I generi letterari adatti alla guerra: Scrittori in Ucraina sulla letteratura – Zarina Zabrisky

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L’appartamento distrutto della scrittrice  Olga Kryazhich, foto per gentile concessione della stessa

pubblicato il 26 ottobre 2022 in The Paris Review

CORRISPONDENZA

Traduzione italiana di Pina Piccolo dall’originale inglese.

 

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio avevo quasi finito una bozza del mio romanzo, così tra la distruzione e la devastazione che sono seguite, continuare il mio romanzo sembrava impossibile. Di conseguenza mi sono orientata verso il giornalismo, che per me era sempre stato un lavoro part-time e ora sono sette mesi che lavoro come corrispondente di guerra in Ucraina. Ho scoperto che riesco a leggere solo corrispondenze di guerra e quindi mi trovo costantemente a rileggere In prima linea: tutti gli articoli e i reportage di Marie Colvin. Mi sono interrogata sul ruolo della letteratura, soprattutto in tempo di guerra: dobbiamo semplicemente lasciare che siano i documentari e le notizie dei quotidiani a prendere il sopravvento? O troviamo, e offriamo, una via di fuga da ciò che è impossibile sopportare?

Ho iniziato a porre queste domande ad altri scrittori e sono rimasta stupita dalle varietà delle loro risposte. Cinque scrittori ucraini delle regioni di Donetsk, Luhansk e Kharkiv, tutte zone devastate dalla guerra, mi hanno parlato dei generi che hanno letto e in cui hanno scritto durante la guerra. A Kharkiv, un professore di letteratura mi ha parlato dei suoi libri rari bruciati nella stufa dall’esercito russo. Mi ha anche parlato di un ufficiale ucraino che cercava consigli di lettura il giorno prima di essere ucciso al fronte. “Penso che un’opera letteraria epica non sarà scritta se non alla fine della guerra”, scrive Serhiy Zhadan. D’altra parte, dice Lyuba Yakimchuk, “Il compito dei poeti è di esprimere a parole i sentimenti indicibili”. Anche Olga Kryaziach, il cui appartamento e i cui libri sono stati bruciati dai russi, legge e scrive sul suo iPad, prendendo appunti per un futuro diverso.

Iya Kiva

A causa della guerra, inizialmente mi sono trovata disorientata sul piano dello spazio. Una volta, mentre tornavo in un appartamento che avevo affittato, ci ho messo delle ore a capire dove fossi o come ci fossi arrivata. Vivevo in un complesso abitativo di stile sovietico chiamato khrushchyovka circondato da edifici identici, e non riuscivo a capire quale di quelle khrushchyovka fosse all’epoca la mia casa Tremavo e non riuscivo a respirare. In un altro degli appartamenti in affitto dove ho abitato, entrando battevo regolarmente la testa. A casa mia, dopo essere entrata dovevo girare a sinistra, ma in questo nuovo spazio dovevo girare a destra.

Riesco a scrivere? Sì e no. Da un lato, preferisco che non siano gli altri a raccontare la mia storia e le storie dei miei cari, come hanno fatto gli autori russi scrivendo poesie durante le prime settimane dell’invasione. Però per me scrivere ha comportato uno sforzo piuttosto che essere il risultato di un’esigenza interiore; anche brevi appunti di diario sono incredibilmente estenuanti. Ho anche notato che tutte le mie poesie parlano dell’incapacità di parlare. Questo vale sia sul piano tematico che su quello della struttura, comprese le pause e la gamma piuttosto ristretta di idee. Ora la mia modalità di scrittura assomiglia a uno spartito del silenzio.

Durante i primi mesi dell’invasione su vasta scala, leggere era simile ad apprendere una nuova lingua. Non l’ucraino, il polacco o l’inglese, ma il linguaggio in sé. così com’è, come capacità di comprendere il significato di parole particolari, di combinarle, creare espressioni e frasi, correlare ciò che hai appena letto alla tua esperienza. A un certo punto del mese di marzo mi sono resa conto, con stupore, che anche se una sola parola in una intera pagina di testo era capace di suscitare associazioni nella mia mente, si trattava di una cosa positiva. Cioè significava che non avevo ancora disimparato a pensare.

Dal 24 febbraio l’unico libro che sono riuscita a leggere dall’inizio alla fine è I Blame Auschwitz (“Do la colpa ad Auschwitz”) di Mikołaj Grynberg. È importante sottolineare che l’ho letto nell’originale polacco. Ho notato che ora mi è più facile leggere in lingua straniera. È come se stessi sintonizzando la radio della guerra su altre frequenze.

 

Serhiy Zhadan

Per l’arrivo di un’opera letteraria epica credo che bisognerà aspettare la fine della guerra. Per ora, c’è solo spazio e tempo sufficienti per le riflessioni dirette. Tutto il resto – romanzi e poesie – cioè testi che richiedono una continuità di tempo – emergerà in seguito. Invece, l’umorismo è una questione completamente diversa. Mi sembra che anche nelle nostre circostanze attuali, gli ucraini non abbiano problemi con il loro senso dell’umorismo o dell’ironia. Penso che sia prova del potere della fede, e questo lo dico da agnostico.

Per quanto strano possa sembrare strano, sto rileggendo Bruno Schulz. Lo sto leggendo nonostante non abbia scritto di guerra, ma forse è proprio per questo. Voglio continuare a tradurre Paul Celan e penso che arriverò a farlo dopo la nostra vittoria. Ma per ora non lo leggo. Per me, le poesie di Celan sono sempre calate in un’atmosfera da “dopoguerra”. È improbabile che possano essere scritte negli anni Trenta. Durante la guerra non ci sono né poeti né non-poeti; c’è chi è pronto a combattere e chi no.

 

Olga Kryaziach

Il 25 febbraio ho infilato i miei documenti nello zaino, ho preso il mio gatto e sono andata a casa dei miei amici più cari. Per quasi tre settimane abbiamo trascorso il tempo con i nostri soldati al fronte: abbiamo cucinato cibo e infornato pane per i guerrieri ucraini. Abbiamo difeso la nostra città al meglio delle nostre capacità. Dopo non sono più tornata a casa. Vi ho lasciato vecchie icone, fotografie e cose varie. Avrei voluto prenderle, invece ho preso il mio gatto.

Non sono in grado di vivere senza libri: avevo molti libri, la mia biblioteca. Ma i russi l’hanno bruciata, insieme all’appartamento. Quindi ora ho gli e-book sul mio vecchio iPad. Ed è lì che tengo anche gli appunti per i miei libri, per il futuro.

 

Lyuba Yakimchuk

Durante la guerra, le forme brevi sono le migliori perché siamo fuggiaschi e viviamo la vita in frammenti. Non c’è tempo per la lettura di romanzi. Non c’è sollievo nella letteratura; il sollievo si trova nelle notizie e nella cronaca: la distruzione degli arsenali russi e le forniture di armi all’Ucraina. Tuttavia i meme, le canzoni e le poesie sono forme che continuano ad essere efficaci. Queste tipologie di testo formano una narrazione collettiva.

Un grandissimo numero di persone ha perso le parole a causa della guerra. Questo è esattamente ciò che ci dicono: non ci sono parole per parlare del dolore che abbiamo vissuto. Quindi il compito dei poeti è di tradurre sentimenti indicibili in parole. Oltre alle parole, i poeti devono anche trovare la forma e il ritmo, elementi che contribuiscono a inserire nel testo emozioni complesse e potenti. E forse in tal modo, forse, chi legge inizia ad acquisire la capacità di parlare del proprio trauma, adottando le parole e i testi degli altri come propri. Ciò li aiuta a elaborare i traumi. Almeno spero che sia così.

 

Olena Stenova

Qualsiasi genere letterario è adatto durante la guerra. Ho scritto poesie, satira e fiabe. Poesia: che sia in rima o meno, ti consente di dire di più rispetto alla prosa. Satira: oh, è l’arma migliore per la guerra. E le fiabe hanno una forte funzione terapeutica. Servono a descrivere il nemico, il tempo dell’occupazione e della guerra, ma in un modo che non fa male. La mia raccolta di fiabe, Kazki pani Mishі, è uno studio dei miei traumi militari personali. Le scrivo online, su Facebook, e le pubblicherò dopo la guerra. Piacciono sia ai bambini che agli adulti. La gente ha bisogno di credere che arriverà qualcuno forte a proteggerla e che sarà “proprio come ha detto la strega”. Ho visto cose durante la guerra che se le scrivessi verrebbero considerate frutto del genere fantasy. Allora, che si scriva pure di alieni.

Sto scrivendo un fantasy che racconta la storia di Malusha, custode delle chiavi della città di Roden, che un tempo era la capitale dell’Ucraina.  Scrivo delle chiavi del mondo che aprono tutto: inferno, paradiso, anime, mondi. Non voglio scrivere della guerra. Sulla guerra, dovrebbero esserci solo documentari.

 

Zarina Zabrisky è una giornalista e scrittrice statunitense che attualmente si occupa della guerra in Ucraina. Zabrisky è autrice di tre raccolte di racconti e di un romanzo, We, Monsters. Le testimonianze di cui sopra sono state tradotte dal russo e dall’ucraino da Zarina Zabrisky e da Marina Slobodianik.

Serhiy Zhadan è un poeta, romanziere, saggista, traduttore letterario e musicista rock ucraino, autore di sette romanzi, tra cui Voroshilovgrad, The Orphanage e Big Mac. Iya Kiva è una poetessa, traduttrice e giornalista. È autrice di due raccolte di poesie, Più lontano del paradiso e La prima pagina dell’inverno. Olga Kryazich è una scrittrice e studiosa ucraina. Olena Stepova è una scrittrice, blogger e giornalista ucraina. Lyuba Yakimchuk è una poetessa, drammaturga e sceneggiatrice ucraina, autrice del libro di poesia Apricots of Donbass (Gli albicocchi del Donbass).

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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