come trasformarsi in una persona violenta che danneggia gli altri o si ritira dalla socialità ed è travolto da una paura eccessiva che lo rende incapace di svolgere il proprio ruolo di padre o madre o anche di essere umano. Le parole sono finite e ci sono molti effetti che le parole non possono descrivere, e questo ovviamente si aggiunge ai danni fisici come la disabilità e gli effetti chimici che causano diversi tipi di cancro, ecc.

Di questo ho parlato del mio romanzo The body’s Schizophrenia (trad. La schizofrenia del corpo) in cui ho cercato di presentare le persone in modo realistico. Il sipario rivelava la loro sofferenza.

 

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Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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