Trattative di Spyros L. Vrettòs è un libro assolutamente originale tra narrazione poetica e versi, e cosa ancor più inaspettata per una raccolta poetica, contiene al suo interno una trama. Non mancano elementi di suspense in queste pagine preziose che scandagliano con la luce abbagliante del Mediterraneo i meccanismi psicologici dell’amore, quelli della politica e della società greca contemporanea e riescono a restituire con disarmante chiarezza i rapporti tra predatore (la troika che impone dalla seconda metà del 2009 al Paese sacrifici e cure sfibranti quanto ingiuste e dolorose per i più) e depredati (i greci depauperati del futuro, selvaggiamente impoveriti, ai quali in pochi giorni crolla ogni riferimento del vivere quotidiano).
Il libro si compone di tre sezioni. La prima sezione Il giudice istruttore e il fatto si snoda attorno a un fantomatico processo: il 15 marzo accade un fatto sul quale il giudice istruttore cerca di far luce raccogliendo le testimonianze di alcuni strani testimoni. Cosa sarà il fatto? L’autore ci porta a seguire tracce diverse, senza mai disvelarlo: il fatto potrebbe essere la morte, il tempo, la Storia, l’amore o la poesia stessa, cioè l’essenza della parola.
ABBIA ANCHE LA LUCE UNA RAGIONE
Il giudice istruttore origlia la coppia e parla da solo:
1
Ah, per fortuna ho fatto in tempo a origliare
e salvare ancora qualche frammento.
L’uomo parlava, delirava.
Quante volte nella sua bocca andavano e venivano
il corpo e l’anima
– come cose e pure come parole.
Quante volte si fermava e forse la baciava.
Quante volte le ha detto d’esser lei il fatto.
Non voglio più giudicare
ma ascoltare.
Parole giungono da lontano
oppure, e sia, da vicino.
Una lingua già pronta per favore
e non che debba esser io a metterla assieme.
Voglio smettere di pensare
che l’ignoto fatto,
il più ignoto fra tutti,
s’è ridotto a essere la mia lingua
mentre non le riuscì mai intero
di registrare il mio pensiero.
[…]
3
Tuttavia è possibile
che neppure l’amore sia il fatto.
Più fatto di questo
è possibile sia la poesia che lo rende un fantasma.
Perciò smette all’improvviso
l’adesso a essere adesso
e diviene prima dell’amore
o dopo la poesia.
4
Eppure accanto non smette d’udirsi
la bella confusione.
Aguzzo di nuovo l’orecchio
nuovi frammenti si salvano del discorso:
Mi sfiori.
E come la tua mano s’appressa al collo
e sotto cerca
ed è curiosa di vedere
se di vestito si tratta o già del corpo,
sfiori pelle e la pelle mia l’avverte
e senti allora come la mia pelle
è abbastanza
per vestirmi
e per svestirmi.
E seguono poi quei loro discorsi
e sempre vanno a dirsi
e sempre dietro vanno
mentre s’impone con forza il corpo.
Suoni, Dio mio, e notte incredibile.
E voglio questa notte
smetta d’esser chiamata notte
e luce a un certo punto venga detta.
Come luce la conosca chi verrà.
Abbia anche la luce
una ragione.
Nella seconda sezione Continue Trattative l’accento si sposta ancor di più sulla parola, quella amorosa in Labbra cucite, quella politica in Trattative per il prestito di un paese e Scadenza del programma e quella dell’umana compassione, del patire insieme, in Cena per lo straniero, che raggiunge picchi di rara emozione lirica.
LABBRA CUCITE
(ai confini)
Non ho luce, le diceva.
Se ne avessi te ne darei perché tu mi veda
pure se parlo non mi senti
perché – hai dimenticato? – sono cucite le nostre labbra
perché – hai dimenticato? – su chiusi confini ci troviamo.
Tempo fa – ricordi? –
erano le mie labbra nelle tue.
Si spingevano l’un l’altra le nostre lingue
quale avrebbe vinto.
E poi
cucite si fecero le nostre labbra.
Quale parola stava per uscire? Ricordi?
Quale fiera parola
si credeva sufficiente
a esser pronunciata e vincere?
Perciò
cucite si fecero le nostre labbra.
Venga la voce, venga la voce dietro le labbra
venga e sia corpo ch’è proferito
abbandonato nel discorso
spacca le labbra, spacca i denti
spazza i forti legacci, apre
sposta più in là i confini, li apre
perché giunga la parola che solo in voce o fatto
la tua bocca apre.
Tempo fa – ricordi? –
la tua pelle si muoveva
come volesse risalire più su nel corpo.
Molto mi cercava, mi volevi, ricordi?
Resta vicino, mi dicevi, per non perderci.
Non vedi che si sono raccolte persone a migliaia?
Non vedi che si son tutti fermati?
I limiti, i limiti, mi gridavi
i confini, i confini chiusi
come transiteremo in un altro paese?
Neppure io ho luce, gli diceva.
Se ne avessi te ne darei perché tu mi veda
spegnermi. E sono chiusi i confini
e sono serrate le mie labbra.
Ed è già la mia pelle
più su nel corpo.
Novembre – Dicembre 2015
***
TRATTATIVE PER IL PRESTITO DI UN PAESE
I
(il rappresentante dei creditori)
Pian pianino dunque e con la serietà che bisogna.
Senza fretta escono le nostre parole
soffrano infine di molto equilibrio e studio.
Non si vedrà la sconfitta di nessuno.
Non si vedrà che qualcuno ha perso dalle trattative.
Tuttavia – a pensarla meglio –
pensateci a noi i potenti.
Non deve apparire che in nessun modo siamo arretrati.
Sia allora vostra una sconfitta.
Una sconfitta della parte debole,
ma non così lontano da un buon
un certo buon compromesso,
è ben tollerata dal mercato,
il denaro schizzerà alle stelle.
[…]
II
(il rappresentante del paese)
[…]E se mi chiamate esistenzialista
è perché vi son sembrato un politico
è perché tra le mie parole non scovaste
i numeri che vi convinceranno.
E accade perché ogni parola da sempre esiste.
Forse per questo non faccio giuste trattative
e in accordo ai vostri modi.
Dunque ciò che all’inizio dissi
e null’altro.
Sollevatele le mie parole e altre non troverete.
Non son moneta le mie parole da poterne batter altra.
Il solo cambiamento che infine mi concedete
è la parola “uomo” con “uomo”
o “prestito” con “transatlantico”
“pecunia” con “peccato”.
E dovete assolutamente accettarlo:
Metto in rima.
E dopo questo
eh, mettiamoci d’accordo.
Sembri una sconfitta di tutti.
Una trattativa aperta
neppure Dio l’accetta.
***
SCADENZA DEL PROGRAMMA
Quando stava scadendo il nostro tempo,
e morivano il nostro accordo e il nostro programma
e rimanevamo esposti alla comunità internazionale
gambe all’aria e morti
senza denaro che scorresse da nessuna parte nel paese,
c’indirizzammo al tempo universale
e ai suoi bei guardiani.
Aggiungete, dicemmo loro,
qualche ora ancora.
Aggiustatelo il tempo
fino a ingrandire la notte
e far a tempo a raggiungelo questo sviluppo,
e a far le trattative,
stringere il nuovo accordo
che non ci dicano fuori termine, scaduti
e tutto il resto.
E i guardiani in consulto.
Hanno detto che non può arenarsi il tempo.
Un secondo ci hanno concesso.
Tanto, ci dissero, potevano aggiungere.
Tanto, perché non sia percettibile.
Un gran favore ci fanno.
E guai a dirlo in giro
e tutti a chiedere secondi, come fossero moneta.
Non siamo, ci dissero, una Banca del Tempo
ma, se volete, lasciate un’offerta per il disturbo.
Lo comprammo dunque il secondo
con gioielli e preziosi, verghe d’oro
– ma dove si son trovate tutte queste cose? –
e qualche statua mutilata;
di queste ci siamo tenuti gli occhi e le braccia
– li abbiamo gabbati, i guardiani
perché nessuno di loro conosceva
com’è fatto un uomo.
Lo comprammo dunque il secondo
e con lui ci siamo comportati con bontà,
come ci si comporta con i bimbi piccini,
e lui ci ha contraccambiato…
Ma qui ha inizio la segretezza.
Si chiudono le porte con fragore
e la parola deve essere taciuta.
***
CENA PER LO STRANIERO
La maniglia della porta s’arrende
alle sue mani.
Una tovaglia poi
che scuotono senza polso
le stesse mani.
Che tempo fu necessario
dalla porta sino al giardino
quante briciole le son scivolate giù
per poi seguirle al ritorno
fosse mai si perdesse in quei due metri.
E dice:
Lo straniero voglio.
Riscaldarlo voglio solamente.
Riscaldarlo con parole che da tempo ho apparecchiato.
Mi si avvicini colui che straniero s’è ridotto
e smetta d’esserlo, straniero
e divenga il conoscente uno di famiglia.
E dice allo straniero:
Ti vedo entrare a casa.
Guardami, di nuovo sto apparecchiando.
E te lo dirò, che tu lo sappia:
La tovaglia mai fui capace di scuoterla bene.
Volevo che vi rimanessero sopra le briciole
dall’ultima volta che fummo assieme.
Dunque non andare.
Di nuovo sto apparecchiando la tavola.
E spingo via con le mie mani
tutte le briciole nelle tue.
Perdonami,
da allora non ho più cucinato.
La terza sezione Piccola storia d’amore si compone di sette “quadri” di prosa onirica sospesi tra sogno e reale, in cui nel palinsesto degli amanti ogni cosa è possibile, ogni trasformazione interiore o corporea s’accompagna alla delicatezza della narrazione. In questa sezione può ritrovarsi anche la traccia di un ritorno circolare alla prima sezione, quella delle deposizioni attorno al fatto misterioso, che non sveleremo in queste poche righe.
LA GIUSTA MOSSA
A tal punto si erano identificati, che non appena lei a
casa sua faceva un gesto, lui, che si trovava altrove,
l’indovinava questo gesto, lo vedeva avvenire come
gli fosse innanzi. O non appena lei stava per
muoversi, subito se ne pentiva, perché capiva che lui
avrebbe previsto un gesto differente, e quindi era
l’altro movimento che faceva.
Dunque un giorno che voleva prepararsi per andare
da qualche parte, indossò begli abiti, nei suoi occhi
riversò luce il giorno, si pettinò con le dita giù dritte
nei capelli preparandosi a scendere. Fin qui tutto
bene. Lui ch’era altrove prevedeva tutto nella giusta
maniera e lei se ne accorgeva, e seguitò nei gesti. E
quando venne il momento in cui la scala l’attendeva
a scendere quaranta e più gradini, invece di dirigersi
al piano di sotto e riversarsi in strada, si mosse in
direzione opposta, verso la terrazza. Perché di
nuovo sapeva che lui l’aveva prevista quella mossa, e
non l’altra. E saliva allora, se non cento, all’incirca
non di meno tante scale. E più saliva, più sentiva che
era la giusta mossa, che lui la prevedeva quella
mossa, la vedeva compiersi come gli fosse innanzi.
E lui era lì. E lei lo sapeva. Due gradini ancora.
***
LE IMPRONTE DIGITALI DELLA VOCE
Quando la sua voce va via, come impronte digitali che escono dalle labbra, le sue onde sonore proseguono e si disperdono. Perché anche la voce si origina dal tatto, che rimane punto fermo primo tra i sensi. Per primo il tocco delle dita, segue il tocco delle labbra quando parlano e soprattutto quando urlano per farsi sentire da lei ch’è distante. Perciò alcune volte vediamo, quanti tra noi han capacità di vedere, la voce proferita come tocco, per non dire come vista che avanza.
Non appena le onde sonore s’accostano lì ove volevano arrivare, diventano mani dalle dita forti. Aprono porte senza preoccuparsi di averle toccate. Segretamente tra sé e sé le mani dicono: “Figurati se ci trovano, siamo fatte di voce e la voce non lascia impronte”. Dopo sfiorano gli occhi chiusi della donna. Sono le uniche mani che carezzano la pupilla degli occhi.
Di nascosto tra sé e sé le mani dicono: “Figurati se ci trovano, sulla pupilla impronte non rimangono”. Tutta la sera sistemano casa e ogni tanto coprono lei che dorme. Ma appena arriva l’ora per le mani di ridiventare voce, le parole non giungono.
Accanto a lei, sul cuscino vuoto, la donna ha lasciato un biglietto che dice: “T’aspetto solo come tocco, e io farò finta di dormire”.
======================
Biografie:
Spyros Vrettòs Spyros (Lefkada 1960) ha studiato legge ad Atene. Vive e lavora come avvocato a Patrasso. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, un’antologia, tre saggi e un libro di racconti. Le prime cinque raccolte sono state tradotte in inglese da Philip Ramp (Collected Poems, Shoestring Press, 2000). In Italia è comparsa un’antologia con traduzione di Massimo Cazzulo (Il postscriptum della storia, Atelier, 2005). Le sue poesie sono tradotte in molte lingue. Dal capitolo Medea della raccolta Accade è stato realizzato il lavoro teatrale Medea di Màros Galani. Dal libro di racconti “Ένας αόριστος άνθρωπος” (Un uomo qualunque, Gavriilidis, 2016) è nato uno spettacolo teatrale, per la regia di Artèmidos Grybla (Θέατρο act 2018). È membro della Società degli Scrittori e del Circolo dei Poeti
Chiara Catapano nasce a Trieste nel 1975. “L’aria natia tormentosa” ne influenzò di certo carattere e scelte: il sapore inizi ‘900 della città, il cui orologio s’era fermato e che pareva una parentesi tra Balcani ed Europa, le ha dato la possibilità di crescere sentendo parlare per le strade e nelle botteghe tedesco, croato, serbo, greco. Dopo il Liceo studia Filologia Bizantina e Neo greco presso l’Ateneo tergestino, con intermezzo di un anno trascorso ad Atene per la preparazione della tesi di laurea. Traduttrice e poetessa, ha pubblicato due raccolte poetiche (Thauma ed.). Suoi articoli, racconti e poesie sono comparsi in riviste italiane ed internazionali e tradotti in diverse lingue. Ha organizzato assieme ad prof. Andrea Aveto dell’Università di Genova la riedizione dei “Discorsi militari” di Giovanni Boine, curando in particolare l’antologizzazione dell’epistolario boiniano e la ricerca nelle emeroteche di Bologna e Roma. Il volume è stato pubblicato dalla Fondazione del Museo Storico del Trentino. Collabora in modo continuativo con la rivista internazionale “Traduzionetradizione” – http://www.traduzionetradizione.com/, con la rivista Poetarum Silva – https://poetarumsilva.com/, con l’Università di Atene, con diversi poeti greci di cui cura l’opera in maniera continuativa o sporadica: Ioulita Iliopoulou, Athinà Papadaki, Spyros L. Vrettòs, Liana Sakelliou, Christos Toumanidis, Sotirios Pastakas, e altri. In Italia collabora con Paola Minucci, Letizia Leone, Franca Mancinelli e altri. Studia presso la scuola di “Animologia Immaginale” di Trieste. È giurato e traduttrice per il Festival e Concorso Internazionale del Castello di Duino. Ama tradurre. Ama il greco. E forse questo è ciò che conta, nella sua biografia.