Il corpo nero disabile: l’omicidio di Alika Ogorchukwu non è solo razzista – Rahma Nur

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 Articolo ripreso dalla rivista Pasionaria, uscito il 29 agosto, per gentile concessione.

Il razzismo è un’oppressione che nella maggior parte dei casi mortifica e uccide nell’indifferenza generale. In Italia raramente le persone nere hanno l’attenzione della cronaca e se succede è quasi sempre perché sono protagoniste di episodi violenti.

Quest’estate è accaduto in due casi.

Il più recente è quello in cui la leader del più popolare partito di estrema destra ha deciso di strumentalizzare la violenza sulle donne in chiave razzista, pubblicando online il video di uno stupro compiuto da un uomo nero ai danni di una donna bianca. Sia il carnefice che la vittima dell’aggressione in questa equazione comunicativa perdono il loro valore in quanto individui e vengono deumanizzati per diventare simboli funzionali alla propaganda razzista secondo cui gli uomini neri sarebbero stupratori in quanto selvaggi e incivilizzati. Una retorica antica quanto il razzismo stesso.

Qualche settimana prima a tenere banco sulle prime pagina è stata la deumanizzazione di una persona nera nella sua manifestazione peggiore: un uomo nigeriano è stato assassinato per strada da un uomo bianco a Civitanova Marche. Su questo omicidio razziale si è detto tanto, ma nell’analisi che segue Rahma Nur aggiunge un elemento finora non considerato, la disabilità.

Una prospettiva per cui – nel vortice di notizie incessanti che fanno scordare in fretta ciò che è successo pochi giorni prima – è necessario e importante tornare indietro e rimettere a fuoco quel gesto brutale e quello che ci racconta la cultura razzista e abilista in cui ci muoviamo.

Il corpo nero e disabile

Fonte: picsart

 

L’omicidio di Alika Ogorchukwu ha evidenziato in modo lampante e diretto come il corpo nero disabile sia materia di violenza gratuita, di invisibilità e di assenza di valore umano.

Le persone disabili in generale sono sempre viste come poverine, come deboli e senza capacità: la mentalità abilista non le prende nemmeno in considerazione poiché non sono “compatibili” con quella convenzione sociale e culturale che associa “normalità=abilità”.

Se poi il corpo disabile è legato al corpo nero, nella mente abilista e razzista esplode un cortocircuito che termina nella violenza perpetuata al corpo di Alika con la sua stessa stampella, quello scudo che avrebbe dovuto proteggerlo, simbolo della sua difficoltà di deambulare a causa di un incidente di cui è stato vittima.

Il gesto di prendere la stampella di Alika per colpirlo è il chiaro messaggio che se sei una persona nera e disabile, la tua intera esistenza è priva di valore.

Essere disabili in Italia non ti porta, automaticamente, ad avere diritti e tutele: le devi chiedere, le devi pretendere nonostante sia scritto nell’articolo 3 della nostra Costituzione di “rimuovere gli ostacoli… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Tuttavia, ancora oggi vediamo come questi ostacoli, sia mentali che architettonici, siano presenti e reali e non facilitano il normale inserimento delle persone con disabilità nel tessuto sociale.

Addirittura, hai fortuna se riesci a trovare lavoro o a vincere un concorso pubblico. Quella che dovrebbe essere l’ordinarietà diventa un evento straordinario per una persona con disabilità! Non sorprende quindi che Alika, dopo l’incidente, abbia dovuto “arrangiarsi” a vendere mercanzia per strada. Un uomo nero ai confini della società, ancora più marginalizzato per la sua difficoltà a deambulare.

Se il corpo disabile viene trattato come un corpo non conforme, un corpo che ha bisogno di cure e non ha nessuna abilità, immaginiamoci allora associato alla nerezza cosa comporta. Si diventa invisibili oppure si è troppo visibili, di conseguenza si dà fastidio. L’aggravante, se sei una persona disabile e nera, è che non susciti comprensione o compassione.

Ecco, quindi, che subentra il voyeurismo dei media che ripropongono, fotogramma dopo fotogramma, l’aggressione subita da Alika, togliendoli anche l’ultimo sprazzo di dignità umana: neanche nella morte viene riconosciuto come essere umano, nemmeno nel momento più doloroso del suo vivere in questa terra gli viene concesso il giusto rispetto.

Questo, spesso è ciò che accade alle persone con disabilità: la mancanza di rispetto e di dignità nei loro confronti. A cominciare dall’uso denigratorio del linguaggio che si adopera, all’essere definiti per la propria disabilità e non, prima di tutto, come persone e l’oltraggio aumenta se, oltre ad avere una disabilità, sei anche una persona nera.

Perché è una disabilità che crea sospetto, non viene accettata come un dato di fatto, è un tentativo di estorsione ai danni dell’erario.

Ritrovarsi nell’intersezione di diversi generi sociali significa lottare ogni singolo giorno ed essere disabili e ner* significa lottare doppiamente per il diritto di esistere e di essere riconosciut* poiché, c’è questa visione generalizzata che le persone nere non possano essere anche disabili: sono forti, ballano bene, cantano bene, possono essere eccellenti sportiv* e tutto il pacchetto di stereotipi che ancora fanno parte del bagaglio culturale e che i media continuano a propinarci.

Se in passato questa varietà di stereotipi era scaturita dall’idea che si aveva delle persone nere americane, ora è stata sostituita dalla persona africana migrante che vive ai bordi della società e questa sua marginalizzazione è un difetto, un problema, un fastidio.

Si assiste passivi all’aggressione di Alika perché la sua intersezionalitàviene “smembrata” come fece notare Dianne Pothier: chi subisce discriminazione, non viene visto nella sua interezza, ma solo in parti che lo contraddistinguono e nel caso di Alika vittima, ogni sua parte è stata smembrata dallo sguardo degli altri e hanno visto solo che era un uomo nero, un corpo nero che poteva essere picchiato ed eliminato.

Il mondo della disabilità è in fermento da vari anni per il riconoscimento dei diritti, per l’accesso al lavoro, per l’accesso alle cure e ad una normativa sia per i caregiver che per il “dopo di noi”, ma le istituzioni e le leggi rimangono immobili: nemmeno il DDL Zan è riuscito a smuovere gli animi; eppure, quella legge era necessaria ora più che mai.

Finché non capiremo che chi vive ai margini deve lottare come un corpo unico verso gli stessi obiettivi, non riusciremo a scardinare i pregiudizi e gli stereotipi.

Quando parliamo di equità lo dobbiamo fare a 360 gradi e non dobbiamo aspettare che sia un* disabile a parlare di disabilità, ma portare l’argomento sul tavolo del dibattito e chiedersi “cosa faccio io” per rendere la società più equa?

Così come non dobbiamo usare le persone nere come token per parlare di razzismo o migrazione, non lo dobbiamo fare quando parliamo di disabilità. Dobbiamo iniziare da noi stess* e affrontare le oppressioni delle persone sotto tutti i punti di vista e non a compartimenti stagni.

Nel caso della vittima Alika abbiamo visto come i media abbiano frammentato le sue parti senza tener conto della sua interezza. È la stessa cosa che accade quando parliamo di disabilità e vediamo la disabilità della persona e non la persona nella sua interezza.

Ogni volta che un essere umano viene discriminato a causa del suo genere, del suo stato sociale, della sua etnia o orientamento sessuale, chiediamoci: cosa possiamo fare noi? Vogliamo lasciare che il nostro senso di responsabilità venga fagocitato dalla banalità del male? Vogliamo conformarci e diventare oggetti o rimanere soggetti che sanno discernere il bene dal male?

Immagine di copertina: Opera grafica di Mubeen Kishany.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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