Pubblicato il 28 Marzo 2022 su LeNiUS CULTURA SOCIETÀ
Fare bookcrossing significa lasciare libri in luoghi aperti al pubblico in modo che altre persone possano trovarli, leggerli e a loro volta liberarli altrove. Un aspetto aggiuntivo riguarda la possibilità di contrassegnare i libri con codici, timbri o etichette in modo da conoscerne la provenienza e poterne seguire il percorso nello spazio e nel tempo.
Il termine è composto dalle parole book e crossing, che potremmo tradurre con incrocio, o scambio, di libri. A incrociarsi in questa pratica non sono solo i volumi, ma anche i lettori che condividono l’esperienza di una lettura, ricevono e restituiscono il significato della gratuità e costruiscono insieme una comunità che non si vede, eppure esiste.
Il bookcrossing ha origini lontane nel tempo ma prende questo nome solo nel 2001, quando lo statunitense Ron Allen Hornbaker fonda il sito bookcrossing.com, stabilendo modalità che saranno poi adottate o reinterpretate in tutto il mondo. In seguito, la parola “bookcrossing” entrerà nell’uso comune con una diffusione tale da farla comparire, nel 2004, nel Concise Oxford English Dictionary.
L’idea originaria, quella di Hornbaker, richiede di accedere al sito web per dotare i libri di un codice identificativo unico (BCID) che permetterà di seguirne gli spostamenti. Può sembrare irrilevante sapere che fine ha fatto quel particolare volume, ma chi ama le storie facilmente subisce il fascino delle vicende attraversate dagli oggetti che le contengono. Non oggetti qualunque, ma portatori di un valore che va oltre quello materiale:
un libro sgualcito e buono per il macero può ancora cambiare una vita.
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Biografia:
ANDREA GENZONE – Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.