Pubblicato il 26 maggio 2022 su Agenzia di Stampa Giovanile
Uno “speed date” ha dato inizio al terzo incontro di Circolo Climatico al MUSE di Trento. Lo scopo, però, non era quello di trovare l’anima gemella, bensì di scovare, nel gruppo di giovani tra i 16 e i 35 anni che partecipano al progetto, qualcuno che avesse degli interessi affini per quanto riguarda la sostenibilità e l’ecologia.
In questo incontro si è entrati nel vivo del progetto Circolo Climatico, portato avanti dall’associazione Viracao&Jangada con la collaborazione del MUSE, dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente (Appa), Extinction Rebellion e Fridays for Future Trento e co-finanziato dal Piano Giovani di Zona Trento Arcimaga.
A condurre l’incontro, molto partecipato e interattivo, è stata la psicologa Laura Endrighi, che ha presentato il concetto di “eco-ansia”, anche detta “ansia climatica”; un termine coniato da Glenn Albrecht, professore di sostenibilità alla Murdoch University (Australia). “Le emozioni ambientali – ha spiegato – all’inizio, nel 2010, colpivano soprattutto gli attivisti e le persone più sensibili al cambiamento climatico. Ora invece sono diventate qualcosa di comune a molti altri individui”.
Anche i partecipanti a Circolo Climatico sentono dentro di sé la preoccupazione nei confronti dei disastri che sconquassano il Pianeta, nonché l’ansia di non poter fare abbastanza in quanto soggetti “piccoli” che poco o nulla possono di fronte a un sistema più grande di loro. Il questionario somministrato nel corso del primo incontro, compilato da 13 giovani, ha offerto degli spunti di riflessione: 9 giovani sentono di preoccuparsi più degli altri del cambiamento climatico, mentre 6 si sentono paralizzati e non sanno come agire.
Prima di affrontare “un’emozione alla volta”, i giovani hanno espresso le proprie emozioni “a ruota libera”. C’è chi prova rabbia perché non riesce a convertire i pensieri in azione, chi è frustrato perché sente che tra i suoi coetanei sono pochi quelli che si interessano al problema del cambiamento climatico e chi invece si lascia prendere dalla tristezza e dal dolore nel vedere le conseguenze dell’inquinamento, della devastazione della natura e gli allevamenti intensivi.
“Ora mi sento ‘inutile’, sento di non poter agire – ha detto un giovane partecipante -, mentre tra il 2018 e il 2019, quando ho partecipato alle prime manifestazioni dei Fridays for Future, credevo ancora di poter far qualcosa, di poter essere attore del cambiamento”.
Divisi in 5 piccoli gruppi, i giovani hanno poi riflettuto su altrettante “emozioni climatiche”, cercando di coglierne i sintomi e le limitazioni, ma anche le potenzialità.
EMOZIONE NUMERO 1: LA RABBIA
La rabbia può manifestarsi con tremore, arrossamento, tono di voce diverso, isolamento… Provare rabbia, però, secondo i partecipanti a Circolo Climatico significa anche tenere a un determinato tema. Le strategie per contrastarla possono essere l’attività fisica o il convogliare questo sentimento in attività e progetti utili (in sintesi, nell’attivismo).
EMOZIONE NUMERO 2: LA TRISTEZZA
La tristezza provoca chiusura e pianto, ma può anche avvicinare le persone: gli altri, infatti, possono sentirsi coinvolti e cercare di aiutare questa persona triste. Importante è capire perché siamo tristi, accettarne il motivo e capire se si può cambiare. Qui si è nominata anche la solastalgia, il sentimento di tristezza che può avvolgerci quando pensiamo a un ambiente caro che è stato modificato oppure che non c’è più.
A volte anche spegnere per qualche giorno i social può essere d’aiuto: è importante infatti saper leggere il contesto, non solo la singola notizia, che spesso nel web è spettacolarizzata – si parla in questo caso di showrnalism – e provoca ancora più ansia.
EMOZIONE NUMERO 3: L’ANSIA
L’ansia aumenta il battito cardiaco, che si accorcia, mette in uno stato di agitazione, costrizione e talvolta anche di perdita di controllo. Spesso però tante persone che soffrono d’ansia sembrano tranquille: può darsi anche che quest’emozione, infatti, si trasformi in un rimuginio continuo che avviene solo internamente (“worry”). Per contrastarla bisogna fare respiri profondi e riconoscere gli eventi che ci generano ansia; un sentimento che comunque può essere un buon motore per farci muovere e per darci consapevolezza. Anche stare a contatto con la natura può essere utile: il blu e il verde del cielo e della natura – è stato dimostrato da diversi studi scientifici – abbassano il battito cardiaco.
EMOZIONE NUMERO 4: IL SENSO DI COLPA
Un peso interiore e un senso di vergogna ci sovrasta: è il senso di colpa. Può essere contrastato grazie alla consapevolezza e capendo che il passato è passato, non possiamo cambiarlo, ma possiamo agire sul futuro. Ecco che il senso di colpa può quindi spingere ad agire, a fare la differenza. Parlare tanto senza fare niente fa scattare il senso di colpa, mentre fare consente di percepire la sensazione di autoefficacia.
EMOZIONE NUMERO 5: PAURA
Si ha spesso la sensazione che tutto ciò che possiamo fare di fronte al cambiamento climatico è mettere in atto piccole azioni che non servono a un granché, perché il mutamento dovrebbe essere radicale e sistemico. Allora scatta la paura. Può essere utile sapere che non siamo gli unici a provare quest’emozione e che se siamo in tanti a mettere in atto piccole strategie di cambiamento allora prima o poi quel cambiamento avverrà.
“Il piccolo è concentrico, piano piano si raggiunge il globale”, ha affermato una partecipante.
La paura è data da eventi estremi ma anche da piccoli eventi come l’aumento delle temperature, perché sappiamo che sono collegati a qualcosa di più grande. C’è anche chi non vuole avere bambini perché ha paura di metterli al mondo in un momento in cui non si vede un futuro. La paura si articola in tre reazioni: fuga, attacco o paralisi. Ognuno ha il suo modo di manifestarla, ed è tanto più strano quando questa paura si manifesta nei confronti di qualcosa di invisibile come il riscaldamento globale: non lo tocchiamo con mano, anche se ne vediamo le conseguenze, eppure c’è.
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