Dalla Parte Prima Che lievi non siamo
Che lievi non siamo
Noi che lievi non siamo
che lievi non sappiamo
stretti in questo stazzo
in bosco ci guardiamo
fissi a volte silenti
altre sorridenti vaghi
mentre caprioli occhieggiano
la loro leggenda protettiva
loro mansueti pavidi noi agitati
nel fondo tremolanti questo stato
quasi segreto non appariscente
poi rapido un vento passa
nel bosco solleva le nostre camicie
porta via brandelli slegati
rotolano i nostri cappelli
nel vuoto d’aria a seguire
che stempera l’affanno.
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In un colloquio
In un colloquio con uccelli piante
pianeti cielo diciamo dell’umano
disastro planetario a colpi d’ascia
di ragazzi – qualcuno parli con loro! –
senza territorio limite confine
mentre nel sottomare sprofondano
bocche aperte uccelli feriti
a testa in giù cadono giù giù
come dal metrò dalle scale
di stazione in stazione senza
intercalare di note dolenti
accompagnamenti senza le voci
di prefiche gli inni i canti i pianti
senza riti funzioni senza
officiante troppi morti
nel glaciale liquido nero.
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I mascheroni
Creature mostruose si affollano
il potere si allunga appuntito
col cappello dal lungo cono
sui capitelli del palazzo ducale
nella loro posizione altolocata.
Io e noi non insieme tenendoci
ma dispersi da brividi evochiamo
manolunga eroe giustiziere
che sbatta, rivolti e sgretoli, tolga
i segreti le finte facce quei mascheroni.
Che, fatte le dovute correzioni,
in egual misura e con dolce docile
tocco, nutra e versi l’acqua
da brocche come vino e pane
per tutti rinnovabile, trasfigurate
le facce i musi le maschere
in ancelle gentili.
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Il bosco risonante
Il bosco risonante dei liutai
semidistrutto il bosco
di abeti rossi stradivari centenari
che vento molesto e infine
assassino ha falciato con viole
violini e violoncelli.
Solo uno su mille tra abeti
questi speciali per sottile
accrescimento lento clima micro
particolare specifico e risonante
armoniche e vibrazioni e toni.
Trovo lo specchio rotto tronco
tranciato osservo i concentrici
cerchi molteplici i giri tracciati
tracce di un tempo passato lento
il popolo dei risonanti è esiguo
si estingue, segreto il perché
e come similmente noi umani si risuoni,
empatia si dice e in occasioni speciali
amore, una risonanza per chimica
e scienza spettacolare e occulta
di menti anime corpi, non indagabile
né per cause né per suo segreto
effetto e fulmine.
Se nel globale emisferico il bosco
risonante non risponde più un tremito
trascorre il mondo si fa provvisorio
e nel tacere questo tremito incalza
come distrazione delezione perdita
muta d’umanità che ogni giorno
s’incontra e falciando procede.
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Dalla Parte Seconda Sottili si dicono gli spiriti
È acqua che sale non fa male
È acqua che sale non fa male
è anima che si svuota in acqua
e sale dallo sterno stretto
come un pugno serrato che strizza
e si sgonfia come pompa rilascia.
Il cuore asincrono. Le senti,
le extrasistoli? Non fanno male.
È solo il fiato che manca l’affanno
mentre i piedi avanti marsch uno
dopo l’altro sulle scale fino al tuo
piano dove non sei più. Bisogna
spingere forte il tram in salita.
Tutto qui. Lo dicevi sempre
per dire che la vita fa fatica.
Quando tutto questo mio movimento
finirà e l’acqua in un lago fermo,
di memoria e mancanza il fondo.
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La data di partenza
Di questo tuo viaggio solo
conosco la data di partenza
ma la destinazione è ignota
sebbene esista una mappa
che non troviamo più.
Ci abbracciamo forte forte
non esci col solito tuo dire
su… su… ma stringi gli occhi
perché non ti veda mentre piangi
perché neppure vuoi andare
né mi vuoi lasciare e neanche sai stare
nel muto struggimento.
C’è un’altra porta sul retro!
grido e suggerisco di filare
in fretta ma il viaggio incalza
e tu non hai forza per scappare
o potere per disdire scansare
l’imbarco il gate incalza chiama
stracciare il biglietto ecco fatto
con rabbia suprema ti trattengo
per il braccio Rimani qui!
Cerchiamo grandi mattoni fondamentosi!
Ma nemmeno unendo i nostri sforzi
puntando insieme i piedi riusciamo
a evitare che ci separino ti spingono
dalla schiena verso exit e già stanno
risucchiandoti proprio dai piedi
e nessuna uscita d’emergenza
né assistenza in questa zona
che si profila abbandonata.
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La misura degli abbracci
Adesso si dice così
mindfulness
va di moda e si vende
la nuova teoria della mente
che al corpo spiega come per star su
servano almeno otto abbracci al dì.
Io sapevo già questa notizia importante
e da un po’ ho trovato rimedio e cura
in tempi non sospetti prima della moda
valutando tutti gli aspetti l’efficacia
e l’esito del trattamento.
In mancanza del numero adeguato
di abbracci giornalieri mi stringevo
all’albero preferito quello prescelto
per lo scambio di sangue e respiro.
Non importa che non parli
(abbracci silenziosi efficacissimi sono)
mi manca solo un po’ il calore
la temperatura intorno ai 37 gradi
e poi confesso di aver scelto il tipo
un po’ ruvido non quello liscio.
Garantiva una enorme ombra
senza fessure capace di contenere
e insieme celarmi intera e muta
con tutti i miei chiari i miei scuri,
come nel tuo abbraccio
al pari avvolgente e rugoso.
Biografia:
Marina Massenz è nata nel 1955 a Milano, dove vive. Neuropscimotricista, si occupa di terapia e formazione e insegna alla Università Statale di Milano. La sua prima raccolta poetica, Nomadi, viandanti, filanti, è stata pubblicata nel 1995 da Amadeus, Cittadella (Pd). A essa hanno fatto seguito La ballata delle parole vane, L’Arcolaio, Forlì 2011, Né acqua per le voci, Dot.com.Press, Milano 2018. Sui versi e prose sono uscite su varie riviste, fra cui Le voci della luna, Poliscritture e Il Segnale, e sui siti on-line “La poesia e lo spirito” e “Nazione Indiana”. Una sua raccolta è stata segnalata ai premi “Renato Giorgi” e “Faraexcelsior” (2017), e una silloge inedita è risultata finalista al premio letterario “Interferenze – Bologna in lettere” (2017).