I testi che seguono sono tratti dalla sezione Sorella minore, la terza della raccolta inedita Nella bocca del linguaggio. Dopo aver oltrepassato nelle precedenti sezioni un paesaggio montano – il “terzo paesaggio”, quello che precede l’uomo e resta dopo che l’uomo se n’è andato, ovvero: il passato dell’uomo – in questa, il prima e il dopo emergono come voci, prendendo la forma di un dialogo immaginario tra due sorelle, una infante e una bambina, che somiglia anche al dialogo tra le parole e la lingua, e infine a quello tra la poesia e la musica, che attraversa tutto il libro.
1.
Attinge all’infanzia
la scuola del poeta
quando l’eco si è schiusa
un docile gesto
a dire: ecco.
Lallando la lingua
mola la parola,
rorida di umori
e di malinconie
sfaglia il significante
fino al suono.
Nel silenzio delle stanze
sale un bisbiglio
che intontisce la coscienza
socchiudono gli occhi
un dormiveglia dove
echeggiano richiami
forme nominali
vocazioni musive.
2.
Ventre della parola, la bocca
dove la lingua e il suono mescolano
come al tempo intrauterino cellule
staminali e gameti gemelli
a modellare il morfema dell’io parlante.
Ma chi è io e chi è tu nella parola?
Chi la matrice e chi la morula?
Il ventre accoglie il seme,
la vita ripete la vita, mimesi
dell’identico così
una voce straniera è caduta
chiamava e non sapevo rispondere.
Un seme in poca terra dispera
poi nel sonno umido attecchisce.
L’apostrofe schiude l’io del tu.
Io sono l’io che ha difronte
il tu che sei il dire della parola,
la parola che passa
di bocca in bocca.
Ricordo irrevocabile
della vita prenatale
tempo ad occhi chiusi
ecco il suono
l’esistere, tu che mi fai
esistere, io colui che sente
che presente.
3.
Sincronizziamo i respiri
che cadono sulla pagina.
Tratteniamo il fiato all’unisono
pause sulla partitura.
Notte di veglia
sentivo i tuoi pensieri schiudersi
al lucore di certe stelle.
Un sonno non dormito
sarà la nostra vita
sorella minore.
Soffia piano dentro un flauto
muovi a caso le dita e giù a ridere
sottovoce per non svegliare i dormienti, senti?
il bisbiglìo delle note
all’orecchio della notte.
Acquattate sotto le lenzuola
sfogliamo quella Genesi coi disegni blu.
Natura è il vocabolario
della prima settimana del mondo.
Al quinto giorno viene l’uomo
affinché qualcuno impari a lèggere.
Terre ferme dall’oceano
così emergono dal linguaggio le parole.
Ma di notte le pagine si chiudono
bambine è ora di spegnere!
ora bisogna recitare a memoria.
Anche gli occhi si chiudono.
Immaginiamo di essere grandi
la porta del futuro sembra aperta
noi ci sbirciamo dentro
non sappiamo
che nessuno l’attraversa mai.
Eravamo morule
così dice il libro
semplici, sferiche
la pelle liscia senza segni.
Abbiamo creduto
ma non visto dalla mente il quasi niente
cresce, veli di cellule, tessuti, sciami di parole
come nugoli sull’acqua
s’addensano in ombre e domande.
Abbiamo creduto
la paternità del sole, l’albagia
dei suoi raggi a picco confortava
e nutriva le midolla calde
conta i cerchi nelle ossa, migliaia
anni geologici ore di vita
ruotano assieme, s’incontrano adesso
e poi non saranno mai più.
Abbiamo creduto
che qualcosa ritorni ad essere, che speranza
che svenimento sorella stanotte
piccoli tamburi i nostri cuori asincroni
intonano una preghiera musaica
un canto.
6.
Verso un’alta nota di giallo
vola la falena stanotte
così
andiamo di pensiero in pensiero
risaliamo un’altra scala
di note lunghe, note brevi
e pause dove entrano
come ad un concerto la porta sbattuta
il colpo di tosse, il latrato
del cane alla catena
e la consistenza del silenzio
diverso in ogni luogo
senti nel buio
la lontananza delle galassie che cadendo all’indietro
lasciano una coda rossa sullo spettro?
Noi bambine siamo falene
che volano verso il rosso?
È rossa la coda dei ricordi
che cadono all’indietro?
Il corpo si raffredda emanando
un’onda di calore rosso
cercala al flauto tra le note più alte
prova a ricordarla l’hai sentita
prima di venire al mondo
te la cantavo io mescolando
latte e urina nelle acque vive
della tua genesi.
7.
Parli nel sonno
ad occhi spalancati seduta sul letto:
“Non bisogna andare fuori
le nubi travasano acqua”.
Che cosa vedi?
La parete uterina come un velo
davanti al mondo ancora
nessuno ha sollevato.
Le parole materne risuonano
intorno come tuoni
plasmando le tue ossa morbide.
“Un giorno anch’io avrò parola
intanto le raccolgo e chissà quando
riaffioreranno in me come un rigurgito
un singhiozzo che ti sveglia nel buio”.
Nota biografica. Guido Cavalli (Parma, 1974) ha pubblicato tre raccolte di versi: Piccolo canzoniere selvatico (Manni editori, 2005), Nel castagneto (con prefazione di Claudio Risé e postfazione di Giovanni Ronchini, Edizioni Diabasis, 2015), e Salita al lago Padre (con disegni di Andrea Bovaia, Manni editori, 2018). È presente in riviste, antologie e miscellanee (LietoColle, Bertoni editore, Puntoacapo edizioni, Mup). È autore e redattore presso la rivista di filosofia Kasparhauser (www.kasparhauser.net), per la quale ha anche curato, tra le altre, le monografie Andrej Tarkovskij: Il tempo scolpito e l’eredità perduta, e Contro la poesia. Con lo pseudonimo collettivo di Errico Malò ha pubblicato due romanzi (Cielo di paese, Mobydick, 2001, e Scaramuccia, Mobydick, 2004), e diversi racconti per quotidiani, riviste e antologie (Guanda, Mup, Aliberti). È presidente del Punto di comunità Magnete di Milano (https://www.facebook.com/magnete.mi).