Dalla fotogallery: in bilico imminente Francesca Danese
Tutto quello che sono è sommerso.
Conosci te stesso, trova te stesso,
diventa te stesso. Lo dice il saggio.
È l’ipse dixit.
Ma dove ti scovo?
Il mio Io è rimasto incagliato nella rete.
Vedo una luce, ma non so a quale crocicchio
imboccare la via.
“Finirai per trovarla la via
se hai il coraggio di perderti”
Ma la perdizione non perdona.
Non mi perdona di essere stata sincera.
A forza di arrancare
ho perduto tutto.
Quale pace ci è posta?
Quale Dio mi guarda?
Quando cammino tra i solchi
e tocco il mio vuoto involucro di pelle
seccata, ogni tanto
sento la spalla intiepidirsi.
Mi mancano i morti.
Di tutti quelli che restano
mi sembra superflua la forma.
Mi mancano i gesti dei miei morti.
Un ticchettare di passi, quello.
un filo di voce, la sua.
un colore.
È tutto sbiadito.
Nitida, solo questa eccedenza di “se”:
Se fosse ancora.
***
Della mia intimità
c’è qualcosa –più di tutto-
che mi inibisce.
Majakovskij: da quali Golia fui concepito
così grande e così inutile?
Come fui concepita, io invece, così granitica
così friabile?
Volatile e profonda è l’anima mia.
Antica, ha mille anni,
ne ha uno.
Da polarità opposte vengo percossa:
Madonna e Maddalena.
***
C’è sempre una lacrima
gonfia di tuono.
C’ero io fuori dall’ospedale.
C’erano i miei pezzi di materia,
da levare, sminuzzare.
Da ricomporre.
Non c’è poesia in quelle camere bianche.
Non c’è angolo di terra più detestabile
del proprio corpo.
La malattia sembra una colpa.
Vorrei avere fede
per potermi dire
che Dio dà ad ogni uomo
la croce che è in grado di sopportare.
***
Fermati sulle piaghe della mia pelle
profumata.
Non oltrepassare l’epidermide.
Se ti inoltri più avanti dovrai arretrare.
Più a fondo ho solo piaghe nere,
e buchi, rammendi, tumefazioni,
squarci da cui entra poca luce.
Sono l’albatros di Baudelaire,
la ginestra di Leopardi,
il Drogo di Buzzati.
Deserto senza oasi.
Prima di te, tutto.
Dopo di te, nulla.
Ogni emozione era opaca
come se la mia pelle non fosse
mai stata toccata.
Solo ora ho qualcosa da perdere.
***
Sospensione del giudizio
ninonino ninonino
Assordante suono
di ambulanza.
ninonino ninonino
passa tra birilli di macchine,
sfreccia nei cunicoli di strade,
all’incrocio tra la vita e la morte.
ninonino
un minuto di ritardo
decreterebbe la meta.
Trasumanar per verba non si porìa,
“spostati!”
Ci sono, c’ero, non sono, non più.
Non ero.
Ecco quando il futuro smette di essere
un tempo pensato.
Fa’ che io sia.
Ancora.
Solo per un istante,
ancora.
Ancora tornare a contare le macchine gialle,
dei giochi di bambina, chiedere ancora.
Sono solo una sacca di sangue.
Il tempo si rapprende.
Pausa:
***
Granitica donna dai polsi sottili,
mia madre
è il primo tassello del domino.
Se cade, cadiamo tutti.
Scruta nel mio il suo errore,
lotta strenuamente contro il vuoto.
Horror vacui.
Riempie le stanze, fa rumore.
Impedisce al silenzio di entrare.
Non cede al ricatto peggiore:
mai rispondere al dolore
con dolore.
Sostiene le mie ossa,
per farsi eterna ha duplicato
su di me
il suo viso.
Per rispondere a questo affronto
ho messo da subito le cose chiaro:
appena nata
le ho succhiato il naso.
***
Antigone nell’oblò della lavatrice
non sono nata per condividere l’odio ma l’amore
Ho sognato a lungo di avere una voce.
Testarda e sottile
che vibrasse millenni,
da trapassare la solidità del sogno.
non sono nata per condividere l’odio ma l’amore
Non sapevo che farne di questo ammasso
metallico di arterie
impastato a forza
per perpetuare un’ipnosi di vita.
non sono nata per condividere l’odio ma l’amore
Il primo specchio è stato
l’oblò della lavatrice.
A rispondermi c’era Antigone distratta
con un copricapo di pizzi e calzini spaiati.
Cantilenava:
non sono nata per condividere l’odio ma l’amore
E io, per cosa sono nata, figlia?
Strozzava le parole la schiuma vaporosa,
in una centrifuga di pianti
si perdeva la mia remissione.
Si disfaceva tra le bolle la libera ribelle
inghiottita dagli elefanti nei miei Levi’s,
e risbucava alla vita a ripetermi il mantra:
non sono nata per condividere l’odio ma l’amore
***
Io non lo so che dolore mi prende la sera.
È una fitta
una cantilena in lingua straniera.
Mi chiedo che faccia il vicino,
la finestra di fronte
scintilla sempre di luci intermittenti:
è il mio conforto.
Anche tu, come me,
hai un male che non ti fa posare.
Digrigni i denti,
contorci le mani,
osservi le ombre liberarsi nel vuoto.
Anche tu come me?
Porti le mani alla nuca
per non farti uscire.
Sono mostri che non puoi lasciarti scappare.
Nota bio-bibliografica
Sara Serenelli è nata a Recanati nel 1993. Si è laureata in Filologia Moderna nel 2019 presso l’Università degli studi di Urbino Carlo Bo con una tesi di ricerca sulle poesie giovanili inedite di Paolo Volponi. Ha curato la pubblicazione delle Poesie giovanili di Volponi con Salvatore Ritrovato presso Einaudi (2020). Ha vinto una borsa di studio presso la Fondazione Carlo e Marise Bo con una ricerca sulla poesia volponiana. È contributor di Alma Poesia. Insegna materie letterarie nella scuola secondaria.