Da poco in circolazione il nuovo libro di Loretta Emiri, Mosaico indigeno, che l’autrice stessa definisce nascere “dall’esigenza di far circolare informazioni meno superficiali e stereotipate riguardanti i popoli indigeni presenti in Brasile, nella speranza che i lettori prendano coscienza del fatto che essi hanno preservato intatta la foresta amazzonica fino ai nostri giorni, che sono nostri contemporanei, che hanno molto da insegnare a coloro che hanno trasformato la terra in un tossico immondezzaio”. Il libro è prezioso diario ed archivio della memoria e riunisce testi che parlano di diritti e lotte indigene, di lingue e culture, di personalità quali Chico Mendes e Joênia Wapichana, che è la prima indigena eletta deputata federale. Tra le etnie citate troviamo la yanomami, macuxi, guarani-kaiowá, munduruku, xukuru, warao. Seppure la situazione congiunturale varia da gruppo a gruppo, ciò che emerge è la formidabile resistenza che accomuna la vita e l’operare dei popoli indigeni che da più di cinque secoli non solo rivendicano la loro sopravvivenza fisica e culturale, ma propongono al mondo una serie di concezioni e pratiche più orizzontali tra natura ed esseri umani, estremamente necessarie nel nostro tempo.Per conoscere meglio il libro, ecco qui due estratti da Mosaico indigeno, Multimage, Firenze, 2020.
Recentemente ho trascorso due mesi nell’Amazzonia brasiliana, più esattamente nello Stato di Roraima dove ho vissuto per 18 anni sempre lavorando con e per gli indios. Sono partita senza alimentare alcun tipo di aspettativa; volevo solo verificare se, all’età di quasi settantadue anni e a distanza di nove anni dal precedente, ero in grado di portare a termine un impegnativo viaggio internazionale. Ciò che è successo è andato oltre ogni possibile aspettativa.
Quando si è sparsa la voce che ero in città, i mezzi di comunicazione si sono scatenati, coinvolgendomi in interviste per giornali, radio, televisioni locali. L’Istituto di Antropologia dell’Università Federale di Roraima ha organizzato la presentazione di Yanomami para brasileiro ver, scritto in portoghese e generosamente stampato dalla Comunità di Capodarco di Fermo nel 1994, è un libro etno-fotografico che introduce a vita e cultura degli indios yanomami, ed è diretto agli studenti. Approfittando di viaggi miei e di mia madre, nel corso degli anni i libri sono stati portati in Brasile. Dei 500 stampati, erano rimasti i 60 esemplari che ho trasferito durante il recente viaggio. Gli amici mi avevano aiutata a divulgarlo, ma l’Istituto di Antropologia ha voluto organizzare, diciamo così, una presentazione ufficiale; solo che, quando si è giunti al giorno stabilito, di esemplari ne erano rimasti 12. La casa editrice dell’università ha poi manifestato la volontà di curarne la riedizione.
Alla presentazione del libro ha fatto seguito una tavola rotonda intitolata “Popolo yanomami: sfide e prospettive”. Accanto a me ho voluto il dottor Marcos Pellegrini, medico che ha operato a lungo tra gli yanomami. Io ho ricostruito la drammatica situazione di questo popolo all’epoca della costruzione della strada Perimetrale Nord, voluta dai militari, quando varie comunità sono state decimate a causa delle malattie introdotte dagli operai della strada. Il dottor Marcos ha ricostruito la non meno drammatica situazione affrontata da questa etnia durante la massiccia invasione del suo territorio da parte di cercatori d’oro provenienti da tutto il Brasile, incentivata da oligarchie e politici locali. L’appello finale della tavola rotonda è stato che gli indigeni non possono salvarsi da soli, la società civile deve stringerli in un grande abbraccio, essi hanno bisogno del sostegno di alleati, amici, simpatizzanti, bisogna unire gli sforzi e lottare insieme.
L’Insikiran è il corso universitario offerto a studenti indigeni. Essere stata invitata a proferire una lezione magistrale di apertura del semestre mi ha, ovviamente, molto emozionata e lusingata. Prima di accettare, però, ho posto una condizione: accanto a me avrebbe dovuto esserci il maestro di etnia macuxi Inácio Brito. A causa delle grandi distanze, non è stato facile localizzarlo, ma ci siamo riusciti. Oltre che essere un carissimo amico, Inácio riportò una ferita da arma da fuoco all’epoca dell’invasione del territorio macuxi da parte dei soliti cercatori d’oro. Con la sua presenza ho voluto ribadire ciò che ho sempre sostenuto e fatto durante gli anni brasiliani: gli indigeni devono avere la parola, smettiamo di parlare per loro, apriamo spazi e opportunità attraverso cui siano essi stessi ad esprimersi, in prima persona, senza intermediari. Ho voluto anche ricordare ai giovani ascoltatori che è grazie alle lotte dei loro vecchi, molti dei quali morti ammazzati, che oggigiorno possono frequentare l’università.
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Il 19 maggio 2019, in occasione della Giornata Europea dei Musei, si è finalmente giunti all’inaugurazione della Collezione Yanomami. Purtroppo non sono stati esposti tutti i cento-settantasei pezzi cha la compongono, perché l’allestimento è stato fatto all’interno di una vetrina, ma è già qualcosa, “meglio di niente” asserisce il detto popolare. Durante l’incontro all’uopo organizzato e aperto al pubblico, ho iniziato a parlare proponendo il ricordo di mia madre. Un fulmine a ciel sereno la raggiunse quando mi sentì proferire la striminzita locuzione “Vado in Amazzonia”, mentre angosciosamente mi chiedeva cosa avessi a cha fare io con “le missioni”, con il “terzo mondo”. Mi tolse la parola per molti mesi, ma quando prese coscienza del valore e originalità della mia scelta di vita passò a condividere con me tutti i momenti importanti e gioiosi che precedettero la partenza, trasformandosi in quella che sarebbe divenuta la mia più grande complice e sostenitrice. Mentre operavo in foresta tra gli yanomami, nell’ottobre del 1980 ricevetti la sua visita. Quando ripartì, a febbraio del 1981, fu lei a portare in Italia i primi reperti yanomami, e continuò a farlo in occasione dei successivi tre viaggi che la riportarono nell’Amazzonia brasiliana.
All’inizio del 1982, tornai in Italia per un periodo di riposo e studio. Attraversai il Brasile prevalentemente in pullman, eccetto il tragitto Boa Vista/Manaus per il quale utilizzai l’aereo. Consapevole della sua fragilità e preziosità, durante tutto il viaggio tenni in braccio la scatola che conteneva una pentola di terracotta, manufatto già all’epoca molto raro a causa dell’introduzione delle pentole di alluminio. Durante la permanenza in Italia, con il consenso di mia madre naturalmente, trasformai la sua sala da pranzo in un piccolo, bellissimo, museo, proteggendo gli oggetti raccolti in bacheche appositamente costruite, e in un mobile-vetrina da cui vennero espulsi bicchieri e tazzine. Dopo il primo viaggio in Brasile mia madre aveva comprato un proiettore di diapositive ed era andata alcune volte nelle scuole per parlare degli yanomami. Divenuta “curatrice” di museo, sistematicamente invitava amici e conoscenti a farle visita, desiderosa di mostrare loro gli oggetti yanomami.
Per approfondire: https://multimage.org/libri/mosaico-indigeno/
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LORETTA EMIRI Nata in Umbria nel 1947, nel 1977 si è stabilita nell’Amazzonia brasiliana, dove per diciotto anni si è prodigata nella difesa dei diritti dei popoli indigeni. Quattro anni e mezzo li ha vissuti con gli indios yanomami, esperienza che l’ha segnata profondamente. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas. In italiano ha scritto i libri di racconti Amazzonia portatile, Amazzone in tempo reale, A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, Discriminati, oltre al romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne.
Foto di copertina e nell’articolo per concessione di Loretta Emiri.