Quattro scrittori ucraini su letteratura, solidarietà e il futuro della giustizia – dal sito Chytomo

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Quattro scrittori ucraini su letteratura, solidarietà e il futuro della giustizia

A cura della redazione di Chytomo

7 novembre 2022

“Words and Bullets” è un progetto lanciato dall’editore indipendente ucraino Chytomo e da PEN Ukraine con il sostegno del National Endowment for Democracy (NED). Si tratta di una serie di interviste con autori e giornalisti che si sono arruolati nell’esercito o sono volontari nella difesa territoriale in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Pur senza elettricità e connessione Internet stabili, la redazione di Chytomo ha deciso di rimanere in Ucraina poiché il paese è sotto attacco, il tutto per continuare a informare il mondo su ciò che sta accadendo in Ucraina.

Il testo che segue è una selezione rivista delle interviste di Chytomo con gli scrittori su come stanno affrontando l’invasione. Potete leggere le interviste complete sul sito web di Chytomo .

Iryna Baturevych, editore, Chytomo

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Halyna Kruk (poeta, traduttrice e critica letteraria)
La poesia può essere fonte di salvezza durante la guerra? Vale la pena cercare di convincere gli scettici occidentali? Quando sarà possibile il dialogo con i “vecchi amici della Federazione Russa” e quali sono le cose il mondo sarà costretto a riconsiderare dopo la guerra in Ucraina? La poeta, traduttrice, critica letteraria e professoressa Halyna Kruk risponde a queste domande.

In Danimarca mi sono esibita in uno dei più grandi festival musicali d’Europa: Roskilde, che è un po’ come Woodstock negli Stati Uniti. Circa 120.000-130.000 persone partecipano al festival ogni anno. Organizzano una piattaforma molto importante in cui discutono di informazioni importanti dal punto di vista sociale che mirano, in un certo qual modo, a cambiare qualcosa nella consapevolezza pubblica. Quest’anno si trattava di informazioni sulla guerra in Ucraina e sono molto contenta di essere stata in grado di intervenire in questo evento.

Quando sono arrivata al festival, ho avvertito una grande dissonanza tra quel contesto e quello che sta succedendo in Ucraina. Ho visto persone giovani e spensierate che ascoltavano la musica, si divertivano, celebravano la vita. Non è che fossi invidiosa che facessero tutte queste cose mentre in Ucraina i giovani muoiono. Era semplicemente un contrasto troppo forte; è stato difficile per me sul piano emotivo. Ho capito che non sarebbe stato facile spiegare loro la fragilità di questo mondo, la fragilità della pace, che fino ad ora pensavamo anche assoluta e irreversibile. C’è stato anche un momento in cui ho iniziato a dubitare che avesse senso parlare di guerra in quel contesto. Ma una volta che ho iniziato a leggere le mie poesie, improvvisamente  si è creato un grande silenzio e c’era molta attenzione in questo silenzio.

Poi, c’è stato un incontro personale con il ministro della Cultura danese Ane Halsboe-Jørgensen sui problemi umanitari che l’Ucraina deve affrontare a causa della guerra che sta rovinando la vita delle persone, distruggendo la cultura materiale e non materiale. Ho cercato di far emergere la dimensione umana della guerra. Questo tipo di storie sono un ottimo modo per integrare l’aridità di resoconti e statistiche e aiutare chi ascolta a concentrarsi sugli aspetti più delicati della guerra.

Il mio messaggio chiave era che ogni giorno l’Ucraina perde molte delle sue persone migliori. Ho cercato di spiegare che l’esercito ucraino non è un esercito professionale di soldati appositamente addestrati. Si tratta di persone provenienti da vari ambiti della vita che sono andate a difendere il proprio Paese: giornalisti, scrittori, avvocati, professori, economisti, ingegneri. Questa guerra ci sta costando il futuro. Ciò che perdiamo in questa guerra creerà un enorme divario e colmarlo richiederà molto tempo.

Questo è un messaggio molto importante per il pubblico occidentale, abituato a prendere le distanze dall’esercito e dalle cose militari, come se fosse un mondo completamente diverso, separato da cultura, istruzione, arte e scienza. Ricordo come all’inizio gli scrittori occidentali donavano denaro e dicevano che era solo per scopi umanitari, non militari. Ovunque tu vada, devi spiegare che il nostro esercito è composto da persone che fino a ieri operavano in diversi campi della cultura e della scienza e oggi sono state costrette a difendere il loro Paese. Aiutarli a fare questo non è diverso da un aiuto umanitario.

Quando vado all’estero su invito di qualche organizzazione, faccio subito una richiesta categorica: che non vi siano partecipanti russi. Ci sono state situazioni in cui gli organizzatori non hanno capito perché mi esibisco solo in loro assenza. Mi dicevano: “È un peccato che tu non ci sarai. Apprezziamo gli autori russi che sono contrari alla guerra, staremo con loro a sostenerti, anche senza di te”. La gente non riusciva a capire che non abbiamo bisogno del sostegno russo, che non cambia nulla, non influisce su nulla.

Un’altra cosa importante di cui mi sono resa conto con orrore ad un certo punto è stata che per il mondo civile che non subisce la loro minaccia è più facile capire i disagi dei russi legati alle sanzioni che non immaginare la sofferenza delle persone che si rifugiano nella metropolitana o nei sotterranei quando ci sono bombardamenti, o che seppelliscono i loro cari nel cortile perché non possono arrivare al cimitero a causa delle bombe. Poiché la mente umana non può immaginare cose così lontane dalla propria esperienza, la coscienza non accetta che tali orrori siano possibili nel mondo reale.

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Artem Chapeye (romanziere)
Lo scrittore Artem Chapeye decise di arruolarsi il primo giorno di guerra quando fuori dalla sua finestra sentì le prime esplosioni. Ora è a guardia di strutture strategiche per le forze ucraine. Chapeye è l’autore dei libri (Padre in congedo di paternità) , The Ukraine (L’Ucraina)  e Weathering  (Resistenza) .

 Citando sua madre un amico mi ha detto recentemente che a gennaio questa diceva: “Ma russi e ucraini sono un unico popolo.” e già ad aprile invece chiedeva: “Le donne che hanno meno di 60 anni possono entrare nella Difesa territoriale?”

Accade che gli ucraini siano soliti litigare molto tra di loro ma, in certi momenti, la forza della solidarietà sembra emergere dal nulla. Tuttavia, ciò non può durare per sempre. Perché non si può vivere sempre in allerta. I russi sono una nazione traumatizzata. Anche se Putin morisse, l’ipotetico Navalny non salverà la nazione imperiale. …

L’Ucraina è l’opposto della Russia. Ad esempio, il nostro esercito funziona in gran parte dal basso verso l’alto.  Da noi non è, “Tu sei il capo e io sono un idiota”. La nostra nazione è costruita dal basso verso l’alto. Zelensky è solo un rappresentante della nostra forza collettiva in questo momento. È un eroe condizionale perché non è scappato. Ma cesserà di essere a capo della nazione (ndt: l’etmano, il capo supremo nella tradizione storica della Lituania e della Polonia) qualora smettesse di rispecchiare la volontà del popolo.

Putin esemplifica l’attuale imperialismo russo. Il suo rapporto con la gente è diverso: in Russia tutto funziona dall’alto verso il basso. Nei gloriosi giorni  dello zar, padre della nazione, il peccato peggiore che si potesse commettere era il regicidio, anche simbolico. Si tratta di due modelli fondamentalmente diversi di costruire la società.

Anche se nei prossimi anni la Russia diventasse democratica e cessasse di essere fascista, questa guerra sarà ricordata a lungo. Qualora nel mondo non si consolidasse l’autocrazia e rimanesse più o meno democratico, la Russia sarà trattata per molto tempo come un paese che ha generato orrore.

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Victoria Amelina (scrittrice)
Come possono gli scrittori parlare della guerra senza glorificare la tragedia? Perché è importante non solo che gli ucraini vincano, ma anche che ripristinino la giustizia e l’equità? Cosa si deve trasmettere ora agli stranieri e quando sarà possibile che anche il futuro venga de-occupato? Tutto questo è stato discusso con Victoria Amelina, scrittrice e fondatrice del New York Literary Festival nella regione di Donetsk.

Sto cercando di creare un diario che, attraverso le storie della gente e anche attraverso la mia, rispecchi la situazione per quanto riguarda offrire evidenze dei crimini internazionali russi. In inglese esiste la parola ” justice” (giustizia), e il titolo provvisorio del mio diario è appunto “The War and Justice Diary”. In ucraino esistono due parole [per giustizia]: spravedlyvist (giustizia, equità) e pravosuddia (giustizia come sistema di giudizio), e questa differenza offre spunti di riflessione. Molto spesso, questi due concetti non corrispondono. Eppure, per costruire il Paese che sogniamo dopo la vittoria, dobbiamo arrivare al punto in cui questi due concetti si riavvicinino tra di loro, in termini di significato…

Se vinciamo e non siamo in grado di fornire evidenza dei crimini di guerra e punire i colpevoli, questa storia non sarà finita. Ci sono persone che lavorano per questa giustizia che si intravede in lontananza. D’altra parte, delle altre persone stanno combattendo in prima linea in questo momento affinché si possa arrivare a questa giustizia in futuro. E se queste persone perdono, non ci sarà giustizia. Ma vinceranno; stanno già vincendo. Il prezzo di questa vittoria è già così alto che, sulla natura dell’impero russo, dovremo affrontare sia i tribunali che l’opinione pubblica. (A proposito, non voglio chiamarla federazione. Cos’è una federazione? È illusorio pensare che la Repubblica dei Buriati o il Tatarstan abbiano davvero voce in capitolo su ciò che sta accadendo in questa “federazione”. La Russia è un impero.)

Da un lato, è importante capire come andrà a finire. Ma non ho idea di quando finirà la guerra. Perché la nostra guerra con la Russia si trascina da secoli, con interruzioni occasionali. Tuttavia, la mia motivazione è continuare a documentare questa lotta per la giustizia. La storia della lotta sul campo di battaglia sarà raccontata meglio dai veterani. Quello che vorrei fare io è un resoconto dell’aspetto meno popolare di questa lotta, cioè, parlare di coloro che dal 2014 raccolgono le prove del coinvolgimento russo e dei crimini di guerra russi (ora possiamo sicuramente dire che si tratta addirittura crimini contro l’umanità) e di coloro che lavorano, talvolta senza speranza, per l’idea di giustizia.

Perché è anche una guerra di valori. È una lotta di democrazia contro un regime autoritario. È una guerra per lo stato di diritto. Putin sta cercando di dimostrare che tutte le istituzioni internazionali e il diritto internazionale non contano e ciò che conta è il potere. Quindi, non dobbiamo solo sconfiggere la Russia, ma ripristinare la fiducia nel diritto internazionale.

Se l’Europa diventa un territorio in cui le persone non credono nello stato di diritto, perché dovremmo mai aderirvi? Se non ripristiniamo la giustizia ora, anche il mondo occidentale cambierà. Se l’Europa ingoia il fatto che i crimini contro l’umanità possano rimanere impuniti, ciò cambierà irrevocabilmente l’Europa stessa.

E per quanto possa sembrare arrischiato, dobbiamo proteggere l’Europa, non solo sul campo di battaglia, ma anche in termini di valori: se le istituzioni europee non funzionano e non sono in grado di interrompere il ciclo dell’impunità di un aggressore, in tal caso l’Ucraina dovrà aiutare a cambiare queste istituzioni e a ridefinire il diritto internazionale. Degli avvocati che si sono laureati a Leopoli, come Raphael Lemkin [un avvocato polacco, ebreo americano che è stato il primo ad applicare il termine “genocidio” nella pratica legale] e Hersch Lauterpacht [un avvocato austriaco, ebreo e inglese specializzato in diritto internazionale] una volta lo fecero.

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Anatoly Dnistrovy (scrittore e artista)
Il saggista, poeta e artista ucraino Anatoly Dnistrovy è andato all’ufficio di reclutamento dell’esercito ucraino nei primi giorni dell’invasione. In una conversazione, ha parlato di come ha trasformato le sue esperienze in scrittura, se è possibile vivere come una volta nella nostra nuova realtà e di quando il mondo smetterà infine di vedere l’Ucraina attraverso la lente della Russia.

Il problema che abbiamo noi è che l’Ucraina non si è mai presentata ai ‘mercati’ esteri. La Russia, d’altra parte, ha fatto grandi sforzi in quella direzione: per secoli ha distribuito instancabilmente i suoi messaggi in tutto il mondo alimentando delle sue narrazioni la società europea. E di conseguenza, ora hanno le loro lesioni metastatiche – i loro sbocchi – in diversi paesi. … Quelle sono enormi risorse che, tra l’altro, operano per far vedere l’Ucraina ai paesi occidentali come qualcosa di insignificante all’ombra della “grande” civiltà russa.

In questi ultimi tempi abbiamo creato un precedente: la nostra lotta e la nostra resilienza contro questa selvaggia ed enorme bestia russa ha impressionato il mondo intero. Ma dobbiamo capire che questo pubblico si raffredderà presto nei nostri confronti. Purtroppo è un fenomeno provato. Ciò significa che dobbiamo impegnarci enormemente per mantenerli stimolati. E deve essere una storia composita raccontata da più livelli: dalla popolazione, dalla comunità culturale e intellettuale e, soprattutto, dalle istituzioni statali.

L’Ucraina, purtroppo, ha prestato attenzione a questo aspetto solo negli ultimi anni, dal 2015 circa, suppongo. Prima, non importava a nessuno. …

Ciò che mi ispira è la fede: credo nella nostra verità e la verità è dalla nostra parte. Stiamo sviluppando e lavorando su trasformazioni importanti. Non stiamo combattendo per valori antichi e barbari. Non crediamo in essi. Siamo in sintonia con il mondo civile in termini di sviluppo. Questa è la nostra verità e sarà essa a vincere.

 

Traduzione di Pina Piccolo dal testo in inglese apparso in Chytomo.  In attesa di autorizzazione alla traduzione italiana.

 

Immagine di copertina: Dipinto di Olha Pilyuhina.

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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