Dionisio Salas Astorga: l’esperienza della fatalità (a cura di Grazia Fresu)

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Dalla Fotogallery: Patrimonio permanente, Mauro Milani, archeologie possibili, 2020, acrilici, bitume, carta povera, foglio oro su carta lignea di pioppo

 di Grazia Fresu

Dionisio Salas Astorga, poeta cileno-argentino è oggi una delle voci più interessanti della poesia latinoamericana. Ho avuto il piacere di conoscerlo e di approfondire la sua poetica attraverso la traduzione dallo spagnolo all’italiano delle sue sillogi. La raccolta oggetto di questo articolo riunisce versi scelti dai libri pubblicati dal 2013 al 2018, un compendio significativo dei percorsi poetici del nostro autore, riuniti sotto un titolo “L’esperienza della fatalità” che di per sé ci offre la chiave di lettura del suo universo poetico.
Non siamo infatti, nonostante le diverse sillogi che compongono questo libro, davanti a una antologia frammentaria ma davanti a un itinerario poetico che cerca nella sintesi la sua risignificazione.
Nella letteratura, nel pensiero stesso non si può prescindere dall’esperienza della fatalità, ossia della disgrazia che non possiamo evitare né controllare.
La realtà in cui gli uomini vivono in ogni tempo è plasmata dalla fatalità, come dice Emil Mihai Cioran,.scrittore e filosofo rumeno, nella prefazione di questo libro: “Una poesia degna di questo nome comincia per l’esperienza della  fatalità. Solo i cattivi poeti sono liberi”.
Il riconoscimento della fatalità non significa se non lucidità del vissuto, ma allo stesso tempo volontà di azione sul reale.
L’apparente cinismo del nostro autore, Dionisio Salas Astorga, e le sue provocazioni, la sua crudeltà nel rivelare i fatti sono un modo di mostrare la realtà davanti agli occhi automatizzati della maggior parte degli uomini.
Il poeta rinnega l’io, rifiuta il ruolo del testimone innocente, assume una voce collettiva, non si considera un vate, un interprete della realtà, lui stesso è sommerso nella realtà, la soffre come tutti gli altri.
Uno dei suoi compiti è riconoscere la colpa umana però non nel senso cristiano di pentimento dei peccati, non esiste neppure il senso di colpa, il poeta è un esibizionista collettivo, ossia espone in vetrina quello che condivide con tutti.
Non parla il linguaggio elitario de “I Poeti laureati” di cui parlava Montale, ma il linguaggio massivo degli uomini comuni, per evidenziare con l’uso della loro stessa voce i loro limiti, i loro pregiudizi, le loro incapacità a leggere la piccola e grande Storia. Suo compito è detronizzare il poeta con piedistallo e corona d’alloro, desacralizzarlo, come hanno cominciato a fare tutti i grandi poeti del Novecento.
Questa fatalità poetica, motore centrale del libro, è radicata nella storia personale del poeta. Nato in Cile, vive per un periodo in Europa e poi si stabilisce in Argentina, a Mendoza. Qui la sua identità culturale viene valorizzata da nuove esperienze, al punto che il poeta si riconosce più nella realtà argentina che in quella del suo Paese natale. La sua cultura letteraria, filosofica e politica si costruisce dentro una visione chiaramente definita, che non fa concessioni allo statu quo e alle lusinghe del Potere. In Argentina ha portato avanti inoltre la sua formazione docente con una laurea magistrale in letteratura argentina contemporanea.

I suoi riferimenti letterari provengono da autori del XX secolo come Vicente Huidobro, Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Nicanor Parra, Hervé Le Tellier, che il nostro autore considera con l’orgoglio di un’appartenenza originale che deve essere riconosciuta ma dalla quale ha dovuto distinguersi per trovare una propria voce autonoma. Importante per la sua formazione è stato l’incontro con un Mecenate, un insegnante molto colto, anch’egli disegnatore, innamorato di Val Paraiso, che all’età di 17 anni lo ha introdotto in un mondo nuovo, una biblioteca infinita; per due anni si sono incontrati per guardare film, ascoltare musica, visitare i luoghi, parlare di letteratura universale.
Così il nostro poeta ha subito il fascino dei romanzi, della poesia spagnola, francese e ispano-americana, sentendosi erede della cultura europea, della saggistica, del teatro americano ed europeo, della letteratura e del cinema impegnato di Pier Paolo Pasolini, previlegiando inoltre scrittori italiani come Dino Buzzati, Cesare Pavese, Italo Calvino, Alberto Moravia, ecc. Mentre in questo rapporto intenso tra maestro e discepolo acquista fiducia in sé stesso e negli strumenti della sua cultura che va definendo, si scopre scrittore e poeta.
Dopo aver vissuto l’adolescenza e la prima giovinezza sotto la dittatura di Pinochet, ha lasciato il Cile nel 1984. La sua ribellione all’ingiustizia nasce da questa esperienza e si approfondisce di pari passo con i suoi interessi sociali e politici. Possiamo dire che anche l’originalità del suo linguaggio poetico deriva da questa ribellione interiore e umana verso ciò che lo circonda. La sua sperimentazione linguistica è l’inevitabile conseguenza della sua posizione etica e non il contrario, come in un certo tipo di avanguardia.

La poesia, per il poeta, deve generare pensiero, la funzione della letteratura deve portare il lettore a un impegno con la realtà, smuovere l’indifferenza del lettore, generare commozione. La sua è una letteratura d’impegno, ma non trascura mai il linguaggio poetico, lo plasma in linea con il pensiero che rifiuta ogni conformismo. E non c’è conformismo nelle sue immagini, nelle sue metafore, nei suoi versi. L’originalità si fa strada senza farsi manifesto di avanguardia, ma per favorire una coscienza critica che determini anche un’azione critica sulla realtà.
Questa coscienza critica lo porta a considerare con serietà i suoi progetti letterari tanto che in ognuno sono evidenti lo studio e le ricerche che sottendono. Si considera un poeta ricercatore che affonda i denti nella realtà, che le toglie i veli della banalità e delle vetuste convenzioni sociali, che ama la ricerca bibliografica. Il testo nasce a volte da un’idea, da un luogo comune che il poeta ribalta per rivelarne il senso nascosto.
In questo libro antologico il poeta ci propone poesie scelte da sei raccolte: ”Sabanas sin flores” (Lenzuola senza fiori) del 2003,  “Como en las películas” (Come nei film) del 2013, “Últimas oraciones” (Ultime preghiere) del 2013, “Crónicas cínicas” (Cronache ciniche) del 2014,  “Para salir a matar” (Per uscire ad uccidere) del 2015, “Vida de santos y santas non Sancta” (Vite di santi e sante non sancta) del 2016.
La scelta di queste poesie, che l’autore pone sotto lo stesso marchio di esperienza della fatalità, si rivela una precisa dichiarazione di poetica, all’analisi della quale non possiamo sottrarci se vogliamo accedere al suo universo letterario. Nessuno dei titoli delle varie raccolte sembra rimandare alla necessità di un Io lirico che aspiri a raccontarsi come soggetto principale dei propri versi. Tutto si sposta in una dimensione altra, nel racconto di un mondo e di un agire umano  che il poeta vuole liberare dalle maschere, dalle fittizie rappresentazioni, dagli oppressivi modelli sociali e culturali che perpetuano la menzogna. Ma non è un’azione messianica quella che si compie, il poeta non si pone come salvatore del mondo, ma come un naufrago egli stesso, partecipe delle miserie e dei turbamenti di tutti e per questo portatore di un grido forte, di una ribellione imprescindibile che si opponga alla deriva del mondo.

Nella prima raccolta, “le lenzuola” sono “senza fiori”, ossia senza abbellimenti e inutili adorni e l’amante vi giace dentro come in un sudario “lei sembra agonizzare il piacere morto”; in questo universo disadorno “il tempo è una moneta/ che cade/ nella fodera scucita della vita/ La vita è una moneta/ che cade/ nella fodera scucita della morte”. Qui il poeta usa la metafora forte delle lenzuola che possono essere insieme amore e morte, luogo di passione e sudario. Già la dicotomia, gli ossimori si installano in una percezione che ci allontana immediatamente da orizzonti convenzionali, perché il binomio amore-morte non vive in questi versi dentro gli stereotipi di un dramma romantico, ma solo nella fredda osservazione dell’innegabile fatalità che ci governa.
Per questo la vita si svolge a volte “come nei film”, persino nei suoi incontri d’amore, puo essere solo ridotta a immagini di un film dove si cambia lo scenario di se stessi, dove l’occhio della macchina da presa, in questo caso i versi del poeta, si poggia sul corpo degli amanti mischiando lo stupore dell’incontro e la passione al sarcasmo di chi, pur amando, dubita del legame, oscilla costantemente tra amore e disamore, perché , come dice l’autore “Loro sono veri e falsi come avviene quasi sempre nella vita. Si tratta di un uomo e una donna qui o in qualsiasi luogo del mondo. E anche questo è pura finzione letteraria”.
Ed è la finzione letteraria l’arma fatale che il poeta usa, la strutturazione di un linguaggio, esatto e tagliente come una lama ben affilata, che produce le sue “cronache ciniche”. Ma il cinismo non è quello dell’accezione contemporanea del termine, si rifà al significato originario dell’antica scuola cinica dei Greci, famosa per le sue satire e diatribe, spesso irriverenti, contro la corruzione dei costumi e i vizi della società greca del loro tempo. Il poeta usa di continuo l’irriverenza, anche laddove sembrerebbe politicamente incorretto, ma lo fa per riaffermare quello che si nega in apparenza: “Non abbiamo desaparecidos/ nessuno dei nostri  fu/  un gradino collerico nella scala/ del male”.
In queste cronache molti temi storici vengono evidenziati, come la Guerra dell’oppio, il fenomeno del razzismo, le conseguenze della xenofobia, eventi sui quali il poeta appoggia la sua affermazione che la fatalità, non però nel senso del fato antico, ma come somma delle azioni umane che conduce inevitabilmente agli stessi risultati, governa il mondo in cui viviamo. Tentare di sfuggirle o di renderla meno nociva nelle nostre vite spetta a gesti di critica ribellione.
In “Ultime orazioni” risulta evidente l’attenta lettura dei testi sacri che insieme all’osservazione della devozione popolare porta il poeta a interrogarsi sulla relazione tra l’umano e il divino, sempre attraverso la voce collettiva di cui si fa carico. Le credenze religiose della comunità mostrano piedi d’argilla, si macchiano spesso di mercantilismo, rivelando ancora una volta l’aspetto feroce di un inganno. “abbiamo peccato/ tutti abbiamo peccato… ci alimenta l’invidia e l’avidità/ per alcuni secondi di televisione ci spogliamo/ crediamo che qualcuno ci ricorderà domani/ quando saremo polvere su polvere/ se ti tradiamo”.

Di fronte alla devastazione del mondo, al sonno della ragione, all’offuscamento delle coscienze al trionfo dell’inutilità e dell’apparenza, il poeta, in quel monumento all’uomo consumatore che è un supermercato, si perde nei corridoi illuminati come un nuovo Teseo nel labirinto e “comprende che alla fine dell’ illuminato percorso/ il barcaiolo sarà  impietoso con le sue monete/ non lo lascerà salire verso il mondo/ di quelli che fuori camminano pensando d’essere vivi”.
E anche qui si fa strada la provocazione, non quella per stupire I borghesi, ma quella che nasce dall’insopportabile dolore del destino comune. Non resta che “salir a matar”, uscire per uccidere, “dicono che nessuno sa/ perché succedono le cose/ intanto/ le cose succedono”. Una rivoluzione può servire a fermare gli eventi? Per il poeta la risposta è ancora una condanna all’indifferenza dei più: “la rivoluzione è un sogno eterno /meglio mantenerci addormentati… / chi vuole la rivoluzione? / la gente vuole più shopping coglione”.
Il poeta si veste di questa voce collettiva ma solo per stigmatizzarla come ripetitiva, passiva, incapace di reagire se non con un flebile lamento. Possiamo distinguere dentro il coro la diversità del suo pensiero, sentire il ritmo palpitante e guerriero dei suoi versi, sapere che i morti della destra/ i morti della sinistra/ i morti perché nessuno piú muoia/ i morti per amore/ si putrefanno applauditi da un coro di mosche azzurre e mosconi”.
Nell’ultima raccolta sulla vita di santi e sante, ci risulta impossibile non ricordare il Buzzati de “I miracoli di Val Morel” dove, tra scritti e disegni, si raccontano alcuni miracoli immaginari che la tradizione popolare attribuisce a Santa Rita da Cascia.
Qui si rievocano i santi popolari venerati in Cile e Argentina che la Chiesa non ha mai canonizzato, con le loro moltitudini di fedeli speranzosi di un miracolo affidato ad un puro mercimonio. Il poeta, già nell’epigrafe, ci annuncia la conclusione del suo viaggio attraverso la fatalità del vivere col graffio potente della sua dolorosa ironia: “Se questi santi popolari morirono per rubare ai ricchi, morale, è più sicuro rubare ai poveri. Eternamente grati perché sanno che ogni aiuto possibile è un miracolo”.
Le istanze di tutta una società, i bisogni di uomini insoddisfatti e feriti si riversano su richieste di beni materiali, di guarigioni, di aumenti salariali, a volte su esigenze di giustizia, in un crescendo di voci disperate e disfoniche che il poeta intreccia in un coro di ridondante ironica disperazione. defunta Correa/ madre dei derelitti/dacci una mano le due sarebbe meglio/ però non vogliamo abusare della tua pazienza/ distrarti santa dalle molte richieste che hai in attesa”.

Tra i temi che interessano il poeta troviamo: la condizione umana e i suoi comportamenti sociali nel loro sviluppo storico, le contraddizioni dell’agire umano, la presenza dell’altro e la dialettica che ne consegue. Nell’analizzare questa dialettica spesso il poeta si trova in un campo non percorso da altri, dove la sua concezione della poesia lo porta a dichiarare la falsità della realtà nella quale solo la finzione artistica può apportare frammenti di verità.
Il poeta rinnega per sé la parola ispirazione. Ad ispirarlo non sono una Musa, né un Duende, né le esigenze del suo Io, ma i fatti, le osservazioni puntuali, la riflessione sulle esperienze reali per lo più collettive. Da qui sorge la scrittura che, come un guanto, si modella alla durezza del racconto. Per esempio nella poesia 300 neri, viene a sapere della morte di 300 negri, nel Mediterrameo, dato che lo commuove profondamente. Il poeta allora approfondisce le ragioni di quel viaggio, fatale, vengono questi disperati dalla Libia, fuggendo dal disastro del post Gheddafi. Da tutta l’informazione raccolta nasce il testo, a volte cronaca a volte narrazione.
Ma il poeta sa che la realtà è così falsa da aver bisogno della finzione, perché si possa arrivare almeno a un frammento di verità e che la verità è altra cosa dalla realtà. E neppure chi tenta di imprigionare questa realtà-verità attraverso le parole è un essere immacolato, scevro di colpe, protetto in una torre d’avorio. Il poeta è egli stesso coinvolto e colpevole, macchiato da quella falsità che lo circonda, responsabile come il lettore che, in quanto tale, rivendica una presunta innocenza che non possiede, adulterato nelle sue percezioni da una società che gli propone immagini invece che pensieri.

Per Salas Astorga la letteratura è oggi, per gran parte, una cosmetica tolta dalla toilette di una donna vanitosa. Occorre struccarla, liberarla dalle false identità che ne soffocano la voce. Al poeta spetta di liberare il linguaggio dalle imposizioni di una società che ha dato priorità all’immagine stereotipata e preconfezionata dove tutto accade nello stesso tempo, sicché persino il concetto di tempo come durata ed evoluzione si è eroso e l’eccesso di informazione visuale oltre che discorsiva ha creato quella passività che è diventata un male sociale. I mezzi di comunicazione hanno convertito tutto in immagine al punto che i lettori percepiscono anche il testo scritto come immagine, con una immediatezza percettiva che impedisce ogni approfondimento concettuale. Per questo vediamo ma non pensiamo.
Il poeta vuole restituire il pensiero alla scrittura, al verso, renderci coscienti della distopia che ci circonda, dell’esilio a cui ci siamo autocondannati, per questo sceglie una versificazione che non si culla in metafore che non siano strettamente necessarie, in assonanze che addolciscono l’ascolto, in ritmi cui siamo assuefatti. I suoi versi liberi generano un discorso originale nella poesia contemporanea, non solo per le tematiche trattate ma per la forza dirompente e inconfondibile della sua scrittura.

POESIE

selezione e traduzione a cura di Grazia Fresu

Pugile di quartiere

Il tipo non capisce e colpisce duro

Come un pugile spaventato

Il tipo per questo ti esige

Lealtà innocenza coraggio

Perché pensa forse che dovresti essere sua madre

Santa Evita nel miglior caso (se la rispetta)

Chiunque diciamo meno tu

Il tipo ti perquisisce la vita “Ti stordisce”

Come si dice

La testa e il corpo

Vuole che gli spieghi come hai potuto

Amare altri prima di lui e dei suoi pugni

Pensa che sta con te su un ring

Che questo è la vita.

Il tipo non capisce che nella tua memoria dormano

Gli odori di un altro

Che dicessi di sì ad altri

Che dessi senza chiedere molto

Quello che hai dato a lui senza chiedere

(per amore perché così sei)

Il tipo ti tormenta

Non si stanca mai

Vuole sapere perché lo hai ingannato prima di conoscerlo

Perché non somigli a quella donna

Che a lui sembrava fossi tu

(prima ancora di averti vista persino)

Il tipo dice cose terrribili ti picchia con le parole

Ti dico è un pugile di quartiere

Tu stai tra la gente che guarda questa lotta

Udendo in realtà la campana che gli annuncia

Che la vita sempre fin da prima era una lotta

Dove lo avrebbero vinto

Questa campana non suona per te

Tu sei la donna della foto

Che sta appesa a una parete

Il sogno di un altro.

Boxeador de barrio

El tipo no entiende y golpea duro
como un boxeador asustado

El tipo por eso te exige
lealtad inocencia coraje
Porque piensa tal vez que debes ser su madre

Santa Evita a lo mejor (si la respeta)
cualquiera digamos menos vos

El tipo te registra la vida “Te da vueltas”

como se dice
la cabeza y el cuerpo

Quiere que le expliques cómo pudiste
amar a otros antes que a él y a sus puños

Piensa que está con vos sobre un ring
Que eso es la vida

El tipo no entiende que en tu memoria duerman

los olores de otro
Que dijeras que sí a otros
Que dieras sin preguntar mucho
lo que le has dado a él sin preguntar
(por amor porque así eres)

El tipo te atormenta
No se cansa jamás

Quiere saber por qué lo engañaste antes de conocerlo

Por qué no te pareces a esa mujer
que a él le parecía que eras vos
(desde antes de haberte visto siquiera)

El tipo dice cosas terribles Te golpea
con las palabras

Te digo es un boxeador de barrio
vos estás entre la gente que mira esta pelea
oyendo en realidad la campana que le anuncia
que la vida siempre desde antes, era una pelea
donde lo iban a vencer

Esa campana no suena para vos
Vos sos la mujer de la foto
que cuelga de una pared

 

***

Il tempo è una moneta

che cade

nella fodera scucita della vita

La vita è una moneta

che cade

nella fodera scucita della morte

L’amore qualche volta

dà le sue suture invisibili

sebbene non pretenda eliminare la rottura

bensì  semplicemente simularla

El tiempo es una moneda

que cae

en el forro descosido de la vida

La vida es una moneda

que cae

en el forro descosido de la muerte

El amor de vez en cuando

da sus puntadas invisibles

aunque no pretenda eliminar la rotura

sino simplemente simularla

***

come nei film

bevvero champagne su un ponte

scagliarono le loro risa di turacciolo alle stelle brindarono per

la notte

e i fiumi di Eraclito

come nei film dissero tutta la verità

perché non sembrasse menzogna

si dondolarono come una parentesi di carne

sulla ringhiera

si trasportarono il cuore e le tasche della pelle recitarono

poemi a memoria

come nei film lei ballò senza musica

sotto la mantiglia di una notte da film

gli insegnò alcuni passi che applaudivano l’aria

il suo passato la vita

che non avrebbero avuto domani

come nei film gli ripetè venti volte no

raggiunse la sua bocca

perché non ruotasse nel vuoto lo avvolse

nelle sue gambe

perché non tremasse come i bambini quando stanno soli

nella febbre

come nei film accettarono annunci pubblicitari

nel momento della pena

fecero un secondo di silenzio

come nei film tesserono una rete

per inseguirsi per prendersi nell’inciampo

per sbagliarsi insieme

come nei film arrivarono a casa palparono il sesso

dei loro libri si trincerarono in una parete si sbottonarono

si legarono

a una bocca entrarono nel letto

per uscire dalle colpe per vendicarsi per mangiare

come nei film lei disse cose

nella lingua rauca del gemito cercarono tesori nella

schiena dell’altro graffiarono

un cammino invisibile nella schiena dell’altro segnarono

il loro labirinto per ciechi

come nei film una settimana dopo era

un mese un anno dopo

parlavano con gli occhi si prendevano per le parole per

camminare

il silenzio macchiava le lenzuola d’amore l’amore era

una luna rossa nelle tende verdi

dove non entrava il mattino

come nei film si spiavano di sbieco annusando

i loro ricordi

tacevano parlando

scoprirono senza sorpresa che i giorni non entrano

nella vita dell’altro quando l’altro è una vita

come nei film cambiarono

lo scenario di sé stessi

la musica di fondo furono i due suonando

si inseguirono nell’arena si spruzzarono

con letture seccarono l’umidità di carta

che li copriva nel letto

abusarono del perdono del non importa del mattino

degli occhi

siccome il mondo era grande lo rimpicciolirono

alle tre del pomeriggio

alle quattro

alle cinque

d’amore si uccisero

como en las películas

tomaron champaña sobre un puente

dispararon sus risas de corcho a las estrellas brindaron por la noche

y los ríos de Heráclito

como en las películas dijeron toda la verdad

para que no pareciera mentira

se balancearon como un paréntesis de carne

en la baranda

se trajinaron el corazón los bolsillos de la piel recitaron

poemas de memoria

como en las películas ella bailó sin música

bajo la mantilla de una noche de película

le enseñó unos pasos que aplaudían el aire

su pasado la vida

que no tendrían mañana

como en las películas le repitió veinte veces no

le alcanzó su boca

para que no rodara en el vacío lo envolvió

en sus piernas

para que no temblara como los niños cuando están solos en la fiebre

como en las películas aceptaron comerciales

en el momento de la pena

hicieron un segundo de silencio

como en las películas tejieron una red

para cazarse para tomarse en el tropiezo

para equivocarse juntos

como en las películas llegaron a la casa manosearon el sexo de sus libros se atrincheraron en una pared se desabrocharon se ataron

a una boca entraron a la cama

para salirse de las culpas para vengarse para comer

como en las películas ella le dijo cosas

en la lengua ronca del gemido buscaron tesoros en la espalda del otro rasguñaron

un camino invisible en la espalda del otro marcaron su laberinto para ciegos

como en las películas una semana después era

un mes un año después

hablaban con los ojos se tomaban de las palabras para caminar

el silencio manchaba las sábanas de amor el amor era una luna roja en las cortinas verdes

donde no entraba la mañana

como en las películas se espiaban de reojo olfateando sus recuerdos

callaban hablando

descubrieron sin sorpresa que los días no caben

en la vida del otro cuando el otro es una vida

como en las películas cambiaron

el escenario de sí mismos

la música de fondo fueron los dos sonando

se persiguieron en la arena se salpicaron

con lecturas secaron la humedad de papel

que los tapaba en la cama

abusaron del perdón del no importa del mañana

de los ojos

como el mundo era grande lo achicaron

a las tres de la tarde

a las cuatro

a las cinco

de amor se mataron

***

abbiamo peccato

tutti abbiamo peccato

 

siamo infedeli

lussuriosi

guardiamo la donna del prossimo

deplorando che non sia nostra

diciamo il tuo nome invano

facciamo invano

festeggiamo le tue feste come se fossero nostre

mangiamo come leoni

dormiamo come maiali da zoologico

ci ricordiamo di più della madre degli altri

raramente onoriamo nostro padre

sebbene molti non arrivino neppure a conoscerlo

 

ci piace uccidere

ci piace fornicare

rubiamo

mentiamo

ci alimenta l’invidia e l’avidità

per alcuni secondi di televisione ci spogliamo

crediamo che qualcuno ci ricorderà domani

quando saremo polvere su polvere

se ti tradiamo

 

hemos pecado

todos hemos pecado

somos infieles

lujuriosos

miramos la mujer del prójimo

lamentando que no sea nuestra

decimos tu nombre en vano

hacemos en vano

festejamos tus fiestas como si fueran nuestras

comemos como leones

dormimos como cerdos de zoológico

nos acordamos más de la madre de los otros

rara vez honramos a nuestro padre

aunque muchos no llegan siquiera a conocerlo

nos gusta matar

nos gusta fornicar

robamos

mentimos

nos alimenta la envidia y la codicia

por unos segundos de televisión nos desnudamos

creemos que alguien nos recordará mañana

cuando seamos polvo sobre polvo

si te traicionamos

 

***

 

la gente celebra l’arrivo della cloaca

che adesso passa per le loro case

si affacciano a guardare

neanche fosse lo Stige

o giustamente perché è lo Stige

altri preferiscono restare

afferrati all’ inferriata della finestra

la gente celebra la llegada de la cloaca

que ahora pasa por sus casas

se asoman a mirar

ni que fuera el Estigia

o justamente porque es el Estigia

otros prefieren quedarse

aferrados a la reja de la ventana

***

24 MARZO DEL 1976[1]

non abbiamo desaparecidos

 

nessuno dei nostri è stato

uno scalino collerico nella scala

del male

non hanno ucciso nessuno di noi

non ci mandarono in esilio senza niente

ci hanno lasciato qui

abbiamo vissuto

tutti questi anni siamo stati nulla

 

 

24 de marzo de 1976

 

no tenemos desaparecidos

ninguno de los nuestros fue

un peldaño colérico en la escala

del mal

no nos mataron a nadie

no nos echaron al exilio con lo puesto

nos dejaron aquí

vivimos

todos estos años fuimos nada

***

 

la rivoluzione è un sogno eterno

meglio restare addormentati

II

sinistra

sollevati

e vai

III

se si comportano male

la destra se li mangia

IV

chi vuole la rivoluzione?

la gente vuole più shopping coglione

la revolución es un sueño eterno

mejor nos mantenemos dormidos

II

izquierda

levántate

y ándate

III

si se portan mal

la derecha se los va a comer

IV

¿quién quiere revolución?

la gente quiere más shopping weón

***

sign.ri è un problema di traduzione

quello che voi credete

che voi leggete

quello che pensate

se non parlate aramaico

se non parlate ebreo

se non parlate greco

continuate in ginocchio solamente

srs es un problema de traducción

lo que uds creen

lo que uds leen

lo que piensan

si no hablan arameo

si no hablan hebreo

si no hablan griego

sigan de rodillas nomás

***

che faremo con i morti?

non i 43 del messico che già sono andati via lungo il fiume

delle notizie di morti e sembrano un racconto

un bel racconto di Rulfo che si era perduto

i morti gli altri

della rivoluzione contro l’impero

i seminati sulla terra dalla rivoluzione

quelli della guerra contro la rivoluzione

quelli dell’occultamento nel 1492 lì stesso quelli della falsa indipendenza

quelli della democracia quelli della dittatura

quei morti

II

che faremo con i morti

perché i morti del nord spingono a secchiate il loro sangue verso sud

est/oriente

l’aquila macera le costole del mediterraneo

morde il corno rachitico d’africa

e i morti uccidono anche loro

 

prima o poi formano un esercito che scanna

alla luce della fiamma di torri di petrolio

incendiano corpi perché siano fiaccole

nella selva nella neve nella sabbia e nel mare

i morti della destra

i morti della sinistra

i morti perché nessuno più muoia

i morti per amore

si putrefanno applauditi da un coro di mosche azzurre

e mosconi da cadavere

¿qué haremos con los muertos?

no los 43 de méxico que ya se fueron por el río

de las noticias de muertos y parecen un cuento

un bello cuento de Rulfo que se había perdido

los muertos los otros

de la revolución contra el imperio

los sembrados arriba de la tierra por la revolución

los de la guerra contra la revolución

los del encubrimiento en 1492 los de la falsa independencia

los de la democracia los de la dictadura

esos muertos

II

qué haremos con los muertos

porque los muertos del norte baldean su sangre hacia el sur

este/ oriente

el águila macera las costillas del mediterráneo

carcome el cuerno raquítico de áfrica

 

y los muertos matan también

 

tarde o temprano forman un ejército que degüella

a la luz de la flama de torres de petróleo

incendia cuerpos para que sean antorchas

en la selva en la nieve en la arena en el mar

los muertos de la derecha

los muertos de la izquierda

los muertos para que nadie más muera

los muertos por amor

se pudren aplaudidos por un coro de moscas azules

y moscardas

***

Defunta Correa[2] aiutaci 

defunta correa

madre dei derelitti

dacci una mano tutte e due sarebbe meglio

però non vogliamo abusare della tua pazienza

distrarti santa dalle molte richieste che tu hai in attesa

siamo disperati madre

quasi in ginocchio

tu aiuti i camionisti

e guarda il sindacato che hanno

tu proteggi le fidanzate dall’essere abbandonate

come mascotte in vacanza

curi il cancro senza assistenza medica

le tue succursali trasbordano di gambe di gesso e braccini salvati

con le tue ingiunzioni

per questo ti cerchiamo signora

ti chiediamo che sia la nostra immacolata dirigente

di fronte al governo sordo

di fronte a un sindacato che ci vende sempre

per meno di 30 denari

vogliamo che sia il nostro megafono

nelle marce

una bandiera che serva da materasso gonfiabile

per quelli che si tirano sul marciapiedi

senza speranza

sembriamo un esercito in cambio di funzioni

abbracciato al suo sudario celeste e bianco[3]

 

 

 

Difunta Correa ayúdanos

 

difunta correa

madre de los desamparados

danos una mano las dos sería mejor

pero no queremos abusar de tu paciencia

distraerte santa de los muchos reclamos que tenés esperando

estamos desesperados madre

casi de rodillas

vos ayudás a los camioneros

y mirá el sindicato que tienen

vos protegés a las novias de ser abandonadas

como mascotas en vacaciones

curás el cáncer sin obra social

tus sucursales rebosan piernas de yeso y bracitos salvados

con tus interdictos

por eso te buscamos señora

te pedimos que seas nuestra inmaculada dirigente

frente al gobierno hipoacúsico

frente a un sindicato que nos vende siempre

en menos de 30 monedas

queremos que seas nuestro megáfono

en las marchas

una bandera que sirva de colchón de aire

para los que se arrojan a la vereda

sin esperanza

y sí

parecemos un ejército en cambio de funciones

abrazado a su mortaja celeste y blanca

***

santo expedito[4] proteggi la mia automobilina

non perdere tempo con le 4×4

quelle vanno con assicurazioni e avvocati del diavolo

ignora i ricchi

ignora i poveri

non ci sono miracoli che bastino loro

san expedito protege mi autito

no pierdas el tiempo con las 4×4

esas andan con seguro y abogados del diablo

ignora a los ricos

ignora a los pobres

no hay milagros que les alcancen

***

juanita figueroa[5]

mamita

per essere bella ti accade lo stesso che a noi

chiunque si ostina ti vuole squartare tra i cespugli

guarda la teresita del barco la bambina

di Santiago del Estero

la bruciata che si sono giocati a carte e lasciarono

per sempre sola

la brasiliana la maria soledad a Catamarca

le ragazze in Ecuador

(una per una ci sputa la bocca sporca del bidone

della spazzatura

vestite di coron con i bottoni d’oro della provinciale

ci trovano)

gli uomini ci accendono come candele

nei loro cuori oscuri

noi ardiamo e siamo sante

 

juanita figueroa

mamita

por linda te pasa lo que a nosotras

cualquiera se ensaña te quiere destazar en los yuyos

mirá la teresita del barco la niña

de santiago del estero

la quemadita que jugaron al truco y dejaron

para siempre sola

la brasilera la maría soledad en Catamarca

las chicas en ecuador

(una por día nos escupe la boca sucia

del contenedor bajo de un manto de cal

vestidas de coirón

con botones de oro de la ruta nos encuentran)

los hombres nos encienden como velas

en su corazón oscuro

nosotras ardemos y somos santas

después de violadas

[1] Data dell’ultimo golpe militare in Argentina

[2] Santa popolare argentina molto venerata in tutto il Paese dai lavoratori e dagli umili, molestata dagli uomini, fugge con il suo neonato e muere nel deserto. Ma anche da morta lo alimenta con il suo seno, salvandolo.

[3] Bianco e celeste sono i colori della bandiera argentina

[4] Unico santo riconosciuto dalla Chiesa nel 1629, tra quanti citati. Comandante delle legioni romane, patrono delle cause giuste e urgenti, (risolve rapidamente le richieste dei suoi fedeli, da qui il nome) lo si venera oltre che in Spagna anche in vari paesi latinoamericani.

[5] Assassinata per gelosia dal marito al principio del XX secolo, venerata nella regione di Salta, in Argentina. Tutte le altre donne nominate in questa poesia sono morte assassinate da uomini, in quello che oggi chiamiamo femminicidio.

Grazia Fresu_foto

 GRAZIA FRESU Nata a La Maddalena, Sardegna, dottore in Lettere e Filosofia all’ Università “La Sapienza” di Roma, specializzata in Storia del teatro e dello spettacolo. A Roma ha lavorato per molti anni come docente e ha sviluppato la sua attività di drammaturga, regista e attrice e dal 1998, inviata dal Ministero degli Affari esteri, si è trasferita in Argentina, prima a Buenos Aires e attualmente a Mendoza, dove insegna   lingua, cultura e letteratura italiana nel Profesorado de lengua y cultura italiana, Facoltà di Lettere e Filosofia, della Università Nazionale di Cuyo. È poetessa, con quattro raccolte poetiche edite: “Canto di Sheherazade”, Ed. Il giornale dei poeti, ROMA 1996, presentato alla Fiera del libro di Torino del 1997; “Dal mio cuore al mio tempo” che ha vinto in Italia nel 2009 il primo premio nazionale “L’Autore”, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice Maremmi- Firenze Libri; “Come ti canto, vita?”, Ed. Bastogi, Roma 2013; “L’amore addosso”, Ed. Bastogi, Roma 2016.
Nel 2021 ha pubblicato il romanzo “Canto degli speroni rossi”, Ed. Edigrafema. Ha partecipato a vari congressi con conferenze su temi di letteratura e problematiche culturali, educative e sociali e pubblicato i suoi saggi critici in atti congressuali e riviste specializzate. Ha inoltre realizzato molti eventi di narrazione e messo in scena i suoi testi teatrali con la sua e altrui regia. Collabora con la rivista online “L’Ideale” curando la rubrica di cultura e società “Sguardi d’altrove”, con il magazine “Cinque colonne” nella Terza Pagina con articoli di letteratura, arte, società e con “La Macchina sognante”.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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