Nota per essere la principale linea difensiva tedesca sul fronte dell’Italia meridionale, la linea Gustav (o Winter Line), si estendeva dalla foce del fiume Garigliano, confine naturale tra sud e centro Italia sul versante tirrenico, alla città di Ortona, sull’Adriatico, a circa 25 km a sud di Pescara. Il suo fulcro strategico era rappresentato da Cassino e dalla sua abbazia.
Il fiume Sangro è raggiunto dalle truppe alleate nel novembre 1943 e la città di Ortona alla fine del dicembre successivo, dopo intensissimi combattimenti. Questo piccolo centro, bombardato per mesi dagli Alleati, quasi completamente evacuato dalla popolazione, sfollata altrove, e praticamente raso al suolo, sarà definito la “Stalingrado d’Italia” per i combattimenti che vi si svolsero, casa per casa.
Sul fronte tirrenico, la Gustav cadde solo nel maggio 1944. In quello stesso periodo i reparti Alleati, sbarcati ad Anzio nel gennaio precedente, riuscirono finalmente a passare all’offensiva. Tra lo sfondamento della Gustav e la liberazione di Roma (4.6.1944) passarono meno di venti giorni.
È raro e soprattutto non facile senza cadere nella retorica o nella banalità, scrivere in versi di quei maledetti 18 mesi che vanno dal settembre 1943 ad aprile 1945 in cui l’Italia fu spaccata e violentata, l’Italia degli sfollati, della fame e delle bestiali stragi nazifasciste o degli incessanti bombardamenti alleati, come a Guardiagrele (Ch), paese natale del poeta. Qui una bomba anglo-americana finì su un tunnel dove erano rifugiate 40 persone e nella deflagrazione, vennero uccisi in 15. L’ordigno non risparmiò nemmeno due bambini. Altre 14 persone, trovarono poi la morte in altre zone del borgo.
In questa raccolta, che è un viaggio nei luoghi delle proprie radici, Nino riesce a creare col lettore un senso di compartecipazione, di umana vicinanza prim’ancora che ideologica o politica, con quei giovani poco più che ragazzi e con quei vecchi che tutti i giorni lottavano per la sopravvivenza propria e dei propri affetti, vittime casuali della barbarie di tutte le guerre.
Linea Gustav è anche il passaggio del testimone degli ideali di libertà e di democrazia dal padre-poeta ai propri figli, attraverso un viaggio fisico-temporale a Guardiagrele. Nino Iacovella sceglie in modo preciso e puntuale per i suoi versi parole piene e senza fronzoli o abbellimenti, in questa raccolta poetica che potrebbe essere definita quale una sorta di iniziazione all’età adulta, l’età delle scelte e delle responsabilità, l’età dove sapere da che parte stare, anche se spesso ciò significa dolore o solitudine.
Vorrei cambiare nome agli inverni
tenendo più stretto il ricordo del freddo
il gelo nelle dita dei soldati
Veder sparare ancora i tedeschi
a denti serrati dall’alto del muraglione
con occhi che spezzano a vivo
la coda inerme degli sfollati
E cercarvi lì, tra i vecchi a coprire le madri,
le madri come rifugi per sagome minute
(tra il seno e la spalla, insenature
come porti per piccole teste
spaurite nella burrasca)
Sul paese come un’ombra la linea Gustav,
tracciato d’inchiostro sulle rovine,
il confine tra chi si butta a terra
prima o dopo lo sparo
**
Nel momento della ritirata tra le lenzuola
con i corpi arrotolati che si sciolgono l’un l’altro
tra le pareti lisce, alte come barricate,
la finestra è un’incursione della notte
che mostra la prospettiva d’assalto
Quando è il momento di chiudere la persiana
la rotazione del cardine mi dà ragione, sgrana
come i denti dell’obice puntato sulle nostre vite
Il sogno di mio padre è un’allerta:
fai scorte di viveri,
ti raggomitoli in posizione fetale
Come se un bombardamento finisse,
siamo stesi con le mani intrecciate
e le bocche a mordere il cuscino
Questa notte, se la mia presa sarà forte
più lunga di un abbraccio,
è perché ho sognato che ti tenevo a stento
mentre i colpi di mortaio sibilavano in aria
Vedevo l’ospedale da campo che si allontanava,
sembrava irraggiungibile: eri ferita come mio padre
e io non volevo lasciarvi morire
**
Ancora bambine erano le madri
a tracciare i sentieri di neve:
un rosario di passi sopra una coltre di terra,
la carcassa di una vacca
aveva il sapore della carne sprecata
Tra le grotte si trincerava l’inverno,
un freddo più lungo del silenzio
rimasto annegato nell’acqua
Per tutti l’incubo della guerra
non si disfaceva mai nei risvegli, e i pensieri
non erano mai così distanti dai sogni
**
Incursione aerea del ’43
Questa terra accorcia i respiri,
reclama i passi dei vivi a piedi nudi
come se non dovessero avere peso
per stare qui, calchi sull’erba
destinata a sfarsi
È il sottosuolo della lapide
dove crescono ancora radici
come braccia
Nell’eterno crollo del rifugio stanno i corpi
tra gli strati di memoria, rannicchiati come bulbi
che stentano a rinascere
Per questo siamo noi a sentire
il freddo del silenzio,
e baciamo il marmo con le dita
come per toccarvi
**
Tregua
Cessata la battaglia ognuno spala
sul proprio versante dei sopravvissuti
Il percorso della carne pulsa ancora
di sangue e sudore
Apre uno strato di gemiti e volti
aggrappati alla stessa supplica
E già un nodo riprende alla gola
fa mancare fiato alle braccia
Il tempo di trovare una lama
che scavi tra le facce
e separi le voci
**
La poesia non può cambiare l’ordine
del dolore
Quella polvere non si poserà altrove,
piuttosto ricuce addosso la presenza
delle lapidi, insinuando al funambolo
che osa lo sguardo oltre la corda
che sovrasta le proprie rovine
Cercare ricordi, tra i muri anneriti
e le case abbandonate, noi tra le notti ancorate
con le unghie che vanno a fondo
ai bordi del materasso, avessimo visto i volti,
le madri tra i vuoti delle stanze,
avremmo un taglio più vistoso al collo
e come parole un filo di voce
Per questo lanciamo solo segnali di fumo
da posti sicuri e abbandonati
e se apriamo nascondigli
nutriamo un vuoto di formaldeide,
un lascito di brace che toglie il respiro
Lasciamo tepore, ma con parole di cenere
dopo ogni bivacco
**
Anchelei Iacovella
(Anchelei)
C’è un taglio di luce e polvere dentro la stanza
i miei genitori, le voci che tornano
a riempire il vuoto dei ricordi della mia infanzia,
che mi dicono: guarda questo signore
è il cugino di tuo padre che vive nell’altitalia
A chiamarsi Anchelei ci voleva coraggio,
uno dei tanti nomi di famiglia
da indossare come buffi vestiti per i nuovi nati,
nomi in bilico tra lo scoppio di una mina
e l’imbarazzo di trovarsi nello scherno
di una sonora risata
Nato prematuro, di notte, tuo padre si sorprese
rincasando tardi a casa
“Piacere, anche lei a casa mia”
E Anchelei Iacovella fu il tuo nome
E poi la guerra arrivata a bussare alle nostre porte spalancate
Li hai tenuti tu, sotto lo sterno, i colpi dei bombardamenti?
Li hai custoditi tu, sull’orlo delle notti, i sentieri della montagna?
Si Anchelei, tanti anni dopo la tua scomparsa,
sfogliando l’elenco dei nomi dei partigiani della Brigata,
non avrei mai immaginato di incontrare… anche lei,
insieme alla foto in divisa, un ragazzo
dal viso pulito, timido
E ho pianto
===
Biografia:
Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ‘68. Ha una formazione socio-economica. Ha riesordito in poesia nel 2013 con Latitudini delle braccia (deComporre, Gaeta). Del 2015 è la plaquette La parte arida della pianura (Edizioni Culturaglobale, Cormons). Suoi testi sono apparsi nel progetto editoriale Di poesia e psicanalisi. L’indicibile sottratto al nulla, Città del Sole Edizioni, 2018. Ha curato insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo l’antologia poetico[1]critica Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (1990-2015) Ed. CFR, Milano, 2016. È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano.