PERTUGIO: UN RACCONTO DI TULLIO BUGARI

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PERTUGIO

Tullio Bugari

 

Aprì gli occhi e capì subito che qualcosa stava accadendo. Scese dal letto, dal buio afferrò la macchina fotografica avvolse la cinghia al polso e uscì sull’aia. La notte si era fermata, il buio ovunque e dal buio il clamore della città che si stava allontanando. Gettò lo sguardo laggiù e prese a camminare. Al primo dosso attese il rifluire anche dell’ultima eco; quando ne fu certo riprese a scendere.

Alle prime case ne seguirono altre. A una finestra una donna suonava la tromba. Era nuda. Per pudore distolse lo sguardo ma si prese il tempo di immaginarla bella. La melodia, un gemito lento carico di una tristezza eccessiva, trafiggeva l’aria.

La vide fissare la tromba a una cinghia avvolta sulle spalle, scavalcare la finestra e andarsene costeggiando in silenzio le mura lungo l’angolo più buio.

Attese incerto l’ultimo rintocco degli zoccoli ma poi proseguì oltre la porta della città e nel groviglio vuoto dei vicoli prese a fotografare l’assenza, quel poco che ancora si riusciva a sentire, immaginando angoli insoliti da dove gettare lo sguardo.

Lei cammina immaginando il giorno, anche se il buio si addensa ovunque negli angoli contorti. Nel groviglio vuoto dei pensieri che si lascia dietro. Mani invisibili la toccano, salgono sulla sua pelle come piedi che si ostinano a camminarle addosso ma lei è una terra molle non assorbe le impronte, si deforma appena; vorrebbe tornare com’era ma non ricorda più la sua forma.

Non è questa la sua via di fuga, le ci vorrebbe una terra fatta di aria, con gli spiritelli dispettosi della notte a salutarla sul margine dell’aurora. Va incontro ancora una volta a quel giorno che non riconosce mai ogni volta che le ricompare davanti. Da qualche tempo però ha scoperto un pertugio che nessuno ancora vede. Il segreto è entrarci col passo giusto e i pensieri sgombri, ma i suoi fanno fatica a liberarsi da quelle sacche di buio.

L’ha scoperto per caso quel pertugio che non ha fattezze normali, non puoi vederlo prima di entrarci, te ne accorgi solo dopo. Non esiste un punto di passaggio, è piuttosto una metamorfosi, mirabile groviglio che prima ti rovista dentro e poi ti rovescia. Lo sognava da bambina, spalancava le braccia come una farfalla le sue ali, e ne coglieva il battito.

La sente di nuovo la sensazione di quel battito, è un respiro che bussa. Ci sono mani dietro quelle nocche che bussano ma non può rischiare di aprire e farle svanire. Se smettono di battere inizio io, dice a se stessa, un colpo e poi un altro e sono io quel battito che mi porto addosso: se c’è qualcuno lì dietro che mi aspetta, io non voglio sapere se davvero vuole qualcosa, ancora non posso spalancare le mie ali, non potrei più passare da quella porta, che è stretta.

Doveva immaginarlo che fosse difficile fotografare l’assenza, cercare nuovi angoli da dove penetrare con lo sguardo.

Lei cammina, le sembra già giorno ma il buio s’annida ancora negli angoli contorti dei suoi pensieri. Mani simili a passi la calpestano, lei è una terra molle, si deforma appena, vorrebbe tornare com’era ma non ricorda più la sua forma. Avrebbe bisogno di una via di fuga, di una terra fatta di aria, con i pensieri del dormiveglia a trattenersi con lei ancora un poco, dopo l’aurora.

Da qualche tempo però ha scoperto un pertugio che nessuno conosce. Il segreto è entrarci col passo giusto e i pensieri sgombri. Non ha le fattezze di un luogo normale, non lo vedi prima te ne accorgi dopo, come le metamorfosi da bambina, mirabile groviglio, spalancava le braccia fingendo le ali di una farfalla, e ne coglieva il battito. Il respiro. Lo sente bussare leggero sul legno della porta ma se apre svanisce, e io non voglio svanire si dice da sola, sono io quel respiro che mi porto addosso, ancora non posso spalancare le mie ali, non potrei più uscire da quella porta che è stretta.

So che c’è un segreto ma non so dove si nasconde, se qui o da qualche altra parte, o soltanto ai miei occhi. Dovrò imparare a fiutarlo, a non lasciarmi confondere da ciò che gli somiglia ma non nasconde nulla.

All’improvviso lo sente quel battito che trafigge l’aria e la dilania dentro. Con il gesto lento di una danza afferra la tromba alle sue spalle, che ancora nude aspettano l’attimo, ecco, le germogliano le ali e lei suona e il suo respiro è un fiato e il suono un gemito che di nuovo trafigge l’aria: non ha le fattezze del luogo banale quel pertugio che con un incanto ce la nasconde allo sguardo.

L’ultima foto la scattò alla finestra vuota. L’attimo era passato, il clamore stava tornando. Si attardò ancora un poco ma non c’era più nessuna assenza. Risalì sulla collina fino all’aia, chissà se gli era sfuggito qualcosa? Gettò giù un ultimo sguardo e rientrò nella stanza.  Nel buio adagiò la macchina fotografica, con i suoi segreti, e si lasciò cadere sul letto, da solo e con l’eco di quel gemito carico di una tristezza eccessiva, che trafigge l’aria e dilania dentro.

0Tullio Bugari, nato a Jesi nel 1952, laureato in Filosofia a Roma a metà anni Settanta, si è occupato per molti anni di ricerca sociale e formazione, con incursioni crescenti verso la narrativa. Tra i libri più recenti: «L’erba dagli zoccoli», racconti di lotte contadine in Italia nel dopoguerra (Vydia 2016); «La tenda rossa», racconto storico fantastico per ragazzi (Faraeditore 2016); «‘E Riavulille», i diavoletti, che nella smorfia napoletana rappresentano il numero 77: romanzo su studenti e operai al tempo delle radio libere (Gwynplaine 2018); “La Simeide, una lotta vincente”, il racconto di una lotta operaia e di una città negli anni Ottanta del secolo scorso (Seri editore 2019). Nel 2021 ha tradotto dall’inglese e curato insieme a Silvano Staffolani «Un pellegrinaggio in Europa », la tappa europea del viaggio di Giacomo Costantino Beltrami, partito dalle Marche nel 1821 e scopritore nel 1823 delle sorgenti settentrionali del Mississippi (Seri editore 2021). Suoi racconti sono pubblicati sulle riviste online Sagarana, La macchina sognante, Solo Scacchi, e su diverse antologie tra cui Racconti nella rete 2021, edita da Castelvecchi. Negli ultimi anni ha iniziato a presentare i suoi racconti e libri leggendoli ad alta voce, accompagnato da alcuni musicisti e dall’associazione Arci Voce, curando anche i testi delle canzoni ispirate alle stesse storie.

Blog: tulliobugari1.wordpress.com

 

Immagine di copertina: Opera grafica di Mubeen Kishany.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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