da “The Border Crossed Us- An Anthology To End Apartheid ” (a cura di Mark Lipman)

Border Cover 4-2

Prefazione

Seguire il sentiero delle ossa

Ricordo che una volta, quindici anni fa, appena tornato a Los Angeles da Chicago, camminavo lungo una strada della San Fernando Valley quando da un piccolo Ford pick-up che mi sfrecciava accanto mi arrivò la sparatoria di parole dal tipo che sedeva dal lato del passeggero, “Hey! messicano… tornatene da dove sei venuto!”

Questi li chiamo ‘insulti razzisti sparati a caso dalla macchina che ti sfreccia accanto’.

Me ne sono beccati parecchi nel corso degli anni, a prescindere dal fatto che io sia nato in Texas e che discenda anche dalla tribù Tarahumara, dello stato di Chihuahua e da indigeni dello stato di Guerrero che parlano il Nahuatl (come pure lo spagnolo e qualche lingua africana). Chissà perché, ma queste persone ritengono che il mio posto non sia qui, che non sia questa la mia appartenenza.

Un’altra volta, durante un incontro di quartiere pieno di tensioni a South Central, Los Angeles, la parte più povera della città abitata prevalentemente da afroamericani, alcuni abitanti del posto accusarono gli immigrati messicani di rubare loro il lavoro.

L’accusa poggia su una base concreta: gli afroamericani, cittadini statunitensi per  forza, con alle spalle 400 anni di schiavitù, seguita da segregazione e poi dallo status di cittadino di seconda classe, hanno perduto milioni di posti di lavoro a causa della deindustrializzazione che già a metà degli anni 70 del secolo scorso  ha colpito le città industriali  in cui abitavano, città come Los Angeles, Chicago, Detroit, Philadelphia e tante altre. Tale processo ha poi subito una escalation durante l’amministrazione di Reagan negli anni 80. La perdita di posti di lavoro ha naturalmente fatto sentire il suo impatto anche sulla classe operaia bianca come pure sui Chicanos e su altri di discendenza latinoamericana che sono qui da generazioni – e molti di essi, perfino persone con cognome spagnolo, hanno fatto eco a quel sentire che potremmo denominare “tornatene a casa tua” .

Sempre negli anni 80, mentre si verificavano i processi delineati sopra, si assisteva anche al più massiccio influsso di migranti e rifugiati, il maggior numero dei quali proveniente dal Messico, a causa dei grandi sconvolgimenti economici e dell’enorme svalutazione del pesos in quel paese. A questo si aggiungevano le guerre civili in El Salvador, Guatemala e Honduras, conflitti e genocidi come quello della Cambogia, le svolte politiche e ‘le pulizie etniche’ nell’Europa dell’Est. Il mondo era in subbuglio, moltissime persone provenienti dai paesi dell’Est e del Sud del mondo finirono in numeri massicci in Europa e negli Stati Uniti, le economie più sviluppate. In Europa, gli immigrati non erano messicani o centro-americani, ma africani, arabi, indiani o slavi.

E il nostro esilio – i nostri spostamenti da casa, famiglia, piccoli appezzamenti di terreno alle grandi città nella maggior parte, in città industriali o orientate ai servizi (sweat shop, fabbriche, edilizia ma anche servizi di pulizia negli hotel, nelle case o nei giardini) ha avuto dei paralleli in altre parti del mondo.

 

A Parigi, nei primi anni 90, io e mia moglie Trini visitammo un centro per donne franco-arabe dove incontrammo dei rifugiati palestinesi in grado di comprendere le lotte dei messicani, esiliati nella propria terra, costretti a sopportare varie forme di apartheid, dopo che più di metà del proprio territorio era stato occupato attraverso un’invasione degli Stati Uniti dal 1846 al 1848,- per non parlare del furto vero e proprio delle terre delle popolazioni indigene dal 1492 . Proprio come la Palestina.

Palestina Libera! Nativi americani liberi! Messico libero! Libere tutte le nazioni prigioniere!

Il capitalismo oggi è più tecnologicamente avanzato e sta inghiottendo le nazioni meno sviluppate. Ciò ha come risultato grandi sconvolgimenti a livello mondiale che ha costretto un numero ancora maggiore di persone a lasciare il proprio paese, compresi paesi in cui erano insediati da secoli in culture e famiglie intrecciate in maniera complessa.

La risposta quindi non è di designare gli immigrati come capri espiatori per il nostro malessere, ma di arrivare alla radice delle cause della crisi mondiale che stiamo affrontando: una economia capitalista globale con mercati finanziari ed economie integrate, insieme a guerre genocide e per il potere, che hanno distrutto le capacità umane e naturali all’interno dei paesi più poveri, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza dei lavoratori di qualsiasi nazionalità.

Dobbiamo esaminare la vera fonte del problema – una classe dirigente sempre più ridotta e più ricca e una crescente classe operaia sempre più povera, con uno smisurato abisso in mezzo. Possiamo anche vivere dentro gli stessi confini, ma come classe abbiamo sempre meno in comune.

In questo volume The Border Crossed Us: an Anthology to End Apartheid *  i poeti intervengono contribuendo immagini, metafore e versi che insegnano ed illustrano i dilemmi e le ingiustizie che stanno alla base della questione immigrazione.

Questa antologia raccoglie sia poesie di dolore che di rivalsa, come quella di Dorothy Payne “Allora con le parole ardenti di donna/ e un incendio incontrollato di vendetta/ riporterò alla luce le madri dalla loro sepoltura/ e cullerò gli uomini bruni/ che pendono ancora dai rami/ per riportare alla salute la terra/una nazione senza confini/ o la poesia di Antonieta Villamil: Dì che porto alla vista/ locchio del ciclone / e sotto le unghie / la terra / che non ho potuto scavare per i miei morti./

Il volume contiene odi alla Striscia di Gaza, all’Honduras, al Texas del Sud, alla Colombia, al Sud Africa, alle Primavere Arabe, a Los Angeles, alle terre indigene, e altro ancora. Ci sono poesie in arabo ed ebraico. Inglese, spagnolo e angoscia. Da ogni parte di questa nazione e anche da altre, da confini “senza fine” a poesie senza fine.

Poesia intrisa di storia e di mistero.

E la frontiera, allora? Le frontiere sono illusioni costruite dall’uomo per catturare i mercati domestici, esse hanno portato alla morte o alla devastazione di milioni di persone a beneficio di poche. I confini e le ideologie, i sistemi di valori hanno provocato più danni all’umanità in quanto rispecchiano le relazioni di classe che sorgono da fondamenta tecnologiche sempre più complesse.

Per i messicani e gli abitanti dell’America centrale che sono geneticamente e storicamente legati alle cosiddette culle delle civiltà mesoamericane (nella storia umana ve ne state solo sette: le altre sono la Cina, la Nigeria, l’Egitto, la Mesopotamia, la valle dell’Indus e il Perù) si tratta solo di un ritorno a casa, seguendo piste di migrazione che precedono di decine di migliaia di anni la conquista degli europei.

Purtroppo, le dinamiche di classe e di razza finiscono per capovolgere ogni cosa. Adesso uomini e donne dalla pelle scura che hanno le radici nelle popolazioni indigene (a prescindere che le riconoscano o meno) e che hanno legami a questo continente da più tempo degli altri, sono diventati “stranieri”, “clandestini” ed “estranei”

E’ possibile però ristabilire l’equilibrio. Possiamo allineare le economie e le culture in modo da assicurare un sano sviluppo sociale per tutti. Per arrivare a questo occorreranno visione, strategie, organizzazione, pianificazione, ed uno studio maturo. Per adesso ascoltiamo i poeti. Sono portatori di queste verità e lo fanno attraverso la bellezza, la lingua e le loro appassionate argomentazioni. Sono portatori di queste verità nonostante tutto, e sono quelle le venature nel legno che dobbiamo seguire.

 

  • Luis J. Rodriguez, Poeta Laureato di Los Angeles luglio 2015- Il titolo dell’introduzione è tratto da un verso di Iris De Anda, poetessa messicana-salvadoregna.

Traduzione di Pina Piccolo

*Il titolo dell’antologia in inglese gioca sulle due accezioni della parola ‘crossed’ e quindi significa sia “La frontiera ci ha attraversato” sia “La frontiera ci ha traditi”.

 


 

IL NUOVO GHETTO DI VARSAVIA

 

di Henry Howard

 

Mentre i caccia israeliani trasformano in giorno la notte

E a caso i carri armati incendiano

Interi isolati, scuole, mercati ,

Perfino ospedali e rifugi dell’ONU ,

Arde  la mia mente di immagini fiammanti

Di un altro ghetto, settant’anni fa

 

Chiamiamola con il suo vero nome la Striscia di Gaza :

Il più grande dei ghetti moderni ,

Nato dalle ceneri

Del Ghetto di Varsavia, Israele

Ha dato alla luce questa tana di leoni di sofferenza,

Brandendo la frusta e la chiave

Sia del domatore che del guardiano della porta del ghetto.

 

In cima alle mura del ghetto di Varsavia

Negli anni quaranta c’erano cocci di vetro e filo spinato.

A Gaza oggi un alto muro di acciaio inossidabile,

Coronato ancora da filo spinato, lampade ad alta tensione

E l’ultimo  ritrovato di sorveglianza.

 

Oggi l’Autorità Palestinese,

Fedele burattino d’Israele in Cisgiordania,

E’ il nuovo Judenrat , il Consiglio Ebreo degli Anziani,

E seguendo gli ordini di Israele decide

Quali case di Gaza saranno bombardate o depredate,

E chi invece riceverà le briciole buttate dal Governo d’Occupazione.

 

Non che non ci siano differenze,

Tra il Ghetto di Varsavia e il Ghetto di Gaza City ,

Lungo le strade di Gaza City non vedi treni di deportazione

Ad aspettare palestinesi da condurre a una Treblinka mediorientale

E i bombardamenti e gli incendi li fanno ogni paio d’anni.

 

Le Nazioni Unite ci sono ma solo col nome ,

E spesso sono ignorate a seconda dei capricci d’Israele.

Il profumo del pane appena sfornato si diffonde per le strade,

E perfino a Gaza i bambini giocano a calcio

Per vicoli ingombrati dalle macerie generate dagli ultimi missili.

 

 

Ma esistono sciagurati paralleli,

Perfino troppo chiari per chi ha gli occhi aperti e vede un passato

Che non si può perdonare e un presente

Che non si può accettare.

 

Nel Ghetto di Varsavia

Furono mezzo milione a morire di fame nei bunker,

O ad esalare l’ultimo respiro

In gelide stanze di mattoni sotto docce che esalavano gas.

 

Nel Ghetto di Gaza City,

Il 65% è malnutrito,

Il 100% va a letto affamato,

Il 50% è disoccupato,

Il 90% dipende da aiuti internazionali,

E i confini, il cibo, le medicine,

E perfino il diritto di pescare nel mare sono controllati

Dal corrotto Egitto e dall’imperialista Israele.

 

La Rivolta del Ghetto di Varsavia

Così come l’Intifada palestinese

Furono guerre combattute da bambini

di 10, 1, 13 anni armati di pietre

E di bottiglie incendiarie,

Contro carri armati e mitragliatrici prodotti con dollari americani

Forgiati da sogni Capitalisti di Occupazione e di nation building per procura

 

Oggi occorre un nuovo tipo di Intifada

Combattuta fuori e dentro il  Ghetto di Gaza City

Da palestinesi e israeliani,

Con catene da perdere e un mondo da guadagnare!

 

Il muro che fende gli alberi di limone e gli uliveti,

Separa le famiglie e divide i quartieri,

Imponendo l’apartheid tra due popoli

Che non hanno esigenza storica di essere nemici

Se non per il fatto che la tirannia del potere dello Stato,

Non può sopravvivere alla forza

Di un popolo risvegliato

Che si sollevi dall’oppressione condivisa.

 

E in quel giorno,

I fantasmi del Ghetto di Varsavia

E le rovine del Ghetto di Gaza City

Staranno insieme nella pattumiera della storia,

E la Mezzaluna Rossa e la Stella di David voleranno in alto

su un’unica Palestina

Finalmente insieme!

Traduzione dall’inglese di Pina Piccolo

 

THE NEW WARSAW GHETTO

by Henry Howard

 

As Israeli bombers turn night into day

And tank shells indiscriminately set ablaze

Whole apartment blocks, schools, markets,

Even hospitals and U.N. shelters,

My mind is ablaze with images of the burning

Of another ghetto, seventy years before.

 

Let us call the Gaza Strip what it is:

The world’s largest modern ghetto,

While Israel, born from the very ashes

Of the Warsaw Ghetto,

Has given birth to this lion’s-den of suffering,

And brandishes the whip and the key

Of the lion-tamer and ghetto gatekeeper alike.

 

In 1940’s Warsaw, there was a high wall

Capped with splinter glass and razor wire.

In Gaza, there is a high wall of stainless steel,

Capped by razor wire, high-tension lamps,

And the very latest in surveillance gear.

 

Meanwhile, the Palestinian Authority,

Israel’s faithful puppet in the West Bank,

Serves as the new Judenrat, the Jewish Council of Elders,

Who decide at Israel’s behest

Whose houses in Gaza will be bombed or raided,

And who gets the crumbs tossed out by the Occupation government.

 

There are differences, of course,

Between the Warsaw Ghetto and Gaza City Ghetto.

No deportation trains line the streets of Gaza City,

Waiting to bear the Palestinians to a Middle East Treblinka,

And the bombings and firestorms are spaced a few years apart.

 

The United Nations has a nominal presence here,

Though it is often ignored at Israel’s whim.

The smell of freshly baked bread lines the streets,

And even in Gaza, children kick soccer balls

Down alleys clogged with debris from the latest missile strike.

 

But the ominous parallels are there,

All too clear for those with open eyes to see a past

That is unforgiveable, and a present

That is unacceptable.

 

In the Warsaw Ghetto,

Half a million souls starved in underground bunkers,

Or breathed their last

In cold brick shower rooms filled with gas.

 

In the ghetto of Gaza City,

65% are malnourished,

100% go to bed hungry,

50% are unemployed,

90% depend on foreign aid,

While the borders, food, medicine,

And even the right to fish in the sea are controlled

By corrupt Egypt and Imperialist Israel.

 

The Warsaw Ghetto Uprising

And the Palestinian intifadas alike

Were children’s wars,

Waged by 10, 11 and 13-year-olds armed with rocks

And gasoline bombs,

Against tanks and automatic weapons made with American dollars,

Forged in Capitalist dreams of Occupation and nation-building by proxy.

 

What is needed is a new kind of intifada,

Waged on both sides of the Gaza City Ghetto

By Palestinians and Israelis,

With their chains to lose and a world to win!

 

The wall that slices through lemon trees and olive groves,

Separates families and divides neighborhoods,

And enforces apartheid between two peoples with no historical need

To be enemies except beneath the tyranny of state power,

Cannot survive a battering by a people awakened

By their shared oppression.

 

On that day,

The ghosts of the Warsaw Ghetto

And the ruins of the Gaza City Ghetto

Will share the dustbin of history,

As the Red Crescent and the Star of David fly high above one Palestine,

Together at last!

Henry Howard photo

Henry Howard: sono un poeta di Los Angeles per la pace e sono orgoglioso di far parte del gruppo Revolutionary Poets Brigade. Ne vado fiero perché ho sempre creduto nel potere della penna come una forza trascinante per il cambiamento sociale, e come scrittore ed attivista ho dedicato la mia vita a tale obiettivo. La poesia ha il potere di unire le persone più di qualsiasi elezione, e non c’è pallottola che la possa fermare. Questo accade perché la poesia parla la lingua del cuore – un linguaggio in cui i sentimenti sono importanti quanto le parole che li risvegliano. La poesia riaccende sia le nostre passioni che la nostra com-passione per l’un l’altro e questo può a sua volta condurci verso un mondo che si basi sull’unità disinteressata. Di recente ho scritto un secondo volume di poesia pubblicato da Vagabond, intitolato Sing to Me of My Rights (Cantami dei miei diritti). Sì, davvero: se mettiamo tutta la forza della poesia per cantare dei diritti umani, la gente imparerà la melodia e la canterà da sola con voci talmente forti da infrangere le proprie catene, come pure le catene dell’oppressione degli altri. Tutte le rivoluzioni veramente grandi nel mondo sono incominciate con grandi parole!

 


 

L’ Impero per 1 poema

per  William Shakespeare

 

Piccola donna del terzo mondo, potete dirlo. Dite che sono una Malinche vagabonda perché me ne sono andata al Nord con tutto il mio disincanto e il mio coraggio e la mia fame di piccola donna del terzo mondo, che lo dicano non mi interessa! Ma dovete dire che me ne sono andata apposta con la mia irriverenza e la mia rabbia per costruire un tempo al poema. Dite che porto nel mio sguardo, l’occhio dell’uragano e sotto le unghie, la terra che non ho potuto scavare per i miei morti. Che porto nel filo affamato della mia lingua un Sì, si può un  rosso urlo fino alla vittoria nel centro del cuore e che questo esercito di operai diseredati che mi accompagna, trasformerà l’Impero con il potere del numero. Che siamo in molti e non li ammazzeremo perché loro sono parte di noi. Inoculeremo loro la nostra presenza. Ci faremo

 

i n n u m e r e v o l i

incantatori di serpenti. Necessari parassiti dei parassiti che forniamo il corpo all’Impero, come loro alla fiorita discarica, per fare l’amore alla vita.

Sono qui, facendo la gringa con tutta la mia svogliatezza, vivendo di redditi nella pancia del mostro, giorno dopo giorno inoculo il mio veleno. Costruisco il tempo per il grande poema della caduta. Per la memoria dei miei morti, delle mie scomparse donne del terzo mondo che, emigranti affamate, lasciamo  la sete appesa nei deserti di Texas, California, Nuovo Messico  e Arizona. Che per il loro oltraggio, sono della mosca la larva di piccola donna del terzo mondo nella pancia del grasso Impero e che qui gli restituisco la sua narco-para-militare deca-denza .

Si, dovete saperlo, sono il virus che scava la loro colonna di ghiaccio e quando arriva il giorno atteso, consegnerò tutto questo Impero usuraio per soltanto

1 poema.

 

CORO: Passero di vita, passero di pace,

ammazzandoci non ci ammazzeranno.

Passero coraggioso, passero di madre terra,

fino alla vittoria, dammi il tuo potere   di rivoluzione.

di Antonieta Villamil

Versione italiana di Gabriel Impaglione 

 

THE EMPIRE FOR 1 POEM

to William Shakespeare

 

CORO: Pájaro de vida, pájaro de amor,

hasta la victoria dame de tu vuelo.

Pájaro valiente, pájaro de tiempo,

hasta la victoria, dame tu poder.

Little woman of the third world, let them say it. Let them say that I am a vagabond Malinche because I took off North with all my disenchantment, my courage and my hunger of little woman of the third world, let them say it I don’t care! But let them say that with a purpose I left with all my irreverence and my outrage to build the time for the poem. Say that I bring in my sight, the eye of the hurricane and under my fingernails, the earth I could not dig for my dead. That I bring in the hungry edge of my tongue, a Yes we can in a red cry to victory in the center of the heart and that this army of dispossessed workers that accompanies me, will transform the Empire with the power of the number. That we are many and we are not going to kill them because they are part of us. We are going to inoculate them with our presence. We will become

c o u n t l e s s

snake charmers. Necessary parasites of parasites, that lend the body to the Empire, as they do to the florid wasteland to make love to life. That here I am, acting like a gringa with all my reluctance; living from rents in the belly of the monster and that day by day I inoculate my poison. I build the time to the great poem of the fall. For the memory of my dead, of my disappeared women from the third world, that hungry immigrants, we left thirst hanging in the deserts of Texas, California, New Mexico, and Arizona. That for their abuse, I am of the fly, the larva of little woman from the third world in the belly of the fat Empire and that I am here returning to them their narco-para-militar corruption. Yes, let them know it, I am the virus

undermining its column of ICE and when the expected day arrives, I will deliver this banking Empire for only

1 poem.

 

CORO: Pájaro de vida, pájaro de paz,

es que aunque nos maten, no nos matarán.

Pájaro valiente, pájaro de madre tierra,

hasta la victoria, dame tu poder   de revolución.

 

by Antonieta Villamil

Antonieta Villamil photo

Poetessa bilingue spagnolo/inglese che ha vinto numerosi premi internazionali, Antonieta Villamil è inoltre cantante, redattrice e ha pubblicato più di 11 libri. La sua scrittura si focalizza sulle persone dimenticate e le onora con una tenacità tale da costringerci ad ascoltare le loro voci. Dirige la rivista e salon letterario Poesía Féstival che porta la poesia alle comunità di madrelingua spagnola che abitano a Los Angeles e che hanno meno accesso alla cultura nella propria lingua d’origine. www.antonietavillamil.blogspot.com


 

 

Note sulla frontiera

 

A luglio del 2014 Israele lanciò l’Operazione “Margine Protettivo” che aveva come bersaglio principale i bambini palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Nel corso di questa campagna di bombardamenti che durò un mese, persero la vita più di 1400 palestinesi, in maggioranza civili, donne e bambini e un numero incalcolabile di persone rimase gravemente ferito o perse la casa.

 

Nello stesso periodo, qui, negli Stati Uniti, cominciarono ad apparire immagini di bambini provenienti dall’America Centrale e del Sud imprigionati in gabbie nei centri di detenzione ICE * nel sud del Texas, mentre orde di neo-conservatori senza cuore li demonizzavano, come fossero criminali. La maggioranza di questi bambini erano arrivati alla frontiera con gli Stati Uniti in fuga da gang, droga, guerre e violenza nei propri paesi, alla ricerca di un futuro migliore.

In entrambi i casi, i bambini, la categoria più vulnerabile degli esseri umani, erano diventati bersaglio e capri espiatori per i crimini basati sull’odio imposti su di loro sia dal governo israeliano che da quello statunitense. La palese mancanza di umanità che veniva dimostrata in entrambi i casi nei confronti dei bambini non poteva trovare alcuna giustificazione e gettava luce sul fondo che avevamo toccato come civiltà.

 

Come sempre accade in questi casi, furono proprio i poeti a schierarsi in prima linea per denunciare le ingiustizie commesse dai governi e dal mondo. E’ in questo contesto che è nato l’appello ad unire le nostre voci con la poesia, per dare corpo alle diverse istanze che si intrecciano e vengono sollevate sull’argomento confini, per far in modo che scaturisse sia la voce della ragione che quella dell’indignazione in grado di denunciare i crimini contro l’umanità e rivelare la vergogna e il genocidio implicito in questo trattamento dei bambini. E cosa ancora più importante, per creare quei ponti culturali capaci di collegare le nostre comunità e di unire le varie questioni in modo di arrivare a capire che si tratta di un’unica lotta.

 

Sono questi i motivi per cui è nata l’antologia The Border Crossed Us – An Anthology To End Apartheid pubblicata da Vagabond (www.vagabondbooks.net) che raccoglie le voci di 60 poeti da tutto il mondo, con poesie in inglese, spagnolo, arabo, ed ebraico, e che abbinano i temi dell’immigrazione e della giustizia per la Palestina.

 

Ci rendiamo conto che un singolo volume non è in grado di catturare tutte le voci delle classi che soffrono e che continuano ad aumentare ma con questa antologia speriamo di dar voce alle più innocenti delle vittime che sono morte e che sono state il bersaglio della paura e dell’odio di altri, vittime che sono state considerate “danni collaterali” nei libri mastri del tempo. Per loro, dunque, alziamo ora le nostre voci e facciamoci sentire.

 

Mark Lipman, curatore dell’antologia

 

*[nota della traduttrice] ICE -strutture carcerarie per migranti “clandestini” da deportare, ancora più disumane dei CPT, dei Cie e degli Hub in Italia. E’ a questi centri che allude la poeta Antonieta Villamil nella poesia sopra.

Traduzione di Pina Piccolo

 

L’antologia è stata lanciata a Los Angeles il 12 ottobre 2015, per dare risalto all’occasione  la casa editrice Vagabond ha realizzato un suggestivo video di introduzione che ne riassume lo spirito con immagini, musica e letture di poesie  tratte dall’antologia stessa.  Per guardare il video cliccare su questo link https://youtu.be/iXW0OpsRfrw

 

Ma cosa mai siamo diventati

di Jeffery Martin

 

Ma cosa mai siamo diventati

quando ci agitiamo per una frontiera

e sussurriamo a bassa voce per i bambini

chiusi in gabbiette

chiamate necessarie

 

Siamo noi quel film dell’orrore

che si sta avverando

che ci fa chiudere gli occhi

e indietreggiare

non è più

necessario

cercare sotto i letti

o negli armadi

le nostre più grandi paure

camminano tra di noi

ce le abbiamo davanti agli occhi

 

che indossano completi e distintivi

e gonne

e aspirazioni

piccolo borghesi

 

Hanno l’alito cattivo

ma parlano troppo

per rendersi conto

della tossicità

che inquina ogni filo

d’erba a est di qui

a ovest di lì

a nord di questo

a sud di quello

 

Non aveva un senso

quando era pelle

nera

non aveva un senso

quando era pelle

rossa

non aveva un senso

quando era pelle

bruna

non aveva un senso

quando era pelle

di donna

non aveva un senso

quando era un cristiano

un musulmano

un buddista

un ateo

un comunista

un rivoluzionario

non ha mai avuto

alcun senso

era impensabile

blasfemo, spregevole

una cosa che crea divisioni

avevamo toccato

il fondo

 

così pensavamo

ma adesso perfino i malvagi

restano stupiti

per quello che siamo

diventati

quando rivolgiamo

la nostra bassezza

verso i bambini

come facciamo a dormire

comodamente

sapendo che bambini piccoli dormono

in gabbiette

rinchiusi lì da adulti

che fanno il loro

fottutissimo lavoro

 

Ma che cosa siamo diventati

quando sbattiamo le porte

in faccia ai piccoli sognatori

perché vengono considerati

una minaccia

 

contro qualcuno, in un qualche modo

da una qualche parte

i tiranni le vedono

davvero le loro vittime

i mostri la sentono

la paura della loro preda

ora a quelle domande

possiamo rispondere

perché siamo diventati noi

quella orrenda entità

che si aggira tra le ombre

pronta a lanciarsi

non solo su chi è

inconsapevole

ma anche sui semi

sui fili d’erba

che devono

portare nuova vita

e vivacità

ma che invece si trovano

recintati da ciò che

siamo diventati.

 

Ma non dovevamo

amare i nostri bambini

i tuoi bambini

tutti i bambini

che cosa siamo diventati

quando i ragazzi

li abbiamo trasformati

in statistiche

in alleanze

scomode

per la nostra avidità

ed egoismo

indesiderati dai cercatori

di mezze verità

e di menzogne totali

 

Ma siamo

impazziti tutti

o troppi di noi

si sono

zittiti

 

davanti al male

tremanti in sua

presenza

resi insensibili dalla sua

lingua

e ipnotizzati

dal suo sguardo

 

Da quando in qua i bambini

costituiscono una minaccia

alla nostra sicurezza nazionale

e diventano oggetto

di disprezzo

che legge è mai stata

approvata che ci separa

da quell’empatia

che in passato

era considerata ponte

verso il progresso

e il miglioramento

 

chi ha firmato le carte

che ci incriminano tutti

in questa mattanza di spiriti

alla frontiera creata

da uomini che non erano

tenuti

a tracciare linee

nella sabbia

che non era stata mai

pacificamente regalata

a loro

 

Ma che cosa siamo diventati

quando trasformiamo

gli architetti del futuro

in mostri delle nostre

immaginazioni

se non lottiamo

per i bambini

per che cosa ci rimane

da combattere?

 

che pretesto

possiamo offrire

e che scusa

è accettabile

 

Traduzione di Pina Piccolo

 

What Have We Become

by Jeffery Martin

 

What have we become

when we scream about borders

and whisper about children

in little cages

called necessary

 

We are that horror movie

finding its reality

which makes one cover

eyes and cringe

no longer is it

necessary

to look beneath beds

or in closets

for our greatest

fears

it walks amongst us

in plain sight

 

 

wearing suits and badges

and skirts

and middle class

aspirations

 

Its breath is bad

but it talks too

much

to notice

the toxicity

polluting every blade

of grass east of here

west of there

north of this

south of that

 

It made no sense

when it was black

skin

it made no sense

when it was red

 

skin

it made no sense

when it was brown

skin

it made no sense

when it was a woman’s

skin

it made no sense

when it was a christian

a muslim

a buddhist

an atheist

a communist

a revolutionary

it never made any

sense

it was unthinkable

ungodly, despicable

and divisive

it was us at our

lowest

 

we thought

but now we surprise

even the wicked

for what have we

become

when we turn our

vileness

towards the children

how do we sleep

comfortably

knowing babies sleep

in pint-sized cages

put there by adults

who are doing their

mutha fuckin job

 

What have we become

when we close doors

on small dreamers

because they are

viewed as a threat

 

to someone, somehow

somewhere

do tyrants ever really

see their victims

do monsters feel the

fear of their prey

we can now answer these

questions

because we have become

that horrific entity

lurking in the shadows

waiting to pounce

not only on the unaware

but also on the seeds

the blades of green

which are supposed to

bring new growth

and vibrancy

but find themselves

hemmed in by what

we’ve become

 

Aren’t we supposed

to love our children

your children

all children

what have we become

when the young

have been turned

into statistics

into uncomfortable

alliances

to our greed

and selfishness

unwanted by purveyors

of half truths

and whole lies

 

Have all of us

gone mad

or have too many

of us

grown silent

 

in the face of evil

cowering in its

presence

numbed by its

language

and hypnotized

by its glare

 

Since when did children

become threats

to national security

and recipients of so

much scorn

what law was passed

separating us

from the empathy

that in the past

was seen as a bridge

to progress

and advancement

who signed the papers

 

incriminating us all

in this slaying of spirits

at borders created

by men who had no

business

drawing lines in

sand

that was never peacefully

handed over

to them

 

What have we become

when we turn

architects of the future

into monsters of our

imaginations

if we will not fight

for children

what is left to fight

for

what excuse can

 

we give

and what excuse

is acceptable

by Jeffrey Martin

 

Jeffery Martin photo

Jeffrey Martin: poeta, fabulatore, autore di 8 libri (4 libri di poesia, 3 libri per l’infanzia e un testo teatrale) usa le proprie esperienze di vita come ispirazione per poi condividerle nella sua scrittura. Nel 2008 il suo primo libro Weapon of Choice ha vinto il New Jersey Beach Book Festival come migliore libro di poesia e nello stesso anno ha ricevuto una menzione d’onore nel New York Book Festival e nel London Book Festival. Nel 2011, sia il suo libro di poesia As Sons Love Their Mothers che quello per l’infanzia Silly Billy hanno ricevuto una menzione d’onore nel San Francisco Book Festival.

 

Fino a quando sarà fatto

                   per Nelson Mandela

 

Per chi dice

che non si può fare,

 

quelli che guardano dalle torri d’avorio

con trincee militarizzate

celle di sparizione

e macchinazioni per burattini

 

imitando esseri umani

quasi su ogni aspetto

eccetto la coscienza

e il corpo da imprigionare

 

schiavizzando il mondo con divisioni

di odio e settarismo,

 

gli dico, sogna un mondo

che sia in pace con se stesso.

 

Per tutti quelli che hanno

perso la speranza,

 

chi è caduto nella disperazione,

chi vede il cielo crollargli addosso

e il limite finale avvicinarsi lento

 

chi si abbatte davanti alla paura

e le amare lacrime della sconfitta,

 

dico, il coraggio non è l’assenza di timore,

ma la sua sconfitta.

 

Affacciati e fai di te un leader.

 

Essere libero non è soltanto

sciogliere le proprie catene,

si devono rompere.

 

Per chi sogna la libertà

non c’è cammino facile.

 

Ci sono alture tra le colline

e montagne prima

di raggiungere la nostra vallata.

 

Dobbiamo utilizzare il tempo

e saggiamente vedere l’orizzonte.

 

Non conformarti con una vita

indegna di essere vissuta.

 

Raggiungi con il tuo primo e ultimo alito

la vittoria, quella cima di montagna

 

tutti saremo là con te

esercitando la vita

in piedi davanti alla luce

del  sole memorabile.

 

Alzate i vostri cuori! É tempo!

sempre pare impossibile

fino a quando viene fatto.

 

di Mark Lipman

versione italiana, Gabriel Impaglione

 

Until It is Done

for Nelson Mandela

 

For all those who say,

it can never be done,

 

who look upon those ivory towers

with their militarized trenches

disappearing chambers

and puppet mechanisms

 

imitating human beings

in all aspects

‘cept for a conscience

and a body to jail

 

enslaving a world with divisions

of hate and sectarianism,

 

I say, dream of a world

which is at peace with itself.

 

For all those who have

given up hope,

 

who have fallen to despair,

who see the skies falling in on them

and the shoreline inching closer

 

who have given into fear

and the bitter tears of defeat,

 

I say, courage is not the absence of fear,

but the triumph over it.

 

Stand tall and lead.

 

To be free is not merely

to cast off one’s chains,

but to break them all.

 

For all those who dream of freedom

there is no easy path

 

hills follow hills

and mountains

before we reach our valley

 

we must use our time wisely

and see the horizon.

 

Settle not for a life

… worth less than living.

 

Reach with your first and very last breath

towards victory, to that mountaintop

 

and we will all be there with you,

on the frontline of life

standing in the light

of that glorious sun.

 

Lift up your hearts, the time is ripe

it always seems impossible

… until it is done.

by Mark Lipman

Mark Lipman photo

 

Fondatore della casa editrice VAGABOND, Mark Lipman è scrittore, poeta, artista multimediale e attivista. E’ autore di sei libri, tra i più recenti, Poetry for the Masses e Global Economic Amnesty. Nel 2015 ha ricevuto il Joe Hill Labor Poetry Award. E’ co-fondatore di Berkeley Stop the War Coalition (USA), Agir Contre la Guerre (Francia) e Occupy Los Angeles e dal 2001 critica con grande fervore la guerra e l’occupazione. Mark utilizza la poesia per sensibilizzare le comunità sulle grandi questioni sociali che influenzano la vita di tutti, spesso utilizzando la poesia orale, spoken word. Attualmente è membro delle seguenti associazioni: POWER (People Organized for Westside Renewal), Occupy Venice, the Revolutionary Poets Brigade100 Thousand Poets for Change e dei Wobblies International Workers of the World (IWW). www.vagabondbooks.net


 

Terrorizzati tre volte

di Ernest Rosenthal

 

Terrorizzati due volte:

 

la prima volta, quando, con massiccia unanimità

le orde hitleriane, ci circondarono, noi ebrei

di Vienna, costringendoci a fare qualsiasi cosa volessero;

–     perché erano ariani superiori;

 

e ricordo di essermi sentito allora come

una creaturina stretta nel pugno di un gigante

mi poteva schiacciare per capriccio, in qualsiasi momento

[ -e come me c’erano tanti altri]

 

ce l’ho fatta a scappare…

 

                                                                                              la seconda volta è ora, quando

                                            le orde israeliane, avvolte nella loro impenetrabile corazza

                                                           lanciano tonnellate di bombe per frammentare la

                                                popolazione prigioniera di Gaza; – per “legittima difesa”;

 

–   perché sono arabi inferiori?

[nessun israeliano mette in dubbio la sua superiorità ebrea

né mai ammetterà le sue pretestuose  congetture

–   neppure a se stesso]

 

la prima volta vittime minacciate di terrore;

la seconda volta terrore – “in nome mio” che mi rende

colpevole di punizione collettiva

contro gli innocenti;

[ce ne sono pochi altri come me]

–  e da questo non si scappa;

 

lo status di vittima è più facile da sopportare che non la complicità supina;

“la rappresaglia preventiva” conferisce a chi la pratica

il marchio di una psiche contorta:

“esiste un tipo di psiche incapace di perdonare le persone a cui ha

fatto del male:

–   e peggio ancora è affrontare il vile retro-terrore

del ribrezzo per sé stessi –generato dal proprio silenzio…

 

traduzione di Pina Piccolo

 

Thrice Terrorized

by Ernest Rosenthal

 

terrorized twice:

 

the first time, when the Hitler hordes,

in massive unanimity, surrounded us, the Jews

of Vienna, and made us do their bidding;

– because they were superior Arians;

 

and i remember feeling then as though

a tiny creature held within a giant fist –

any moment to be crushed at whim;

[– and there were others like me];

 

– i managed to escape…

 

the second time is now, when

Israeli’ hordes, wrapped in impenetrable

armor, cast tons of bombs to fragment over

Gaza’s captive populations; – in “self-defense”;

 

– because they are inferior Arabs?

[no Israeli doubts his Jewish superiority;

– nor will admit its specious suppositions;

– even to himself];

 

the first-time terror threatened victims;

second time terror – “in my name” – makes

me a perpetrator of collective punishment

upon the innocent;

[– there are few others like me];

 

– and there is no escape;

 

victim-hood is easier to bear than is supine complicity;

‘preemptive retribution’ confers upon its perpetrators

the stigma of a twisted psyche:

“there is a kind of psyche that can’t forgive those it has wronged”;

 

– worst is confrontation with self-loathing’s

craven retro-terror – for remaining silent…

traduzione di Pina Piccolo

 

Ernest Rosenthal photo

Ernest Rosenthal è riuscito a sfuggire alla Shoah, è professore, non si considera poeta ma piuttosto un polemista che usa dispositivi poetici. Tuttavia, dalle sue parole traspare la saggezza di chi le ha vissute in prima persona ed è quasi impossibile non accettarle se non come verità. La sua opera più importante Not for Drones, è stata pubblicata da VAGABOND nel 2013.

 

è così che si attraversano i confini

di Iris De Anda

prometti ai tuoi cari che ritornerai

lasciati dietro tutto

accendi ceri pregando il cielo

segui il sentiero delle ossa

cammina per giorni nel deserto

inventati un nuovo nome

impara un inglese stentato

non hai altra scelta

dipingi il tuo futuro sulla volta del cielo stellato

canta il tuo passato sulla sponda del fiume

fatti crescere ali per i momenti di disperazione

bevi acqua quanto te ne basta per tutta la vita

evita di essere notato dalla polizia che pattuglia la frontiera

paga al coyote contrabbandiere un bel gruzzoletto

non ti fare sequestrare

se fallisci provaci ancora e ancora una volta

il deserto non ti perdonerà qualunque sia la tua età

il comitato di benvenuto è in vacanza

l’insegna vietato entrare ai messicani è invisibile ma c’è ancora

la scritta vietato entrare ai palestinesi è cucita sulla loro pelle

il vietato a chi non è noi nascosto sotto la lingua

quel no no no

in quanti modi lo possono dire

vietato agli sporchi messicani

vietato ai clandestini

non avete il diritto di stare qui

non avete diritto di asilo

non vogliamo  rifugiati

non vogliamo bambini

non vogliamo madri

non vogliamo esseri umani

dimenticatevi che questa è la terra degli immigrati

perché è tutto esaurito

ma continuiamo lo stesso a venire

continuiamo a fuggire

le case che avete bombardato

le guerre che avete creato in me

la migrazione è un diritto umano

ogni minuto nascono farfalle

e continuano a vagare seguendo il loro destino

traduzione di Pina Piccolo

 

this is how you cross the border

by Iris De Anda

 

promise your loved ones you will return

leave everything behind

light candles to heaven

follow the trail of bones

walk the desert for days

make up a new name

learn broken english

you have no other choice

paint your future across the night sky

sing your past into the river’s edge

grow wings for times of despair

drink enough water for a lifetime

avoid detection by border patrols

pay the coyote serious money

do not get kidnapped

if you fail try again and one more time

the desert will not forgive you no matter your age

the welcoming committee is on vacation

the no mexicans allowed sign is invisible but it’s still there

the no palestinians allowed is stitched in their skin

the no you who is not us is hiding under their tongue

the no no no

how many ways can they say

no wetbacks

no illegals

no right to be

no asylum

no refugees

no children

no mothers

no human beings

they are not human beings

forget this is the land of immigrants

because there is no vacancy

still we continue to come

we continue to flee

the homes you have bombed

the wars you have created in me

migration is a human right

monarch babies born every minute

continue to roam to their destiny

Iris de Anda

 

Iris De Anda photo

 

Iris de Anda è nata a Los Angeles ed è una femminista di colore di discendenza messicana e salvadoregna. E ’scrittrice, attivista e pratica le arti della guarigione. Crede nel potere della poesia, della poesia orale (spoken word), della fabulazione e dei sogni. Ha pubblicato nelle riviste Mujeres de Maiz Zine, Loudmouth Zine: Cal State LA, nelle antologie OCCUPY SF poems from the movement, Revolutionary Poets Brigade Los Angeles Anthology, Seeds of Resistance, In the Words of Women, Twenty: In Memoriam e online nel sito La Bloga. Collabora attivamente con il progetto Poets Responding to SB 1070 [SB 1070 è una proposta di legge contro gli immigrati approvata in Arizona che poi è stata copiata ed adottata anche in altri stati]. Realizza performance poetiche nel territorio di Los Angeles e della California del sud. E’ autrice di CODESWITCH: Fires From Mi Corazon. www.irisdeanda.com

 

Foto in evidenza e foto degli autori inclusi nel testo a cura di Mark Lipman.

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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