Diario della mostruosità – Daniela Marcozzi

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Settembre – Dicembre 2022

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Sono una regista, performer, trainer e ricercatrice teatrale con base a Berlino, dove ho fondato la compagnia e progetto teatrale Marcozzi Contemporary Theater.

Ad ora, al centro della mia pratica artistica, c’è una parola chiave e guida: l’urgenza.

Cosa ci spinge ad esprimerci? Quali impulsi ci guidano? Cosa ci muove?

Mi interessa esplorare queste forze attraverso il movimento, le pratiche somatiche e di embodyment, espressione vocale, danza e teatro.

Inoltre sono molto interessata al modo in cui le scienze naturali, soprattutto biologia, fisiologia ed ecologia, possano interagire con le arti performative, arricchendole di imprevedibili letture. Avendo un passato accademico come biotecnologa ambientale, la mia pratica artistica si ispira – in modo pratico – a teorie e principi scientifici.

A dicembre 2021 a Berlino, abbiamo conosciuto Francesca Sarah Toich e il suo lavoro sulla Commedia dell’Arte nell’ambito di un workshop.

Esplorando i movimenti animaleschi di Pantalone, Zanni, Arlecchino e le loro pulsioni verso il potere, il desiderio sessuale, i soldi, il cibo, ho sentito nel corpo la radice di questi impulsi e mi sono posta molte domande.

Da quale schema somatico si sviluppano questi impulsi?

Dove si annidano nel corpo la fame di potere, di controllo, di obbedienza, e/o da quali schemi corporei vengono generati?

Bacino in apertura, petto in chiusura per Pantalone: quali sensazioni e visioni otteniamo da questo schema fisico-muscolare?

Una rumorosa domanda mi occupava la mente: se la Commedia dell’Arte fosse nata oggi, nel nostro mondo contemporaneo, quali sarebbero le urgenze dei personaggi? E a quali animali o entità si ispirerebbero i loro movimenti e la loro voce? (Infatti i personaggi della Commedia si ispirano al mondo animale da cui attingono gestualità, posture, sguardo, voce.)

Qualche giorno dopo il workshop, Francesca mi ha proposto di leggere i primi capitoli del suo libro Ad Bestias, un romanzo eco-distopico. Sotto il controllo di un regime ecologico, le donne sono inseminate artificialmente con feti di specie in via di estinzione. Possono dare alla luce cuccioli di tutte le specie e dimensioni, incluso un rinoceronte bianco, cucciolo di cui la protagonista del libro, Maya, è incinta.

Leggendo Ad bestias, ho immaginato che avremmo potuto tuffarci nella mostruosità di queste donne attraverso l’uso delle maschere: affidandoci al loro potere estatico le maschere, ci avrebbero permesso di toccare aspetti di noi (forse) ancora sconosciuti, radicali e impulsivi, animaleschi e non quotidiani.

Cosa significa animalesco? Quanto noi, esseri umani, siamo animaleschi?

Il romanzo Ad Bestias ha aperto la conversazione verso le cosiddette ‘tematiche ecologiche’, argomento a me molto caro. Ma più che un argomento, per me è ancora una domanda:

cosa significa ‘tematiche ecologiche’?

Riusciamo a sentire nel nostro essere il pericolo di estinzione della nostra specie?

Ci tocca davvero nel profondo questa possibilità – o certezza?

Infognati nel moralismo, nella politica del ‘fai la cosa giusta’, nella parola ‘green’ e nella fame di onnipotenza di poter addirittura salvare un pianeta, ho l’impressione che noi esseri umani pensiamo di risolvere i cosiddetti problemi ecologici aumentando il livello di complessità dello stesso sistema che li ha generati.

Cerchiamo risposte solo al di fuori di noi, evitando di sviscerare le nostre pulsioni di vita, di morte e di sopravvivenza, sia come individui che come specie.

E se i nostri abissi ci parlassero delle radici del desiderio, del potere, dell’amore, del dominio, della mediocrità, del fanatismo, del limite, della fame?

Spinta da queste domande, ho proposto a Francesca e alla mia compagnia di creare la performance monstrous e ho richiesto dei fondi che, con immensa felicità, abbiamo ottenuto!

Abbiamo così iniziato un percorso meraviglioso!

Il primo passo è stata la richiesta di collaborazione con la Famiglia Sartori, nello specifico con Paola Piizzi, Sarah Sartori e Walter Valeri. Francesca ha creato questa collaborazione e loro hanno accettato di far parte del progetto!

Nella nostra prima videochiamata abbiamo parlato del titolo monstrous – mostruosa/o – mostruosità. Le parole di Walter, Paola e Sarah sul potere estatico delle maschere di rivelare il mostro, di mostrarlo, appunto, mi hanno illuminato, così come la frase di Walter, che è poi diventata la mia frase guida del progetto: la maschera è la messa in abisso dell’umanità. 

Viaggiare negli abissi dell’essere umano, stare lì, al buio, nel profondo, senza la necessità di portare alla luce l’abisso!

La luce esiste in ogni caso.

Questa era esattamente la mia visione. Far scorrere l’abisso dell’essere umano e le contraddizioni sulla sua stessa sopravvivenza, attraverso la maschera.

L’immensità mi attrae, e le maschere che la Famiglia Sartori ci hanno offerto ci hanno presi per mano, più o meno violentemente, e condotti lì, nell’abisso.

Senza paura! Per fortuna c’è il grottesco a salvarci, e soprattutto c’è la musica! Senza la necessità di dare risposte moralistiche a problemi ecologici, la maschera ci ha condotti verso una radice di sopravvivenza, assurdità e bellezza. Finalmente, dove le quotidiane categorie del bene e del male si confondono, dove si perdono le coordinate del giusto e dello sbagliato e si cerca di toccare l’immensità. Riuscendoci? Ahaha!

A Settembre 2022 abbiamo condotto la prima fase di ricerca a Berlino.

Le maschere Sartori non erano solo maschere della Commedia, erano di diversa natura e di diverso materiale. Come aprire il dialogo con queste maschere?

Fra i vari esercizi che abbiamo proposto, ne abbiamo creato uno, a mio avviso, molto interessante: partiamo da un personaggio della Commedia, facciamo una breve improvvisazione in dialogo con la musica dal vivo, e durante l’improvvisazione il performer si avvicina verso le nuove maschere e ne sceglie una, tenendo ancora indosso la maschera della Commedia. Il performer toglie la maschera della Commedia e indossa la nuova e continua l’improvvisazione.

Cosa succede ora? Cosa resta del personaggio della Commedia nella nuova maschera?

Come si trasformano gli impulsi della maschera della Commedia nella nuova? Come si trasforma la fame di denaro, la chiusura del petto e l’apertura del bacino di Pantalone, nel nuovo personaggio? Dove si sposta, a livello somatico, l’impulso, l’urgenza del personaggio?

Questo è stato un passaggio fondamentale che ci ha permesso, almeno nella fase iniziale, di traslare le urgenze dei personaggi della Commedia alle nuove maschere.

La musica è stata fin dall’inizio un elemento cardine del nostro lavoro. Nella mia compagnia lavoriamo molto con la musica dal vivo. Abbiamo la fortuna di collaborare con il musicista, performer e compositore Luis De Cicco che oltre ad essere un talentuosissimo musicista è anche un performer teatrale, vocalist e danzatore.

La musica non è un accompagnamento esterno al processo, ma vi entra a vele spiegate: è guida e attivatrice. Non c’è priorità fra il lavoro del performer e la musica: si influenzano vicendevolmente in un organico interplay.

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A Berlino, il primo novembre iniziamo le prove per andare in scene il 7 dicembre, all’ACUD Theater di Berlino, uno dei teatri indipendenti più vibranti della città.

Iniziamo con la scelta delle maschere e dei personaggi: da quale maschera ci sentiamo chiamati? I personaggi dello spettacolo sono: Clemente – il dottore, Ilde – l’infermiera, Maja 1 – la donna incinta di un rinoceronte, Maya 2 – la donna incinta di un’alga gigante, il musicista/avventuriero, e due maschere neutre.

Ognuno di noi ha condotto un percorso di ricerca del movimento e della vocalità per dare vita al vocabolario espressivo del personaggio-maschera.

Ad esempio Stephanie Day ha interpretato Maya incinta del rinoceronte e ha scelto la maschera didattica americana. Un occhio rotondo e uno triangolare, il mento a punta, color panna. La sua ricerca ha inizialmente toccato i seguenti temi: il lavoro sulla gravità per esplorare il peso del feto, gli spasmi del corpo causati dal movimento del feto, il forte dolore fisico dovuto alla crescita del feto nel corpicino della donna.

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Nel corso del processo Stephanie ha sentito la necessità di cercare altre caratteristiche che potessero aprire il suo lavoro espressivo, rendere il corpo meno rigido e quindi ampliare lo spettro di complessità del personaggio. Abbiamo identificato altri temi, come ad esempio: cosa significa essere madre? C’è tenerezza nell’essere incinta di un rinoceronte? C’è un attaccamento, una relazione, fra la donna e il feto?

Così abbiamo incluso delle scene in cui lei e la Maya incinta di un’alga, avessero l’opportunità di toccare a fondo la loro maternità, il dolore, la curiosità e la trasformazione del loro corpo.

Per la trasformazione del loro corpo, ci siamo affidati alla costumista Susanne Kasper, una collaborazione di lunga data. I suoi costumi hanno avuto un ruolo drammaturgico cruciale: si modificavano a favore della trasformazione delle due donne incinte.

Ad esempio nel caso della Maya incinta dell’alga, interpretata da Melissa Derio, dalle maniche del suo costume si allungavano elegantemente delle alghe filiformi, dando al movimento una qualità oscillatoria e galleggiante.

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La necessità di aprire il personaggio a maggiori sfumature è stato un tratto comune anche ad altri performer. Ad esempio nel mio caso una forte infiammazione del ginocchio destro mi ha bloccata per vari giorni. Il mio personaggio era Ilde, la ‘cattiva’, la fanatica, l’unica nella drammaturgia a credere pienamente nel regime e nei suoi metodi.

Immaginavo Ilde molto dura, una persona che segue una direzione univoca che, addirittura, la porterà verso il suicidio offrendosi in pasto alle bestie.

Fanaticamente invasata del regime, innamorata delle bestie – tranne che della bestia-uomo – e nutrendo smisurato odio verso gli esseri umani incapaci di combattere cause più grandi della propria limitata vita, Ilde, la prima infermiera della clinica, anni prima partorisce uno yak, offrendo volontariamente il suo grembo per questo miracoloso concepimento.

Inizialmente il mio lavoro fisico era in chiusura, duro, rigido, con muscoli tesi, ed un cattivissimo movimento dell’anca destra. Non ha funzionato! Dopo un paio di settimane il ginocchio si è infiammato. Dovevo cambiare. Cosa c’era dietro la sua mostruosità? Guardando dei documentari, mi sono lasciata ispirare dall’enorme dimensione dei polmoni degli yak: vivendo ad altissime altitudini, nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato una enorme cavità polmonare. Ilde doveva respirare diversamente: la sua mostruosità doveva incentrarsi su un generosissima respirazione. Questo lavoro mi ha portato a toccare a una grande tenerezza e giocosità, permettendo a Ilde di accedere al suo fanatismo da una radice di bellezza e amore per le cosiddette bestie, piuttosto che da una radice di chiusura e rabbia. Questo lavoro di apertura è stato illuminante. La maschera ci chiede di aprirci, anche se si tratta di un personaggio in chiusura. Questa azione di apertura rompe il moralismo e il giudizio perché il performer incarna una squisita complessità.

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Agli antipodi della radicalità e del fanatismo di Ilde, si colloca il personaggio del dottore, Clemente, interpretato da Francesca Sarah Toich. Nonostante Clemente ricopra un ruolo di prestigio all’interno della clinica in cui si svolge la storia, è poco più che un raccomandato di mediocre spirito e senza spina dorsale, come viene definito da Ilde.

Nello spettacolo la psicologia di Clemente, che può essere descritta dalla terribile espressione ‘faccio solo il mio lavoro’, emerge in particolare da due scene in cui una voce fuori campo accompagna la performer Francesca mentre ruota su se stessa al centro del palco, come fosse la presentazione di un personaggio di un video game.

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A livello registico e drammaturgico abbiamo creato una narrativa testuale abbastanza semplice per portava avanti i punti salienti della storia grazie a dialoghi e voce fuori campo. Questa struttura di narrazione testuale ha facilitato la presenza di scene più astratte ed evocative, in cui la danza, il canto e la musica aprivano lo spettro di espressività e di lettura dello spettacolo. In queste scene le  donne incinte hanno instaurato una connessione intima con il feto che portavano in grembo, tanto da trasformarsi completamente, a fine spettacolo, in queste creature, diventando un unico essere.

Trasformazione e metamorfosi sono state delle importanti parole guida sia per la regia dello spettacolo e sia per l’interpretazione dei sopracitati temi ecologici.

Le donne diventano altro, così come avviene in ogni istante nella vita. A partire dalla più semplice azione involontaria della respirazione, ogni essere vivente costantemente si trasforma e diventa altro, mangia e respira prodotti e sottoprodotti del metabolismo di altri esseri viventi, scambia energia e materia con l’eco-sistema, essendone parte integrante ed attiva. Nel mio lavoro di regia quello che faccio è cercare di vedere questa rete di connessione invisibile e condividerla con gli altri.

Abbiamo inoltre deciso di usare le maschere neutre per portare in scena il regime ecologico come un vero e proprio personaggio. Capaci sia di interagire fisicamente con i personaggi e di essere serve/i di scena, le maschere neutre hanno conferito allo spettacolo l’estetica della deumanizzazione e del controllo, rendendo il regime come una pressione fisica che spinge, preme e tira i personaggi.

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Lo spettacolo si conclude con la figura del musicista-avventuriero.

Per noi il suo personaggio è sempre stato il supernatural, un’inspiegabile forza esterna alla storia vera e propria che fa scorrere le cose così come devono scorrere.

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Il supernatural è il potere estatico della musica di muovere il corpo verso la ricerca di se stesso e dei suoi conflitti, assecondare il ritmo, amplificandolo, affidandosi alla radicale bellezza salvifica del suono, come fosse un respiro.

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La distopia ci ha permesso di prendere le distanze dal nostro terrificante presente e guardare con una prospettiva leggera e non moralista gli aspetti mostruosi e grotteschi dei personaggi, persino ridendo delle loro movenze e caratteristiche (pare che questo sia anche uno spettacolo che fa ridere il pubblico!)

Ci siamo messi nelle mani della distopia per trovare il coraggio dell’utopia?

La mia utopia è di far danzare i nostri mostri abissali al rosso del fuoco, sulla sabbia, al suono di musica assordante, sudando. Le onde lavano via il superfluo. Sentiamo la vita scorrere nelle cellule.

 

“A direction, a weight, a breath

Most humans are like that

Monstrous is the mirror that multiplies

Our body is the tragedy, whether strong or weak,

Every inch of skin is a vast abyss”

 

Una direzione, un peso, un respiro

Gran parte degli umani sono così

Monstrous è lo specchio che moltiplica

Il nostro corpo è la tragedia, sia esso forte o debole

Ogni centimetro di pelle è un vasto abisso

 

 

 

 

Foto di Veronika Pokoptceva

 

Riguardo il macchinista

Walter Valeri

Walter Valeri poeta, scrittore e drammaturgo è stato assistente del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Ha fondato il Cantiere Internazionale Teatro Giovani di Forlì nel 1999. Successivamente ha diretto il festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti a Cesenatico nel 2008 e L’Orecchio di Dioniso a Forli' nel 2016. Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro. Opere recenti Ora settima (terza edizione, Il Ponte Vecchio, 2014) Biting The Sun ( Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015) Parodie del buio (Il Ponte Vecchio, 2017) Arlecchino e il profumo dei soldi (Il Ponte Vecchio, 2018) Il Dario Furioso (Il Ponte Vecchio, 2020). Collabora alle riviste internazionali Teatri delle diversità, Sipario, lamacchinasognante.com Dal 2020 dirige i progetti speciali del Museo Internazionale della Maschera “Amleto e Donato Sartori”. È membro della direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge (USA).

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