“Prima che si spenga l’unico occhio che mi è rimasto in vita, quello sinistro, con la palpebra che scende giù da sola, vorrei raccontare le disavventure che anni addietro mi hanno portato sulle rive di un fiume rimasto nascosto negli anfratti del creato. Se non vado errato, la galeotta e il brigantino in cui mi avevano imbarcato sono state le prime navi a incrociare la confluenza di queste acque che si riversano sul fiume Paraguay. Mi trovavo, durante la traversata, insieme a un branco di marinai scoraggiati che navigavano senza sapere dove dirigere la prua, alla deriva. Da qualche giorno avevamo iniziato a perdere le coordinate insieme all’illusione di approdare alla fonte di ricchezza di cui ci avevano parlato alcuni naufraghi, trovati lungo il nostro viaggio. Ci addentravamo a colpi di remi, con le vele smorte, in uno spazio sconosciuto che iniziava a inghiottirci. Il fiume sembrava assottigliarsi a ogni spinta e io sentivo che, pian piano, tutto il mondo che avevo conosciuto fino ad allora, compresi i miei affetti, si staccava da me per lasciarmi da solo in quella terra ignota, tra alligatori addormentati sul fango che al passaggio delle navi si calavano circospetti in acqua, quadrupedi che si affacciavano sulla riva e uccelli colorati che svolazzavano sui rami. Nessuno sapeva dove ci conducessero quelle acque che si spostavano sempre oltre il filo dell’orizzonte. A tratti cresceva dalla superficie un leggero vapore che velava l’aria. Non offuscava solo la vista, metteva in dubbio anche le nostre certezze, se mai qualcuno, a parte il capitano, le avesse avute. Eravamo condannati alla ricerca perpetua di frontiere e meraviglie. Ci avevano spinti fin lì l’ansia e l’inganno che prima o poi le nostre chiglie ci avrebbero consegnati alla città del Rey Blanco, un posto lastricato di argento, oro e pietre preziose. Ricordo bene quando i primi occhi hanno iniziato a palesarsi sulle sponde, nascosti tra il fogliame, e subito dopo i volti dipinti, i corpi nudi, le mani con gli archi abbassati. C’erano pure delle donne con neonati avvolti sul petto; bambini seri, in silenzio. Cosa pensavano di noi? Sembravano immagini emerse in quell’istante dalla vegetazione. Ci scrutavano impassibili, sospettosi, incessanti.”
Adrián Bravi, Verde Eldorado, Nutrimenti, 2022, nota a cura di Maria Rossi
Accolgo sempre con trepidazione tutte le nuove pubblicazioni di Adrián Bravi, mi chiedo quale nuova ossessione dell’essere umano mi accompagnerà a conoscere o quale nuova riflessione latinoamericana mi spingerà ad affrontare. Con il suo ultimo libro, con Verde Eldorado, mi ha sorpreso con un apparente cambio di rotta letteraria.
Versione moderna della Crónica de Indias, di cui riprende la struttura persino nell’indice del libro, Verde Eldorado racconta la grande avventura degli uomini del 500, “condannati alla ricerca perpetua di frontiere e meraviglie” e lo fa attraverso la storia di Ugolino, la cui vita è segnata da due momenti fondamentali: l’incendio e la partenza (ovvero il trauma e la rinascita, lo smarrimento e il ritrovarsi).
È poco più di un bambino quando, la notte di San Lorenzo, resta coinvolto nell’incendio di un’ala della sua casa, dove sono custodite le stoffe del padre, mercante veneziano. Esce da quell’incendio sfigurato in viso e menomato in molte parti del corpo, rapito dai mostri e morti che da quel giorno affolleranno le sue nottate. Convinto che la sua condizione gli avrebbe impedito di vivere una vita “normale” e che questa sia l’unica maniera per farlo uscire dal buio della sua camera, il padre lo affida all’amico di giovinezza e grande marinaio Sebastiano Caboto, con il quale parte dal porto di Sanlúcar de Barrameda in Andalucía con destinazione le isole Molucche in Indonesia perché “i mari non badano al colore della pelle degli uomini: vogliono solo coraggio e determinazione”. Ma la spedizione non raggiungerà mai le Molucche perché Caboto decide di contravvenire agli accordi presi con i reali per inseguire i racconti di superstiti che parlano di una città piena d’oro.
Durante la navigazione del fiume Paraguay, Ugolino cade prigioniero di una comunità di indios. I suoi compagni vengono uccisi, smembrati e divorati: lui unico superstite, Ugolino lo sfigurato, Ugolino l’uomo che i Karai, i signori del fuoco, hanno salvato dalle fiamme, Ugolino il diverso. È qui che inizia la lenta rinascita di Ugolino che, perso nello spazio e nel tempo, elabora la sua diversità attraverso gli occhi degli indios, si fa penetrare da nuove usanze, visioni, suoni e odori e, allo stesso tempo e senza accorgersene, dà molto di sé, lentamente si offre alla sua nuova gente. In questa antica storia di migrazione, Ugolino, che niente ha del traditore dantesco, è uomo tra due mondi “che prova a conciliare” fino a diventarne lui stesso incarnazione.
Poco importa che la Cronica di Ugolino (così come le più celebri cinquecentesche) sia “reale” o “fantastica”, quel che importa è come queste pagine spingano il lettore a spostare ancora e ancora il proprio orizzonte culturale, emotivo e umano.
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Adrián N. Bravi è nato a Buenos Aires e lì ha vissuto fino alla fine degli anni ’80, quando si è trasferito in Italia per proseguire gli studi in filosofia. Laureato all’Università degli Studi di Macerata, oggi ci lavora come bibliotecario. Nel 1999 ha esordito come narratore in lingua spagnola ma poi ha scelto di scrivere in italiano. Tra i suoi romanzi: La pelusa (Nottetempo, 2007), Sud 1982 (Nottetempo, 2008), Il riporto (Nottetempo, 2011) finalista al Premio Comisso 2012, L’albero e la vacca (Feltrinelli, 2013) vincitore del Premio Bergamo 2014, L’idioma di Casilda Moreira (Exòrma, 2019) e Il levitatore (Quodlibet, 2020). I suoi libri sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo e arabo.
Maria Rossi è dottoressa di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ha conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della suaricerca. Sul tema ha scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ha affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti. Studia l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.