I AM NEW YORK (Parte II) – dal Diario inedito di Reginaldo Cerolini

Microrganismi_Metamorfosi.1

1 Maggio 2013 Harlem YMCA (last night on my own room 723) (10.09 pm)

 

Sono molto stanco, quasi mi si chiudono gli occhi, ma voglio scrivere per non accumulare troppe cose che credo mi farà piacere rileggere fra un pò di anni. Si vive solo nella mia memoria, e la memoria è un tempo presente (contrariamente al comune pensiero).

 

Stamattina mi sono alzato alle 6.00 am, ho ciondolato un po’ nel letto, mentre sentivo dalle altre stanza un paio di persone – piuttosto silenziose- andare a lavarsi e uscire. Ho cercato di dormire fino alle 7, ma invece mi sono alzato dal letto alle 6.40. Ero riposato. Ho guardato la luce chiara venire dalla finestra, in cui avevo spostato la tendina, e mi guardavo i tetti delle città indorarsi s’un chiarore arancio, e le torri della City College estendere un bagliore di un’altra epoca.

 

Sono andato a piedi al 320, 111  Morningside St., piuttosto contento di annullare i pensieri nei movimenti guardando grappoli di studenti tra gli otto e i 18 anni andare nelle varie scuole che ho incontrato lungo il cammino. Sono molte. In una in particolare osservavo una sorta di insegnante accogliere uno ad uno gli allievi, chiamandoli per nome e dandogli la mano “This it’s not a right way to wolk” ha detto, se la mia mente riporta correttamente l’espressione inglese, a un ragazzo nero e cicciottello che veniva ridendo con due compagni,  all’incontrario poi, lo a accarezzato sulla spalla, lui si è girato e si sono dati la mano con affabilità.

 

Ho provato a prelevare gli 800 USD rimanenti per la stanza ma, nessuna banca mi faceva prelevare. Poi mentre camminavo senza capirne il motivo in un lampo ho colto la gabola. La mia mente mi viene spesso in aiuto, se mai qualcuno dovesse dire che sono intelligente io sarei costretto ad ammettere che la mia mente lo è, non io che ricevo solo intuizioni improvvise che mi danno uno sguardo d’insieme. Dio mio, chissà gli espìritas come si gongolerebbero di questa mia frase, con tutta la loro visione emica del mondo spirituale. In ogni modo il motivo, e che se anche ieri prima delle 11 PM avevo prelevato, pensando di fare il trucchetto della mezzanotte per poter prelevare anche oggi, non avevo fatto il conto col fuso orario. Meglio, non avevo fatto il conto col fatto che la mia carta di credito, di una banca italiana, rispetta il codice d’orario italiano, pertanto quando ho prelevato in Italia, sei ore avanti, era già il 1 Maggio, e dunque il mio limite di 800 dollari da prelevare diariamente, già esaurito. Sono arrivato, ho citofonato 021, e sono salito. Thomas, in pantaloni pigiama e cappellino era irriconoscibile. Per nulla attraente o composto sembrava un guitto delle favelas brasiliane. Per lo meno ero certo che vivesse lì e che non si trattasse di un trucco per fottermi soldi, altro mio timor costante.

Accusavo ancora i 5 piani di scala e quindi me ne sono fregato delle usanze americane e ho chiesto un bicchiere d’acqua. Mi è arrivato un bicchiere, formato pinta, con acqua fresca e ghiaccio, dalle mani solerti di Thomas. È stato molto carino, forse perché ero visibilmente trafelato e tradivo tensione, chissà, ma mi ha spiegato ogni passaggio del contratto con calma, e poi mi ha fatto rileggere. Mi ha aiutato a compilare. Se è un ladro bisogna dargli un premio, per la dissimulazione. Non ha voluto che tirassi fuori i soldi subito, come avevo intenzione di fare, né era turbato che non fossero tutti. Mentre mi spiegava, la voce di una donna, una signora, lo ha chiamato lui è andato di là poi è tornato e abbiamo continuato. Il suo viso tradiva scocciatura, gli ho chiesto se era il boss, lui mi ha detto sì, e mi ha detto che era insomma la proprietaria, ma che per fortuna non viene che una volta al mese per prendere i soldi. Non so perché ma mi sono immaginato una donna disabile che si vergogna a mostrarsi, o forse troppo obesa. In ogni modo trovo strano che non si sia mostrata (le devono interessare realmente solo i soldi), insolito quanto meno. Ancora più strano che Thomas che vive lì da solo 5 mesi possa gestire la faccenda burocratico economica, a suo nome e che abbia firmato lui. Poi abbiamo contato i soldi insieme, e lui mi ha dato una ricevuta, mentre il contratto me lo dà a saldo pagato. La casa era luminosa.

 

Sono uscito, piuttosto contento. Mi sono seduto sulla panchina, dopo alcuni metri così a pensare, poi sono tornato indietro per fare una foto al palazzo e al giardino di Morningside dove c’è la cascata. Poi mentre tornavo a casa, mi sono fatto sedurre da una serie di pensieri che mi inseguono dal 2008, cioè quando ero in Brasile e vivevo a Sao Paulo, e allora mi sono seduto e ho cominciato a scrivere “L’apocalisse”. Un racconto che, nell’intento, gioca sull’arrivo in città di un mistico silenzioso che si siede su una zona verde e tutta la realtà urbana attorno muta, grazie alla sua presenza. È un racconto, piuttosto leggero, che gioca su un’emozione da ricreare, di spiritualità laica e controsenso delle credenze. Siccome mi serviva il nome di un fiore, riconoscendo io appena i vari colori di tulipano, ho chiesto a una ragazza nera che lavorava nel parco, e lei mi ha confermato che era il tulipano mentre l’altro – si è fatta dieci metri per andare a vederli da vicino – mi ha confermato essere l’azalea. Poi le ho chiesto se ce ne sono molte e lei mi ha detto il numero in inglese, ma dalla sua pronuncia non riuscivo a capire, mi ha chiesto se parlavo francese, spagnolo o altro … ho detto italiano e lei ha detto “150” , in italiano. Sbalordendomi più di quanto ho lasciato trapelare. Mi sono seduto e ho iniziato il mio racconto. Dieci minuti dopo lei mi è venuta a parlare. Mi ha detto che lì dove ci trovavamo era Harlem, anche se quelli della Columbia lo chiamano Morningside, perché c’è un pregiudizio storico che tutto ciò che non è buono è Harlem, mentre ciò che è buono diviene bianco. Teoria interessante, ascoltavo incuriosito. Mi ha detto che si era laureata in economia in un’università lì su vicino alla Columbia e che doveva sapere delle lingue e siccome sapeva spagnolo e francese, per prendere dei punti si è iscritta al corso di Italiano. Da lì è incominciata la nostra chiacchiera sulla questione nera, sull’università, su Harlem, sui miei propositi di studio, sugli affitti. E ci siamo messi a parlare per più di un’ora mentre lei lavorava e io tentavo – con scarso senso di ritmo – di continuare il racconto. La cosa più sorprendente è che il suo italiano è piuttosto discreto, e lei – su mia richiesta – correggeva la mia pronuncia e inabilità grammaticale: compito che ha fatto con sollecitudine e passione ammirevole (mi ha corretto l’errore della pronuncia del think non meno di 7, 8 volte nel corso del nostro discorrere). Mi ha parlato dei molti parchi di NY, di Obama, della questione sanitaria, e di quanto fosse cara l’università in America. Poi mi ha detto che era stata in Italia con una borsa di studio 8 settimane, che trova il nord ricco e interessante mentre il sud è bello ma molto razzista. Che non le piaceva il freddo della Svizzera. Io le ho letto la mia poesia” Wake up together” su cui, forse per gentilezza, non ha fatto alcun commento e ho dovuto spiegarle che giocava sul fatto che sembrava essere una persona con cui mi alzavo invece era Harlem. Ho detto che gliela riporterò corretta. Le ho letto la “quotation” di St Clair Drake sull’apologia della mobilitazione nera, necessaria fino a che esisteranno ingiustizie. Le ho spiegato che per quanto ne so gli italiani in genere non sono razzisti, anzi. E lei mi ha detto che forse non in Italia ma qui a New York erano arrivati come pezzenti, avevano lavorato come animali, qualcuno aveva fatto successo, e ora questi trattano –dimenticandosi la propria storia e il rispetto che si deve a tutti gli esseri umani – gli altri come animali. Parole dure le sue, molto topicalizzate ma a cui non volevo e non sapevo sul momento controbattere. Pensavo solo che pensare di essere neri, deve equivalere nelle categorie di identità personale un po’ come a una patologia, una disfunzione psichica che non fa sentire in quiete, un po’ come il mio senso di miseria interiore con cui combatto da tutta la vita. Io però il mondo l’ho perdonato da tempo. Quello che non so è come liberarmi da certi debiti col mio passato che lavorano sul mio inconscio e sulla mia volontà, facendomi sentire questo senso di distacco profondo, che forse è semplice puro biologico-fisico-psicologico (e non psicoanalitico) nella condizione umana. Si fotta l’anima!. Riflettevo su questo mentre assorbivo le sue parole, la bellezza della giornata e accettavo il fatto che non avrei continuato il mio racconto. Poi però ero stanco di tanto discorrere in inglese, avevo la mente troppo concentrata, e avevo fame. Infatti non avevo fatto colazione. Quando le ho detto che andavo a mangiare e le ho detto che me la cavavo con meno di 25 dollari al giorno ha riso, ma così tanto che anche a me veniva da ridere se pure mi sentivo un po’ sciocco. Mi ha detto che con quella cifra lei ci mangia 4 giorni. Ha detto che mi conviene cucinare e le ho detto che se dal 5 sono in casa è esattamente quello che farò. Poi ci siamo dati appuntamento per mezzogiorno per mangiare insieme lì nel parco e scambiati nomi e numeri di telefono. Si chiama come una delle mie sorelle brasiliane: Andreia.

Tornando all’ostello ho scoperto che non posso più prenotare e la mia faccia – per quanto possibile – è sbiancata. Ma la mente mi è venuta in soccorso, uscendo da casa sono passato in un Hotel di cui avevo visto il nome passando in questi giorni e che mi aveva messo curiosità, ma ho scoperto che si tratta di una sorta di centro di accoglienza. La mente, quasi in panico, mi si è aperta con alcune soluzioni percorribili in ordine preferenziale 1) niente panico; 2) provare a chiamare un B&B in cui volevo andare prima di scoprire che il YMCA era più economico; 3) cercare altri numeri in internet; 4) chiedere a Eliana se mi può ospitare per un paio di notti; 5) chiamare Thomas e chiedere se posso – vista la situazione – già entrare in camera; 6) fare un viaggio fuori NY di 3 giorni; 7)  lasciare il bagaglio al deposito gratuito del YMCA, coprirmi bene e sperimentare la vita da homeless come ho intimamente sempre voluto. Sono andato all’appuntamento passando per un baracchino ambulante, in cui ero passato chiedendo informazioni in entrata e scoprendo del cibo per 5 USD (alla faccia sorridente di Andreia), e ho prelevato il piatto di riso con pollo. Ho incontrato Andreia, mi sono scusato per il ritardo (quasi dieci minuti) dicendole che ero in panne per via dell’alloggio, ma che avrei risolto. Abbiamo parlato di tante cose seduti al tavolo, della natura, del cibo, ci siamo scambiati il cibo (il suo piatto con “pollo alla veronese” tradizione di sua nonna che era stata fidanzata con un italiano), buono davvero il piatto di entrambi. Poi l’ho salutata, lei mi ha dato il numero di un ostello e mi ha detto che secondo lei costavano troppo e che se volevo potevo andare a dormire da lei. Ero molto gratificato dell’invito quasi fino all’emozione, ma siccome non so bene se sia attratta da me ho preferito garbatamente ringraziare e declinare. Sono andato all’indirizzo segnato sul foglietto e un arrogantello irlandese (sic!) mi ha detto che solo per una notte aveva una stanza di 125 USD, oppure 3 notti in una pensione li vicino a 162 USD a notte. Cristo santo piuttosto sotto i ponti. Mi ero anche abituato all’idea di non andare per il sottile visto che i soldi per due anni, abbondantemente non mi mancano, e quindi mi ero detto che avrei sacrificato 300 dollari per la causa, anche se mi rodeva il culo, ma 470 dollari per una cazzo di colazione e stanzetta ben arredata e ariosa poteva infilarseli su per il culo lui e tutta New York. Piuttosto il ponte o le altre soluzioni. Mi sono diretto verso l’ostello fermandomi davanti a uno spazio d’arte e a una galleria, trovando gente squisita e nella galleria un quadro impattante di Preston Sampson intitolato “”Action Boy” (anche se credevo si trattasse proprio di una ragazza) 22X23 per 3.000 USD. Dio mio appena divento ricco comprerò opere d’arte.

Tornando all’ostello ho ri-chiesto se c’era posto ma niente. Una ragazza mi ha detto – dopo un interminabile trattativa e attesa (era un po’ pigra e poco solerte … l’unica bianca che abbia mai visto lavorare al YMCA, lo preciso giusto per cancellare una serie di antichi stereotipi)- che potevo andare al YMCA, bastavano due cambi di treno (intendeva probabilmente linee di metropolitana), ma quando le ho chiesto se il prezzo era lo stesso di qui mi ha detto di no, che là si aggirava sui 100, 150 USD. L’idea di arrivare fino lì col peso della valigia via metropolitana (o treno che sia) per pagare dai 300 ai 450 USD non mi allettava proprio, sono salito in camera per consultare internet. Ho incontrato il ragazzo della stanza 321, con cui non avevo mai parlato, e gli ho detto scoprendo che nella sua singola ci sono due letti come da me, se possiamo dividere la stanza e io pago un po’ di più così lui risparmia, lui ovviamente cercava di capire e mi faceva domande. Mi ha detto che spende 80 dollari, sono rimasto basito, gli ho detto che io per la stessa stanza ne pago 55, lui mi ha fatto vedere la sua stanza che era molto disordinata e aveva solo il frigorifero in più, io gli ho mostrato la mia splendidamente ordinata, e con una luce gialla. Mai provato più soddisfazione in vita mia per il fatto che la mia stanza fosse in ordine assoluto. Gli ho detto di pensarci, e di non sentirsi obbligato a dirmi di sì. Lui mi ha detto che avrebbe sistemato le cose e poi mi avrebbe detto la sera, quindi di bussare da lui. Io ho salutato con cortesia, e mi sono detto che non volevo e non potevo dipendere dalla sua decisione, tanto più prorogata di 6 ore. Mi sono messo al pc, uscivano prezzi esorbitanti dai 650 euro. Alla fine ho scoperto che a Chinatown e Little Italy per 130 euro potevo prenotare la bellezza di tre giorni, stanza che nella foto sembra persino più grande di questa (anche se dubito). Ho fatto subito la prenotazione da domani al 5 maggio. Poi mi sono congratulato per me, per la perseveranza e per aver avuto ragione a rifiutare le lusinghe del denaro. Meglio della Lonely Planet, delle conoscenze locali ho fatto da solo e ho trovato, a un prezzo assolutamente più che ragionevole: economico. Domani, in uno zelo di peronismo, pensavo di arrivarci via metropolitana anziché taxi. Adesso vedo.

Nel pomeriggio ho riposato un paio d’ore inglese poi il sole delle 18’ mi ha chiamato fuori, a camminare e sono tornato a casa alle 22’ dopo aver cenato in un ristorante africano con un piatto secondo me da tre persone di carne e riso per soli 12 USD. Mi sono allungato sino alla 152, dove c’è un Harlem molto povera, anziana, sgualcita come certe periferie di S. Paulo e mordacemente vivace.

 

p.s. ovviamente, ho lasciato un foglietto al ragazzo della stanza 121 sul fatto che ho risolto.

 

(23.54pm)

 

3 May 2013 Chinatown-Little Italy : Hester St. (room 541)

 

Non credo che consiglierei mai questo posto a qualcuno, a meno che non fosse un carcerato da cella di isolamento, con nostalgia dei tempi migliori in cui si sentiva custodito. Credo comunque, che considererebbe il mio suggerimento, con buona ragione, un brutto tiro.

 

Ho letto da poco le proverbiali e sintetiche lettere di mia madre (questa di 5 righe raggiunge quasi un primato di lunghezza) che mi dice che ha visto dove ho la casa, che come papà è contenta, e che hanno stampato la foto dell’edificio. Qui però, e ti pareva, dopo un eccellente funzionamento internet, annaspa.

 

Descrizione del loculo: lunghezza 2 m, larghezza 1,60 m altezza fino alla rete che mi ghermisce il capo 2, 30 m, mentre altezza del soffitto vero 3 m direi. Il loculo per vivi ha, grazie al cielo, un colore di giallino tenue che riposa gli occhi e non fa impazzire, la porta color crema chiara sembrerebbe quasi elegante in un altro contesto. Invece qui siamo in un albergo di 6 piani (io mi trovo al quinto), che per raggiungere il massimo dell’efficienza, ha ricavato da questi loft aperti di 45 metri per 45, una serie di stanze da batteria (come fossimo animali reclusi) 70 loculi per piano. Al confronto la stanza di Harlem dove stavo e che consideravo ridicolmente striminzita, è una magione. Senza contare che essendo la fila di stanze divisa in tre blocchi ed essendo io in quello centrale (che ha due parti A e B) nella parte interna, B, non ho ovviamente la finestra, ma mi arriva la luce dal vero soffitto appena come un riverbero bavoso di vita. La rete dunque del contro tetto di 2, 30 m, ha una tripla funzione, essere un passaggio di luminosità, un passaggio d’aria, e impedire alla curiosità dei morti viventi di alzarsi e sollevarsi sul muro per vedere gli attigui. Io per esempio nel punto in cui sono sul lato nord, terzultima porta, potrei vedere il mio limitrofo di destra, di sinistra, ma anche quello del retro sul lato A, e per convergenza  delle parallele i suo rispettivi limitrofi di destra e sinistra. Detto ciò l’orribile contesto a guardarlo da un punto di pura logica “makes sense”. Gli svantaggi, a parte misura, squallore situazionale per pochezza di spazi e intimità semi violata, sono chiaramente che quasi senti i pensieri di chi ti sta di fianco, basta appena che pensi.  Il luogo però ha delle qualità insospettabili, se ci si adatta allo stile francescano, delle ciabattine in carta si di riso, insieme alle saponette, allo spazzolino e ovviamente all’asciugamano, una coperta lunga che è uno spettacolo di calore e morbidezza (qui la notte fa ancora piuttosto freddo), cinque bagni chiusi ognuno con rispettiva doccia e phon e basta.

 

Ieri mattina alzandomi verso le 7 am, avendo già fatto le borse la sera prima, sono andato di filato al 320, 111 St. ho portato gli 850 dollari rimanenti a un Thomas meno sbattuto, che mi ha detto che era un test per sapere se ero veramente interessato alla casa, abbiamo contato i soldi insieme ha firmato la seconda ricevuta e mi ha detto che potevo – finalmente- dire alla mia famiglia di aver trovato una casa. L’ho salutato e sono sceso, gustandomi la bella giornata al Morningside Park. Ho chiamato subito mia madre per dirglielo e poi ho chiamato Cristiana Natali, ero raggiante.

Mi sono fermato a mangiare da … un breakfast simple.  Tornato all’ostello ho chiesto a una ragazza nera della reception incredibilmente sorridente e disponibile come fare le fotocopie (per stampare la mia prenotazione all’albergo), quale fosse la linea più vicina a Chinatown, e incuriosito da un ragazzo molto bello e da una serie di persone dietro una stanza ho domandato che cosa facessero lì… e lei – udite udite – mi ha detto che facevano una lezione di  grammatica e lingua inglese, per stranieri e e americani. Le ho detto se potevo assistere e partecipare, lei mi ha detto che la registrazione si faceva due giorni a settimana e bisognava garantire di stare almeno tre mesi e che inoltre dopo le due assenze si veniva cancellati dal corso per dare possibilità ad altri (o credo più io per motivare maggiormente le persone a partecipare, è una caratteristica tutta americana il focus sull’impegno e il merito); intanto è andata a chiedere se potevo almeno assistere. E ho visto che si è sbattuta un sacco, ha parlato con almeno tre persone andando in lungo e in largo. Allora sono andato a prendere le valige perché erano già le 10.15 del mattino, le ho messe nel deposito e sono sceso per chiedere se potevo e lei raggiante mi ha detto di andare in un’altra classe (mi dispiaceva un po’ per il bel ragazzo nerissimo, forte e dolce che avevo visto ma diamine, andavo ad assistere alla mia prima lezione di americano, oltretutto gratuita) perché quella che avevo visto era per persone che proprio erano principianti assoluti. Mi divertiva che da sola mi avesse ‘elevato’ ad un differente grado. Neanche a dirlo mi ha portato nella classe dove c’era il bel ragazzo e il posto libero era proprio quello di fianco a lui. Eravamo 21 persone 6 maschi e 14 donne, di età comprese tra i 19 e i 55 anni. Nazionalità: Senegal, Camerun, Congo, Ucraina, paesi Arabi, e poi non so. Mi dava la sensazione esatta dei centri sociali di lingua che conosco lateralmente in Italia. Infatti si tratta di un corso gratuito di lingua, scrittura e lettura per immigrati e chi nel quartiere vuole partecipare alle attività, ci sono poi l’assistenza sociale, le informazioni, il corso di cultura americana, e il corso di internet, oppure le varie attività artistiche e sportive. Sbalorditivo davvero. Nel foglio di iscrizione, che mi è solo stato presentato in lettura su mia richiesta, chiedevano gli orari preferiti, quali fossero i corsi scelti, quali le difficoltà che impedivano di seguirlo o lo rendevano difficile (problemi di lavoro, di comprensione, situazione famigliare o altro), oppure a che cosa doveva servire il tipo di corso per la tessera di cittadinanza, per un diploma, per il lavoro. In ultimo che tipo di assistenza sociale, oltre al corso, si voleva.  Io ero nel tavolo con il bel ragazzo del Senegal (mi ha detto il nome ma non lo ricordo) un altro ragazzo particolarmente gentile e divertente di nome Saco. La maestra Myr ha condotto due ore di lezione magistralmente, insegnandoci ritmo della parlata americana “syncopatic” abbiamo imparato spelling, e uso dei termini sportivi, e tipiche espressioni, e poi fatto comprensione e dettato.

Ho imparato così tante cose in poco tempo, che mi sono sorpreso. Si interagisce con l’insegnante molto. Capivo bene di essere in un corso di livello basso, ma d’altra parte è dal basso che deve partire il mio americano, e anche se ho una buona comprensione e lettura, le mie lacune grammaticali, lessicali di pronuncia e spelling sono vertiginose. Mentre seguivo la lezione pensavo al fatto che anche se mi iscrivo, ovviamente, a un corso di lingua privato volevo lo stesso ricavare del tempo per venire lì. Mi piaceva propriamente la dimensione umana.  Intanto è arrivata un’altra ragazza araba, velata e incinta col volto triste e affatica che si è seduta al mio fianco e a cui la maestra ha chiesto se tutto andasse bene e quanto mancava al parto, poi è arrivata un’altra ragazza che si è accasciata sul tavolo quasi non avesse più forze (probabilmente aveva appena finito un turno serale di lavoro), poi c’era una ragazza un po’ arrogante ma divertente nigeriana che faceva molte domande e ogni tanto battibeccava con due ragazze sulla situazione politica del Camerun in francese. La maestra Myr mi ha presentato alla classe appena sono entrato dicendo che ero un visitatore e che ero francese. Io non ho controbattuto perché subito dopo è iniziata la lezione. Soco in un momento di rilassamento mi ha chiesto in francese da quanto fossi in America, io gli ho detto che capivo un po’ di francese ma che non lo parlavo (almeno questo glielo ho detto in francese). Il bel ragazzo che era tra me e Saco, mi ha dato due fogli e una penna per scrivere. È stato molto gentile. Nell’intervallo di 20 minuti tra un ora e l’altra siamo usciti noi tre e abbiamo incominciato a parlare. Ovviamente la mia situazione non ha nulla a che vedere con la loro e l’ho chiarito, per toglierci da imbarazzi, credo in modo simpatico. Ho detto che ero in albergo, che ero venuto a fare un corso di lingua, trovare casa e che a settembre comincio un anno alla NYFA. Saco aveva un inglese comprensibile anche se non abbastanza visto che vive a New York da un anno, ma il problema è che si creano micro comunità dove si continua a parlare la propria lingua nazionale senza necessità di vere comunicazioni con l’esterno ma appena interazioni. Questo l’ho appurato con il mio amico Gerry, e storicamente è lo stesso che è successo con gli italiani in America e in Australia (non so in Brasile) o con i cinesi in America e Brasile. Il bel ragazzo capiva ma non si esprime benissimo, ha un velo di imbarazzo che gli impedisce di buttarsi nella conversazione. Saco, molto pratico e giustamente ambizioso, mi ha chiesto qual è il percorso per fare cinema, cosa bisogna studiare; io gli ho detto che secondo me serviva studiare per quello che facevo io sceneggiatura, ma che per il resto il cinema era un’attività pratica da imparare facendola. “Sì, ma come si incomincia?” mi ha chiesto, ovviamente anche palesando difficoltà pratiche, strutturali e monetarie e gli ho detto che non era una regola ma che secondo me c’erano tre vie 1) un’accademia ma con le ovvie difficoltà dei costi, ma che sovvenziona talenti brillanti o persone in difficoltà economica, 2) l’andare a cercare lavoro in una industria di cinema, magari iniziando col chiedere di fare solo gli assistenti per qualsiasi cosa a gratis per qualche mese (lusso, rifletto ora che posso permettermi io che non devo lavorare per vivere), 3) fare un cortometraggio, un documentario uno, due, tre, quattro superare lo schifo delle prime realizzazioni e partecipare ai vari festival di regia per essere notati. Poi gli ho chiesto se era interessato. E lui ridendo insieme al bel ragazzo “of course” mi ha detto. Gli ho risposto che ci saremmo visti o scambiati il numero, così ne riparlavamo in futuro quando sarò uno sceneggiatore e regista, chissà. Siamo rientrati a fare lezione.

 

A fine lezione un po’ di gente è scappata perché aveva il lavoro. Io sono andato da Myr per ringraziarla e chiederle se potevo partecipare qualche volta, e che non ero francese, lei ha riso “qualcuno mi ha detto così”, e mi ha detto che potevo partecipare, ma che dovevo fare l’iscrizione. Quando sono andato a fare l’iscrizione, è finito che non mi posso iscrivere perché i corsi sono già iniziati ma che se Myr ha detto di sì potevo seguire le lezioni senza gli obblighi dell’iscrizione. La soluzione migliore per me. Ho ringraziato la ragazza della reception, ho salutato un altro paio di volti ormai noti, e ho preso le mie borse alla volta di Chinatown. Sono stato orgoglioso di arrivare fino all’albergo con la metro. Ho fatto un solo cambio e ci ho messo circa 20/25 minuti. Sul mezzo è salito un gruppo di suonatori di tamburo (tre elementi) eccezionali che hanno preso l’applauso del pubblico e diversi soldi, poi sull’altro vagone due ragazzi si esibivano in evoluzioni acrobatiche prodigiose, incantando la gente. La fermata Canal è a 600 metri dall’albergo. Ho aspettato 30 minuti la lentezza di uno della reception, poi sono salito e mi sono detto che era ridicolo dove sono, ma ci ho preso la mano. Sono stato in camera circa cinque ore a leggere dormire e mi sono visto sul pc Amore e Guerra di W. Allen, molto spassoso ma non impeccabile, nei ritmi.

Chinatown d’impatto è orribile, poi la vedi (ho passeggiato ieri sera per circa due ore e mezza) ed effettivamente è brutta ma è sorprendentemente vitale, piena di turisti, di americani, di locali, luci insegne, la batte appena Soho dove vedi l’America dell’arte e della cultura alternativa molto glamour, ridereccia, e spassosa … impossibile non incantarsi nel ritmo di quegli spazi di esistenza tanto sentiti. I vestiti, le espressioni del volto, l’arroganza o civetteria dell’alzarsi delle voci, risate con modulazioni inusitate. Insomma molto, molto affascinante. Ma troppo caotico per me, troppo glamour, e senza spazi di intimità. A Soho mi sono imbattuto in un paio di gallerie e sono certo di aver visto un dipinto di Basquiat e di Warhol e di Keith Haring. Ci tornerò, c’erano poi delle feste ovunque, alcune glamur, altre con tono nazionale, una era una festa rumena con gente super elegante metropolitana e gioiosa. Una donna sui 35 anni, bionda, col volto particolarmente intenso ha attirato la mia attenzione ricordandomi un po’ Courtney Love e un po’ l’attrice del video di Asaf Avidan, Reckoning songs. Le hai ricambiato lo sguardo. Ogni tanto quasi mi dispiace di essere frocio, piaccio un sacco alle donne. Ieri poi, come oggi, ho una gran voglia di fare sesso con uomini ovviamente. Mi ha molto colpito, credo sempre a Soho poi un locale che fa anche da teatro e eventi cinema, stavo per entrare a vedere uno spettacolo ma era già incominciato da 5 minuti. Troppo per me. Ho però preso una serie di opuscoli e visto che ha spettacoli sia alle 7 che alle 10 pm oggi o domani andrò a vederli. È un locale squisito, rilassato come una libreria, ma con un pianoforte un colore caldo – forse un po’ buio- un grande bancone a sette posti, frequentato proprio da americani artistoidi si direbbe (ma senza il fare del glamour che un po’ mi infastidisce alla lunga), e con il teatro-cinema. Si chiama Dixon Place, Sta sera ci dovrebbe essere Catahoula Cajun band. E vorrei vedere Gina Mobilio con “Razor Behavior” che era li ieri e che mi incuriosisce, poi vorrei vedere Voctoria Liberatore con il suo “No need for seduction”.  Ho camminato e mangiato mem’s prese ad un chioschetto, assorbendo il contesto. Alcune persone giocavano a calcio, in una piazzetta un gruppo di orientali americani giocava una specie di footbool, discutendo animatamente per i punteggi e esplodendo di gioia. Le strade erano piene di sacchi della spazzatura, c’erano topi agli angoli delle strade molto audaci. Non ne ho contati meno di 20. (ho scoperto che a New York gli scoiattoli sono più grossi dei topi). Ho visto un quadro di un’artista, non proprio banale, appeso su una staccionata così, in strada e mi sono fermato a guardarlo per parecchi minuti … – formato da una serie di linee orizzontali, spazi bianchi e linee oblique e verticali, un volto da scheletro o da Munch puntava una pistola nella direzione del passante- mancava d’intensità, l’idea c’era tutta ma il colore si perdeva in un formalismo poco comunicativo. Tra le mille cose che mi piacerebbe fare, non mi dispiacerebbe affatto essere anche un gallerista, a volte mi sembra di avere un sesto senso (che io chiamo semplicemente senso critico), per la sensibilità artistica, quasi non importa di che ramo dell’arte si tratti è un puro fatto di sensibilità artistica. Volontà di comunicare direbbe Pasolini. C’erano un sacco di punti di massaggiatrici aperto, non capivo bene se si trattava di puri massaggi o anche altro come in Italia. Tornando verso Hester st. (nome del primo racconto pubblicato da Truman Capote a New York) ho scoperto il Barzinho, ristorante e bar brasiliano in cui non posso non andare. Poi di fianco alla strada dell’Hotel, mio dio a due passi da me ho finalmente trovato Little Italy, sempre con sacchi di spazzatura per terra ma più pulita e piena di un gusto nostalgico, paesano e in qualche modo composto. Si tratta di non più di due incroci e 4 vie, dove si estendono i ristoranti di tradizione italiana, Ferrara, Pugliese, La mela, etc.. Mi ha un po’ rattristato vedere l’Italia nel suo quartiere rappresentata solo da ristoranti, non so mi sembra poco. Poi ho visto un museo che oggi o domani andrò a vedere, dedicato alla tragica caduta di un edificio dove lavoravano molti italiani nei primi anni trenta. In strada c’erano due limousine bianche. Adoro le limousine. Sono entrato a mangiare a La mela, era l’unico dei ristoranti senza un nome regionalistico, famigliari stico o banale. Avrei voluto chiedere perché La mela, e poi perché non scritto in americano, davvero curioso anche perché non si tratta ovviamente di un fruttivendolo. Un cameriere portoricano, mi ha atteso. Ho chiesto in onore a Bologna, la mia ultima città, un piatto di rigatoni alla bolognese e un bicchiere di vino rosso, era mezzanotte e trenta. L’interno del locale lodevole per le dimensioni contenute, anche se non so se ci fossero o meno altre sale, presentava una serie di tavoli quadrati uniti a coppie sui due lati, e al centro due file da tre tavoli. C’era una famiglia con tre adulti e due bambini, una coppia di fidanzati, un signore elegante di mezz’età corpulento senza essere grasso che era li, sentivo perché il volo aveva un ritardo di 4 ore. Insomma c’era pace. Finché non sono venuti un gruppo di 5 individui, forse muratori, ma comunque lavoratori 3 dei quali erano italiani. Il più grosso e grasso, simile al conduttore brasiliano Faustaon, è entrato senza rispondere al saluto del cameriere e sputando “FIVE PERSON” proprio così, con marcato accento italiano, poi si è girato dall’amico e ha detto “Mincchia c’ah voii manggiare salvatore?!”. Ho guardato due volte nella loro direzione, col mio fare vagamente distaccato sperando mi dicessero qualcosa e invece Fauston mi ha solo sparato secco secco un sorriso mordace. Allora mi sono messo a mangiare, anche perché non facevano troppo casino. La pasta era normale, di quelle che trovi a 5 euro in un qualsiasi baretto italiano e del sugo alla bolognese non aveva niente. Io stesso potrei cucinarla meglio, e non sono un cuoco. Il vino non mi piaceva. Ma non sono un esperto di vino. So solo dire se mi piace o non mi piace e magari il perché. Questo era poco corposo, retrogusto cantininoso e senza aromi. Poi con calma sono venuto al loculo. Era finita l’ora d’aria. È tutto.

 

Vado a scoparmi il sole.

 

p.s. mi farò una magliettina così “I’m going to fuck the sun”

 

(11.40)

Immagine di copertina:  Denise Montresor, Microorganismi_ Metamorfosi.1

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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