Le mie metafore, immagini e metonimie a letto addormentate: Riflessioni sul grottesco nelle poesie di Najwan Darwish – Pina Piccolo e Sana Darghmouni

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Ascoltare qualche mese fa dal vivo la poesia di Najwan Darwish, dalla raccolta Più nulla da perdere (Il Ponte del sale, 2021), recitata in lingua originale dall’autore e nella efficace, dinamica traduzione italiana dal traduttore Simone Sibilio è stata una esperienza di grande intensità sia dal punto di vista intellettuale che da quello emotivo. È stato anche uno stimolo a tuffarsi dentro le acque agitate di una poesia che non si trastulla in autocompiacimenti estetici di superficie ma affronta invece di petto le grandi questioni contemporanee calandole nella travagliata quotidianità di un ‘io’ avulso da filtri ideologici, programmi o illusioni. Si tratta di una poesia assai ricca e stratificata, intenta a fondere i confini dello scibile e dell’esperienza spazio-temporale di Palestina, Medio oriente, America Latina, sfumando le linee nette che siamo abituate ad aspettarci dalle produzioni culturali di quell’area geografica.

 

Utilissime a orientare la lettura, la prefazione di Franca Mancinelli e la postfazione del traduttore Simone Sibilio, quest’ultimo molto perspicace nel collocare il poeta all’interno delle modalità creative di scrittori e scrittrici palestinesi attivi dall’inizio del duemila:

 

“ […] La poesia di Najwan Darwish offre così prova esemplare di rottura e continuità al tempo stesso: rottura nella dizione e negli schemi di riferimento formali esibita con l’elaborazione di un peculiare linguaggio, intriso di modulazioni e suoni della vita quotidiana e sovente scolpito su condensazioni narrative  sorrette da una visionarietà postmoderna; continuità nel richiamo a topoi e modelli recepiti e cristallizzati nella cultura poetica araba – inclusi quelli classici e pre-islamici -, nella preoccupazione umana per la vicenda del suo popolo e, in senso più ampio, per il futuro della civiltà araba in un tempo di profonde trasformazioni sociali e nuove sfide globali.

[…] Forse l’originalità poetica di Darwish risiede esattamente in questo intricato ed intrigante equilibrio tra la modernità di una voce singolare, capace di modellare la materia poetica con freschezza e dinamicità, con penetrante acume ed espressività subito riconoscibili, e la sopravvivenza delle tracce di una poetica tradizionale ravvisabile in quel malinconico ancoraggio a valori e certezze del passato, nel riconoscimento della Storia a fondamento della costruzione poetica, nell’aderenza a motivi identitari opacizzati in un tempo arabo che ha smarrito i precedenti riferimenti.”

Vista la ricchezza di spunti analitici da approfondire nell’opera del poeta e partendo da alcune osservazioni dello stesso Darwish nel corso di due interviste forse un contributo critico utile potrebbe essere a questo punto quello di delimitare un nucleo di particolarità stilistica del poeta da sondare ulteriormente. Sarebbe forse importante gettare le basi per un’esplorazione del legame tra la sua propensione all’uso del grottesco, delle inversioni, dei capovolgimenti e dei paradossi, che si manifestano talvolta sul piano metrico con enjambement e sul piano delle figure retoriche con metonimie, e la sua avversione, a livello concettuale, verso i confini,  verso quella purezza, nitore e univocità dell’identità, la prontezza con cui si fa paladino di un certo cosmopolitismo (e qui bisognerebbe un attimo riflettere sul fatto che a differenza di tanti poeti arabi di generazioni precedenti nella sua poesia non si ravvisa alcun senso dell’esilio o inclinazione verso la nostalgia), la capacità di empatia con le esperienze dei popoli tra  i più diversi. Sondando questo nucleo si potrebbe forse capire quali siano gli elementi stilistici costituenti che danno corpo a quella freschezza e dinamicità della poesia di Najam Darwish sottolineata da Simone Sibilio (e aggiungeremmo anche quella qualità di leggerezza auspicata da Calvino fin dal lontano 1985 per la letteratura del nuovo millennio)

Nell’intervista realizzata da Infopal nel luglio del 2022 Najwan Darwish risponde così alla domanda sulla identità:

 

Najwan, cosa rappresenta per lei l’identità? 

Le identità sono rappresentazioni costruite. Potrei dire che sono contro l’idea di identità. Uno dei problemi delle identità è che talvolta si trasformano in gabbie per chi le possiede o prigioni in cui porre il prossimo. Una delle mie ambizioni è annullare i confini tra le identità e attraversarle. Penso che ogni poeta abbia il compito di rendere manifesto che l’esperienza umana è unica.

 

Nella stimolante intervista all’autore a cura del suo traduttore verso la lingua inglese Kareem James Abu-Zeid emergono molti concetti interessanti relativi al rapporto tra poesia e traduzione, e di nuovo la riluttanza del poeta a prestarsi a etichette e definizioni: 

 

KJAZ: Quando leggo le tue poesie, a volte mi sembra di leggere un poeta palestinese. E altre volte mi sembra di leggere più un poeta internazionale. C’è una tensione tra questi due per te?

ND : Come sai, la tensione è il meccanismo interiore della poesia. Ma devo chiarire che non mi considero “un palestinese” o “locale” o “internazionale”. Questi tipi di articolazioni sono al di fuori della mia consapevolezza. Per me essere palestinese significa essere tutti e tutto, grazie alla tragedia in corso. Certo, potresti dire che sono un cittadino palestinese (sebbene siamo una delle poche nazioni che vivono ancora sotto un’occupazione coloniale) e che culturalmente sono arabo. Posso essere un cittadino impegnato, ma come poeta (di solito non oso definirmi poeta) la mia identità è più complessa e molto più ampia e contiene diversi strati di storie, civiltà e identità. Questi diversi strati possono sembrare contraddittori agli occhi della comune percezione moderna, ma per me in realtà si completano a vicenda. Posso vedere, ad esempio, come le civiltà islamiche abbiano incorporato le civiltà bizantine. E a livello emotivo, appartengo alla lotta dei popoli dell’America Latina, così come appartengo alla lotta del mondo arabo.

Uno scrittore o un poeta non dovrebbe accettare etichette e ruoli; il suo lavoro è metterli in discussione. Altrimenti diventa un artista superficiale. Non ho bisogno di esibirmi per quello che sono: faccio del mio meglio per non accettare ruoli e norme sociali o politiche. Affermo di scrivere poesie senza un ordine del giorno tranne che per rappresentare i miei incubi e i pochissimi sogni o visioni oniriche che ho. Non ho aspettative fuori di me. Quello che voglio dire è che non cerco di accontentare nessuno: un pubblico, un lettore, qualsiasi tipo di autorità o anche un gusto o una tendenza letteraria. Penso che gli scrittori dovrebbero sempre tenersi alla dovuta distanza. L’unica persona che cerco di soddisfare sono me stesso come scrittore. Voglio scrivere qualcosa di nuovo e fresco per me, qualcosa che mi ricompensi come artista o come essere umano. Il compenso che trovo nella poesia come essere umano è ciò che altri potrebbero trovare più tardi leggendola.

In Najwan Darwish questa consapevolezza delle stratificazioni inerenti all’esperienza e alla coscienza umana va in due direzioni: a livello stilistico verso il paradosso e il grottesco, in una modalità aerea e leggera, legata sia al comico che al tragico (modalità carnevalesca della cultura popolare  medievale rilevata da Bachtin per il primo che al tragico modalità orrore rilevato da Kayser) per il secondo e a livello concettuale verso la sua personale/poetica concezione della storia.

Nel grottesco la vita passa attraverso tutti gli stadi, da quelli inferiori inerti e primitivi a quelli superiori più mobili e spiritualizzati, in una ghirlanda di forme separate che testimonia la sua unità. Avvicinando ciò che è lontano, mettendo in relazione ciò che si esclude a vicenda (metonimia e paradosso) , violando le nozioni abituali, il grottesco in arte è simile al paradosso in logica. A un primo sguardo il grottesco in arte è soltanto spirituale e divertente, mentre esso cela tante opportunità, sfruttate da Najwan darwish per creare un suo ricco e aereo universo poetico.

Cela tante opportunità e questo è un concetto intrigante per la letteratura. Allora se nell’arte figurativa il grottesco consisteva nel mettere in posizione contigua elementi contraddittori e trasformarli poi in altri elementi, creando ibridazioni e forme “mostruose” in letteratura si può fare un discorso analogo, notando che il grottesco funziona come arma di spaesamento e di critica dell’esistente, mette in questione la sua solidità. Ponendo uno accanto all’altro elementi contraddittori ed intrecciandoli per creare un ibrido, proprio come accadeva nelle pitture del IV stile romano da cui il genere letterario prende nome, nella letteratura il grottesco crea uno spostamento, uno spiazzamento che induce a non accettare la realtà come fenomeno univoco. Ma questa forma particolare si muove per contiguità, privilegiando quindi le metonimie. Questo procedimento sembra ancora più rilevante in situazioni in cui all’interno della coscienza dello scrittore e del lettore convivono, in posizione contigua, anime diverse, diverse identità in un bel groviglio gomitoloso, in uno gliommero per dirla con un grande maestro del grottesco italiano, Gadda.

Nella poesia di Najwan Darwish innumerevoli sono tali esempi che propongo qui di seguito, pescando tra le varie sezioni della raccolta Più nulla da perdere che inizia appunto traendo spunto dalla famosa poesia di Mahmoud Darwish ‘Carta d’identità’, rovesciandola:

“[…] Non c’è altro luogo capace di resistere ai suoi invasori come quello del popolo a cui appartengo e non c’è uomo libero che non sia mio parente, non c’è un solo albero o una sola nube a cui io non debba qualcosa. E il mio rifiuto del Sionismo non mi impedirà di dire che sono stato un ebreo espulso da al-Andalus e ancora intesso il senso con la luce di quel tramonto”

“[..] Posa il capo sul mio petto
Ascolto la terra
Ascolto l’erba che fende.

Per amore abbiamo perso la testa,
e non abbiamo più nulla da perdere.

 

“[…] Tre chiodi sono la Terra

e la pietà è un martello

colpisci, Signore

colpisci con i tuoi aerei

 

[…] Risorgo dal suo amore come un uomo investito da un tir.
Eccolo, la guarda mentre lei si allontana scrollandosi il peso del suo sangue.

“è davvero un tir

Capace di far fuori cento uomini in un sol colpo!”

Lui, sorpreso dal suo coraggio, si chiede come ha fatto dopo essere
Morto a risorgere
Con animo sereno.

Ed eccolo di nuovo fermo, sulla strada del prossimo tir.

 

ELOGIO DELLA FAMIGLIA

Basta una sola frase per omaggiarvi:
siete la miniera profonda dei miei incubi.

 

[…] Verrò espulso dalla città prima che sia sera
Dicono non abbia pagato l’affitto del sole
né gli oneri delle nubi

Verrò espulso dall’essere perché attratto dal non essere
verrò espulso dal non essere per i miei sospetti legami con l’essere
verrò espulso sia dall’essere che dal non essere perché sono figlio del divenire

Verrò espulso

 

IN PARADISO

 

Un giorno ci svegliammo in Paradiso
e gli angeli ci sorpresero con scope e stracci:
“Puzzate di alcol
e avete in tasca poesie ed eresie”.

Tranquilli servi di Dio – gli dicemmo,
sognavamo soltanto una mattina ad Haifa
ma siamo finiti per sbaglio qui da voi.

 

BINT JBEIL

Le mie metafore, immagini e metonimie a letto addormentate
come donne malate, distrutte.
Mentre io apatico, prima che albeggi
distrutto davanti alla tv,
provo a pregare
per chi stanotte difende Bint Jbeil.

 

(Come prega chi non crede in nulla?)

Tra poco l’alba svelerà i morti
e io andrò a dormire distrutto
davanti al peso dl debito che porto

Per chi ha innalzato l’alba ancora un giorno
sulle colline di Bint Jbeil

Luglio 2006

 

A Cristo

 

1

 

Ogni volta che vedo la statua
di te crocefisso in una piazza di città
o su un monte appeso alla fine del mondo
notte e giorno
incurante delle nubi che ti passano sopra nel tuo esilio eterno
non posso dirti che… avanti, torna con me a Gerusalemme.
Lo so, il tuo cuore sono quelle colline ora spianate dalle loro ruspe
e so anche che i ladri operano ancora come giudici
e i falsi testimoni indossano gli abiti dei vescovi
e ogni cosa è assente a parte il sopruso
eppure, devi tornare con me
siamo noi la tua famiglia alla fin fine
e anche io come te sono tagliato dalla pietra.

 

La tua statua sul monte
è mera afflizione
e temo più del resto
che non potrai ascoltarmi.

……….

Mentre confido in te,
dalla mia camera d’albergo qui a valle,
svanisci dietro le nubi

 

2

Ieri non ho dormito
restando a fissare una stella dietro le nubi

Come posso dirti addio, paese di samba e miseria
come si può abbandonare Cristo sul monte

Ieri non ho dormito
e non credo che dopo oggi
più dormirò.

 

IN INFERNO

1

Negli anni Trenta del secolo scorso
i nazisti gettarono le loro vittime nelle camere a gas
i carnefici di oggi sono più professionali
mettono le camere a gas nelle loro vittime

[…]

 

IL MONDO SARÀ BELLO

Figlio mio,
dormo sul fondo del fiume
e ti sento
mentre passi sul ponte
è anche per te che dormo nel linguaggio
e quando parli mi risvegli

Il mondo sarà bello
e non ci sarà altro che amore
a te donato in eredità
come fardello sulle spalle
condividilo e “scomponiti in tanti corpi”
come ‘ Urwa IBN al-Ward”, il figlio delle rose)

 

Figlio mio
c’erano città frammentate
e squallore ovunque
vieni, andiamo alla foresta
Sali sulle mie spalle, avanti, torniamo all’origine
vieni e ridiamo insieme
ripuliamo i fiumi con le nostre risa
nella foresta, nessuno ci condannerà
per la felicità.

 

Figlio mio,
mi sei mancato alla vigilia del dì di festa
avresti amato queste lanterne
oscillanti durante le lodi del Profeta
mi sarei svegliato all’alba
per ascoltare gli inni
è per timore o gioia che mi stringi le mani?
Non temere, qui non ci perderemo.

Mi sono svegliato di buon mattino, per te
riconciliandomi con la festa.

 

Da oltre, oltre gli anni e i Paesi
e ciò che occultano le mappe
ti proteggo
come tu fai con me

Dormo sul fondo del fiume
e ti sento passare

 

Il componimento che si distingue più degli altri per la sua struttura a concatenazione metonimica è quello che chiude la raccolta “UN’INTERA STORIA FABBRICATA AD ARTE” di cui riportiamo solo l’inizio, che non a caso ha come protagonisti due conduttori dei telegiornali israeliani che sembrano ‘fabbricati ad arte’ per annullare il confine tra realtà e menzogna, immettendo chi legge nel clima attuale delle ‘fake news’.  Utilizzando la sua aerea poetica, Najwan Darwish  aggiorna concetti di storia  nel senso di narrazione e Storia come addensarsi e stratificazione di eventi portandoli a una specie di postmoderno grottesco tragico e carnevalesco nell’insieme.

 

INVENZIONI

Un’intera storia fabbricata ad arte.
Non ho mai creduto alla farsa che fossi stata sgozzata, che il tuo sangue fosse scorso in fondo al Mediterraneo e che il mare ti avesse ingoiato.
Sono certo che questa storia sia tutta una montatura: Merriam Kershenbaum e Shlomo Ganor, ogni sera in tv.

A-Jazeera, al-Arabiya, al-Hurra. Togli le virgole e leggi: al-Jazeera al-arabiya al-hurra, la Penisola Araba libera.
Merriam Kershenbaum e Shlomo Ganor.

Tutta una montatura, ne sono certo.
Come le bollette che non so chi ha messo nella cassetta della posta
il cognome riportato in tre lingue diverse
questa donna che mi ama via email.
Tutte invenzioni.
Anche Haifa è un’invenzione
per questo non esco mai e mi basta guardare il mare di sbieco dalla finestra. […]

 

In questo clima di difficoltà a distinguere il vero dal falso, per non rischiare di essere trasportati via dalla mongolfiera del nichilismo, non bisogna però dimenticare che il poeta ci ancora alla robusta stratificazione storica, il fardello da cui non si scappa. Riprediamo le fila, dunque, dall’intervista concessa dall’autore a Infopal:

 

Lei afferma che il poeta è anche uno storico. Cosa intende?

Il poeta è uno storico perché la poesia è figlia della coscienza storica. Per essere un poeta bisogna avere una coscienza storica. Questo non significa conoscere solo la storia delle culture delle civiltà, ciò che conta è cogliere il movimento delle genti, l’esperienza umana nella storia. Il poeta deve porre la sua attenzione sull’esperienza della vita. Certo, lo storico si occupa sulle stesse dinamiche, quindi possiamo dire che il poeta è uno storico non ufficiale e che, in qualche occasione, ha anche il compito di rispondere e contrapporsi alla storia ufficiale.

E la coscienza storica forse è meno pesante della Storia,  le esperienze della vita sono dotate di grande variabilità, i paradossi abbondano e la capacità del poeta di coglierli  a livello cognitivo gli rende possibile evadere la trappola della solennità e di quella sorta di ossificazione dello storico, gli danno accesso a quei saperi di tipo sociologico/poetico/filosofico che possono trovare ad esempio nell’opera di Eduardo Galeano, in un libro come “Il libro degli abbracci”, anche quello caratterizzato da una certa frammentarietà, gusto per il paradosso e leggerezza che emerge in maniera così forte anche in quest’opera di Najwan Darwish, e non stupisce affatto vista la dichiarazione del poeta stesso di una affinità elettiva per l’America del sud con riferimenti sparsi un po’ in tutto il libro ma che poi si addensano  nella sezione “Torna con me a Gerusalemme”.

 

 

Immagine di copertina: Opera grafica di Mubeen Kishany.

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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