Prefazione
Seguire il sentiero delle ossa
Ricordo che una volta, quindici anni fa, appena tornato a Los Angeles da Chicago, camminavo lungo una strada della San Fernando Valley quando da un piccolo Ford pick-up che mi sfrecciava accanto mi arrivò la sparatoria di parole dal tipo che sedeva dal lato del passeggero, “Hey! messicano… tornatene da dove sei venuto!”
Questi li chiamo ‘insulti razzisti sparati a caso dalla macchina che ti sfreccia accanto’.
Me ne sono beccati parecchi nel corso degli anni, a prescindere dal fatto che io sia nato in Texas e che discenda anche dalla tribù Tarahumara, dello stato di Chihuahua e da indigeni dello stato di Guerrero che parlano il Nahuatl (come pure lo spagnolo e qualche lingua africana). Chissà perché, ma queste persone ritengono che il mio posto non sia qui, che non sia questa la mia appartenenza.
Un’altra volta, durante un incontro di quartiere pieno di tensioni a South Central, Los Angeles, la parte più povera della città abitata prevalentemente da afroamericani, alcuni abitanti del posto accusarono gli immigrati messicani di rubare loro il lavoro.
L’accusa poggia su una base concreta: gli afroamericani, cittadini statunitensi per forza, con alle spalle 400 anni di schiavitù, seguita da segregazione e poi dallo status di cittadino di seconda classe, hanno perduto milioni di posti di lavoro a causa della deindustrializzazione che già a metà degli anni 70 del secolo scorso ha colpito le città industriali in cui abitavano, città come Los Angeles, Chicago, Detroit, Philadelphia e tante altre. Tale processo ha poi subito una escalation durante l’amministrazione di Reagan negli anni 80. La perdita di posti di lavoro ha naturalmente fatto sentire il suo impatto anche sulla classe operaia bianca come pure sui Chicanos e su altri di discendenza latinoamericana che sono qui da generazioni – e molti di essi, perfino persone con cognome spagnolo, hanno fatto eco a quel sentire che potremmo denominare “tornatene a casa tua” .
Sempre negli anni 80, mentre si verificavano i processi delineati sopra, si assisteva anche al più massiccio influsso di migranti e rifugiati, il maggior numero dei quali proveniente dal Messico, a causa dei grandi sconvolgimenti economici e dell’enorme svalutazione del pesos in quel paese. A questo si aggiungevano le guerre civili in El Salvador, Guatemala e Honduras, conflitti e genocidi come quello della Cambogia, le svolte politiche e ‘le pulizie etniche’ nell’Europa dell’Est. Il mondo era in subbuglio, moltissime persone provenienti dai paesi dell’Est e del Sud del mondo finirono in numeri massicci in Europa e negli Stati Uniti, le economie più sviluppate. In Europa, gli immigrati non erano messicani o centro-americani, ma africani, arabi, indiani o slavi.
E il nostro esilio – i nostri spostamenti da casa, famiglia, piccoli appezzamenti di terreno alle grandi città nella maggior parte, in città industriali o orientate ai servizi (sweat shop, fabbriche, edilizia ma anche servizi di pulizia negli hotel, nelle case o nei giardini) ha avuto dei paralleli in altre parti del mondo.
A Parigi, nei primi anni 90, io e mia moglie Trini visitammo un centro per donne franco-arabe dove incontrammo dei rifugiati palestinesi in grado di comprendere le lotte dei messicani, esiliati nella propria terra, costretti a sopportare varie forme di apartheid, dopo che più di metà del proprio territorio era stato occupato attraverso un’invasione degli Stati Uniti dal 1846 al 1848,- per non parlare del furto vero e proprio delle terre delle popolazioni indigene dal 1492 . Proprio come la Palestina.
Palestina Libera! Nativi americani liberi! Messico libero! Libere tutte le nazioni prigioniere!
Il capitalismo oggi è più tecnologicamente avanzato e sta inghiottendo le nazioni meno sviluppate. Ciò ha come risultato grandi sconvolgimenti a livello mondiale che ha costretto un numero ancora maggiore di persone a lasciare il proprio paese, compresi paesi in cui erano insediati da secoli in culture e famiglie intrecciate in maniera complessa.
La risposta quindi non è di designare gli immigrati come capri espiatori per il nostro malessere, ma di arrivare alla radice delle cause della crisi mondiale che stiamo affrontando: una economia capitalista globale con mercati finanziari ed economie integrate, insieme a guerre genocide e per il potere, che hanno distrutto le capacità umane e naturali all’interno dei paesi più poveri, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza dei lavoratori di qualsiasi nazionalità.
Dobbiamo esaminare la vera fonte del problema – una classe dirigente sempre più ridotta e più ricca e una crescente classe operaia sempre più povera, con uno smisurato abisso in mezzo. Possiamo anche vivere dentro gli stessi confini, ma come classe abbiamo sempre meno in comune.
In questo volume The Border Crossed Us: an Anthology to End Apartheid * i poeti intervengono contribuendo immagini, metafore e versi che insegnano ed illustrano i dilemmi e le ingiustizie che stanno alla base della questione immigrazione.
Questa antologia raccoglie sia poesie di dolore che di rivalsa, come quella di Dorothy Payne “Allora con le parole ardenti di donna/ e un incendio incontrollato di vendetta/ riporterò alla luce le madri dalla loro sepoltura/ e cullerò gli uomini bruni/ che pendono ancora dai rami/ per riportare alla salute la terra/una nazione senza confini/ o la poesia di Antonieta Villamil: Dì che porto alla vista/ l’occhio del ciclone / e sotto le unghie / la terra / che non ho potuto scavare per i miei morti./
Il volume contiene odi alla Striscia di Gaza, all’Honduras, al Texas del Sud, alla Colombia, al Sud Africa, alle Primavere Arabe, a Los Angeles, alle terre indigene, e altro ancora. Ci sono poesie in arabo ed ebraico. Inglese, spagnolo e angoscia. Da ogni parte di questa nazione e anche da altre, da confini “senza fine” a poesie senza fine.
Poesia intrisa di storia e di mistero.
E la frontiera, allora? Le frontiere sono illusioni costruite dall’uomo per catturare i mercati domestici, esse hanno portato alla morte o alla devastazione di milioni di persone a beneficio di poche. I confini e le ideologie, i sistemi di valori hanno provocato più danni all’umanità in quanto rispecchiano le relazioni di classe che sorgono da fondamenta tecnologiche sempre più complesse.
Per i messicani e gli abitanti dell’America centrale che sono geneticamente e storicamente legati alle cosiddette culle delle civiltà mesoamericane (nella storia umana ve ne state solo sette: le altre sono la Cina, la Nigeria, l’Egitto, la Mesopotamia, la valle dell’Indus e il Perù) si tratta solo di un ritorno a casa, seguendo piste di migrazione che precedono di decine di migliaia di anni la conquista degli europei.
Purtroppo, le dinamiche di classe e di razza finiscono per capovolgere ogni cosa. Adesso uomini e donne dalla pelle scura che hanno le radici nelle popolazioni indigene (a prescindere che le riconoscano o meno) e che hanno legami a questo continente da più tempo degli altri, sono diventati “stranieri”, “clandestini” ed “estranei”
E’ possibile però ristabilire l’equilibrio. Possiamo allineare le economie e le culture in modo da assicurare un sano sviluppo sociale per tutti. Per arrivare a questo occorreranno visione, strategie, organizzazione, pianificazione, ed uno studio maturo. Per adesso ascoltiamo i poeti. Sono portatori di queste verità e lo fanno attraverso la bellezza, la lingua e le loro appassionate argomentazioni. Sono portatori di queste verità nonostante tutto, e sono quelle le venature nel legno che dobbiamo seguire.
- Luis J. Rodriguez, Poeta Laureato di Los Angeles luglio 2015- Il titolo dell’introduzione è tratto da un verso di Iris De Anda, poetessa messicana-salvadoregna.
Traduzione di Pina Piccolo
*Il titolo dell’antologia in inglese gioca sulle due accezioni della parola ‘crossed’ e quindi significa sia “La frontiera ci ha attraversato” sia “La frontiera ci ha traditi”.
IL NUOVO GHETTO DI VARSAVIA
di Henry Howard
Mentre i caccia israeliani trasformano in giorno la notte
E a caso i carri armati incendiano
Interi isolati, scuole, mercati ,
Perfino ospedali e rifugi dell’ONU ,
Arde la mia mente di immagini fiammanti
Di un altro ghetto, settant’anni fa
Chiamiamola con il suo vero nome la Striscia di Gaza :
Il più grande dei ghetti moderni ,
Nato dalle ceneri
Del Ghetto di Varsavia, Israele
Ha dato alla luce questa tana di leoni di sofferenza,
Brandendo la frusta e la chiave
Sia del domatore che del guardiano della porta del ghetto.
In cima alle mura del ghetto di Varsavia
Negli anni quaranta c’erano cocci di vetro e filo spinato.
A Gaza oggi un alto muro di acciaio inossidabile,
Coronato ancora da filo spinato, lampade ad alta tensione
E l’ultimo ritrovato di sorveglianza.
Oggi l’Autorità Palestinese,
Fedele burattino d’Israele in Cisgiordania,
E’ il nuovo Judenrat , il Consiglio Ebreo degli Anziani,
E seguendo gli ordini di Israele decide
Quali case di Gaza saranno bombardate o depredate,
E chi invece riceverà le briciole buttate dal Governo d’Occupazione.
Non che non ci siano differenze,
Tra il Ghetto di Varsavia e il Ghetto di Gaza City ,
Lungo le strade di Gaza City non vedi treni di deportazione
Ad aspettare palestinesi da condurre a una Treblinka mediorientale
E i bombardamenti e gli incendi li fanno ogni paio d’anni.
Le Nazioni Unite ci sono ma solo col nome ,
E spesso sono ignorate a seconda dei capricci d’Israele.
Il profumo del pane appena sfornato si diffonde per le strade,
E perfino a Gaza i bambini giocano a calcio
Per vicoli ingombrati dalle macerie generate dagli ultimi missili.
Ma esistono sciagurati paralleli,
Perfino troppo chiari per chi ha gli occhi aperti e vede un passato
Che non si può perdonare e un presente
Che non si può accettare.
Nel Ghetto di Varsavia
Furono mezzo milione a morire di fame nei bunker,
O ad esalare l’ultimo respiro
In gelide stanze di mattoni sotto docce che esalavano gas.
Nel Ghetto di Gaza City,
Il 65% è malnutrito,
Il 100% va a letto affamato,
Il 50% è disoccupato,
Il 90% dipende da aiuti internazionali,
E i confini, il cibo, le medicine,
E perfino il diritto di pescare nel mare sono controllati
Dal corrotto Egitto e dall’imperialista Israele.
La Rivolta del Ghetto di Varsavia
Così come l’Intifada palestinese
Furono guerre combattute da bambini
di 10, 1, 13 anni armati di pietre
E di bottiglie incendiarie,
Contro carri armati e mitragliatrici prodotti con dollari americani
Forgiati da sogni Capitalisti di Occupazione e di nation building per procura
Oggi occorre un nuovo tipo di Intifada
Combattuta fuori e dentro il Ghetto di Gaza City
Da palestinesi e israeliani,
Con catene da perdere e un mondo da guadagnare!
Il muro che fende gli alberi di limone e gli uliveti,
Separa le famiglie e divide i quartieri,
Imponendo l’apartheid tra due popoli
Che non hanno esigenza storica di essere nemici
Se non per il fatto che la tirannia del potere dello Stato,
Non può sopravvivere alla forza
Di un popolo risvegliato
Che si sollevi dall’oppressione condivisa.
E in quel giorno,
I fantasmi del Ghetto di Varsavia
E le rovine del Ghetto di Gaza City
Staranno insieme nella pattumiera della storia,
E la Mezzaluna Rossa e la Stella di David voleranno in alto
su un’unica Palestina
Finalmente insieme!
Traduzione dall’inglese di Pina Piccolo
THE NEW WARSAW GHETTO
by Henry Howard
As Israeli bombers turn night into day
And tank shells indiscriminately set ablaze
Whole apartment blocks, schools, markets,
Even hospitals and U.N. shelters,
My mind is ablaze with images of the burning
Of another ghetto, seventy years before.
Let us call the Gaza Strip what it is:
The world’s largest modern ghetto,
While Israel, born from the very ashes
Of the Warsaw Ghetto,
Has given birth to this lion’s-den of suffering,
And brandishes the whip and the key
Of the lion-tamer and ghetto gatekeeper alike.
In 1940’s Warsaw, there was a high wall
Capped with splinter glass and razor wire.
In Gaza, there is a high wall of stainless steel,
Capped by razor wire, high-tension lamps,
And the very latest in surveillance gear.
Meanwhile, the Palestinian Authority,
Israel’s faithful puppet in the West Bank,
Serves as the new Judenrat, the Jewish Council of Elders,
Who decide at Israel’s behest
Whose houses in Gaza will be bombed or raided,
And who gets the crumbs tossed out by the Occupation government.
There are differences, of course,
Between the Warsaw Ghetto and Gaza City Ghetto.
No deportation trains line the streets of Gaza City,
Waiting to bear the Palestinians to a Middle East Treblinka,
And the bombings and firestorms are spaced a few years apart.
The United Nations has a nominal presence here,
Though it is often ignored at Israel’s whim.
The smell of freshly baked bread lines the streets,
And even in Gaza, children kick soccer balls
Down alleys clogged with debris from the latest missile strike.
But the ominous parallels are there,
All too clear for those with open eyes to see a past
That is unforgiveable, and a present
That is unacceptable.
In the Warsaw Ghetto,
Half a million souls starved in underground bunkers,
Or breathed their last
In cold brick shower rooms filled with gas.
In the ghetto of Gaza City,
65% are malnourished,
100% go to bed hungry,
50% are unemployed,
90% depend on foreign aid,
While the borders, food, medicine,
And even the right to fish in the sea are controlled
By corrupt Egypt and Imperialist Israel.
The Warsaw Ghetto Uprising
And the Palestinian intifadas alike
Were children’s wars,
Waged by 10, 11 and 13-year-olds armed with rocks
And gasoline bombs,
Against tanks and automatic weapons made with American dollars,
Forged in Capitalist dreams of Occupation and nation-building by proxy.
What is needed is a new kind of intifada,
Waged on both sides of the Gaza City Ghetto
By Palestinians and Israelis,
With their chains to lose and a world to win!
The wall that slices through lemon trees and olive groves,
Separates families and divides neighborhoods,
And enforces apartheid between two peoples with no historical need
To be enemies except beneath the tyranny of state power,
Cannot survive a battering by a people awakened
By their shared oppression.
On that day,
The ghosts of the Warsaw Ghetto
And the ruins of the Gaza City Ghetto
Will share the dustbin of history,
As the Red Crescent and the Star of David fly high above one Palestine,
Together at last!
Henry Howard: sono un poeta di Los Angeles per la pace e sono orgoglioso di far parte del gruppo Revolutionary Poets Brigade. Ne vado fiero perché ho sempre creduto nel potere della penna come una forza trascinante per il cambiamento sociale, e come scrittore ed attivista ho dedicato la mia vita a tale obiettivo. La poesia ha il potere di unire le persone più di qualsiasi elezione, e non c’è pallottola che la possa fermare. Questo accade perché la poesia parla la lingua del cuore – un linguaggio in cui i sentimenti sono importanti quanto le parole che li risvegliano. La poesia riaccende sia le nostre passioni che la nostra com-passione per l’un l’altro e questo può a sua volta condurci verso un mondo che si basi sull’unità disinteressata. Di recente ho scritto un secondo volume di poesia pubblicato da Vagabond, intitolato Sing to Me of My Rights (Cantami dei miei diritti). Sì, davvero: se mettiamo tutta la forza della poesia per cantare dei diritti umani, la gente imparerà la melodia e la canterà da sola con voci talmente forti da infrangere le proprie catene, come pure le catene dell’oppressione degli altri. Tutte le rivoluzioni veramente grandi nel mondo sono incominciate con grandi parole!
L’ Impero per 1 poema
per William Shakespeare
Piccola donna del terzo mondo, potete dirlo. Dite che sono una Malinche vagabonda perché me ne sono andata al Nord con tutto il mio disincanto e il mio coraggio e la mia fame di piccola donna del terzo mondo, che lo dicano non mi interessa! Ma dovete dire che me ne sono andata apposta con la mia irriverenza e la mia rabbia per costruire un tempo al poema. Dite che porto nel mio sguardo, l’occhio dell’uragano e sotto le unghie, la terra che non ho potuto scavare per i miei morti. Che porto nel filo affamato della mia lingua un Sì, si può un rosso urlo fino alla vittoria nel centro del cuore e che questo esercito di operai diseredati che mi accompagna, trasformerà l’Impero con il potere del numero. Che siamo in molti e non li ammazzeremo perché loro sono parte di noi. Inoculeremo loro la nostra presenza. Ci faremo
i n n u m e r e v o l i
incantatori di serpenti. Necessari parassiti dei parassiti che forniamo il corpo all’Impero, come loro alla fiorita discarica, per fare l’amore alla vita.
Sono qui, facendo la gringa con tutta la mia svogliatezza, vivendo di redditi nella pancia del mostro, giorno dopo giorno inoculo il mio veleno. Costruisco il tempo per il grande poema della caduta. Per la memoria dei miei morti, delle mie scomparse donne del terzo mondo che, emigranti affamate, lasciamo la sete appesa nei deserti di Texas, California, Nuovo Messico e Arizona. Che per il loro oltraggio, sono della mosca la larva di piccola donna del terzo mondo nella pancia del grasso Impero e che qui gli restituisco la sua narco-para-militare deca-denza .
Si, dovete saperlo, sono il virus che scava la loro colonna di ghiaccio e quando arriva il giorno atteso, consegnerò tutto questo Impero usuraio per soltanto
1 poema.
CORO: Passero di vita, passero di pace,
ammazzandoci non ci ammazzeranno.
Passero coraggioso, passero di madre terra,
fino alla vittoria, dammi il tuo potere di rivoluzione.
di Antonieta Villamil
Versione italiana di Gabriel Impaglione
THE EMPIRE FOR 1 POEM
to William Shakespeare
CORO: Pájaro de vida, pájaro de amor,
hasta la victoria dame de tu vuelo.
Pájaro valiente, pájaro de tiempo,
hasta la victoria, dame tu poder.
Little woman of the third world, let them say it. Let them say that I am a vagabond Malinche because I took off North with all my disenchantment, my courage and my hunger of little woman of the third world, let them say it I don’t care! But let them say that with a purpose I left with all my irreverence and my outrage to build the time for the poem. Say that I bring in my sight, the eye of the hurricane and under my fingernails, the earth I could not dig for my dead. That I bring in the hungry edge of my tongue, a Yes we can in a red cry to victory in the center of the heart and that this army of dispossessed workers that accompanies me, will transform the Empire with the power of the number. That we are many and we are not going to kill them because they are part of us. We are going to inoculate them with our presence. We will become
c o u n t l e s s
snake charmers. Necessary parasites of parasites, that lend the body to the Empire, as they do to the florid wasteland to make love to life. That here I am, acting like a gringa with all my reluctance; living from rents in the belly of the monster and that day by day I inoculate my poison. I build the time to the great poem of the fall. For the memory of my dead, of my disappeared women from the third world, that hungry immigrants, we left thirst hanging in the deserts of Texas, California, New Mexico, and Arizona. That for their abuse, I am of the fly, the larva of little woman from the third world in the belly of the fat Empire and that I am here returning to them their narco-para-militar corruption. Yes, let them know it, I am the virus
undermining its column of ICE and when the expected day arrives, I will deliver this banking Empire for only
1 poem.
CORO: Pájaro de vida, pájaro de paz,
es que aunque nos maten, no nos matarán.
Pájaro valiente, pájaro de madre tierra,
hasta la victoria, dame tu poder de revolución.
by Antonieta Villamil
Poetessa bilingue spagnolo/inglese che ha vinto numerosi premi internazionali, Antonieta Villamil è inoltre cantante, redattrice e ha pubblicato più di 11 libri. La sua scrittura si focalizza sulle persone dimenticate e le onora con una tenacità tale da costringerci ad ascoltare le loro voci. Dirige la rivista e salon letterario Poesía Féstival che porta la poesia alle comunità di madrelingua spagnola che abitano a Los Angeles e che hanno meno accesso alla cultura nella propria lingua d’origine. www.antonietavillamil.blogspot.com
Note sulla frontiera
A luglio del 2014 Israele lanciò l’Operazione “Margine Protettivo” che aveva come bersaglio principale i bambini palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Nel corso di questa campagna di bombardamenti che durò un mese, persero la vita più di 1400 palestinesi, in maggioranza civili, donne e bambini e un numero incalcolabile di persone rimase gravemente ferito o perse la casa.
Nello stesso periodo, qui, negli Stati Uniti, cominciarono ad apparire immagini di bambini provenienti dall’America Centrale e del Sud imprigionati in gabbie nei centri di detenzione ICE * nel sud del Texas, mentre orde di neo-conservatori senza cuore li demonizzavano, come fossero criminali. La maggioranza di questi bambini erano arrivati alla frontiera con gli Stati Uniti in fuga da gang, droga, guerre e violenza nei propri paesi, alla ricerca di un futuro migliore.
In entrambi i casi, i bambini, la categoria più vulnerabile degli esseri umani, erano diventati bersaglio e capri espiatori per i crimini basati sull’odio imposti su di loro sia dal governo israeliano che da quello statunitense. La palese mancanza di umanità che veniva dimostrata in entrambi i casi nei confronti dei bambini non poteva trovare alcuna giustificazione e gettava luce sul fondo che avevamo toccato come civiltà.
Come sempre accade in questi casi, furono proprio i poeti a schierarsi in prima linea per denunciare le ingiustizie commesse dai governi e dal mondo. E’ in questo contesto che è nato l’appello ad unire le nostre voci con la poesia, per dare corpo alle diverse istanze che si intrecciano e vengono sollevate sull’argomento confini, per far in modo che scaturisse sia la voce della ragione che quella dell’indignazione in grado di denunciare i crimini contro l’umanità e rivelare la vergogna e il genocidio implicito in questo trattamento dei bambini. E cosa ancora più importante, per creare quei ponti culturali capaci di collegare le nostre comunità e di unire le varie questioni in modo di arrivare a capire che si tratta di un’unica lotta.
Sono questi i motivi per cui è nata l’antologia The Border Crossed Us – An Anthology To End Apartheid pubblicata da Vagabond (www.vagabondbooks.net) che raccoglie le voci di 60 poeti da tutto il mondo, con poesie in inglese, spagnolo, arabo, ed ebraico, e che abbinano i temi dell’immigrazione e della giustizia per la Palestina.
Ci rendiamo conto che un singolo volume non è in grado di catturare tutte le voci delle classi che soffrono e che continuano ad aumentare ma con questa antologia speriamo di dar voce alle più innocenti delle vittime che sono morte e che sono state il bersaglio della paura e dell’odio di altri, vittime che sono state considerate “danni collaterali” nei libri mastri del tempo. Per loro, dunque, alziamo ora le nostre voci e facciamoci sentire.
Mark Lipman, curatore dell’antologia
*[nota della traduttrice] ICE -strutture carcerarie per migranti “clandestini” da deportare, ancora più disumane dei CPT, dei Cie e degli Hub in Italia. E’ a questi centri che allude la poeta Antonieta Villamil nella poesia sopra.
Traduzione di Pina Piccolo
L’antologia è stata lanciata a Los Angeles il 12 ottobre 2015, per dare risalto all’occasione la casa editrice Vagabond ha realizzato un suggestivo video di introduzione che ne riassume lo spirito con immagini, musica e letture di poesie tratte dall’antologia stessa. Per guardare il video cliccare su questo link https://youtu.be/iXW0OpsRfrw
Ma cosa mai siamo diventati
di Jeffery Martin
Ma cosa mai siamo diventati
quando ci agitiamo per una frontiera
e sussurriamo a bassa voce per i bambini
chiusi in gabbiette
chiamate necessarie
Siamo noi quel film dell’orrore
che si sta avverando
che ci fa chiudere gli occhi
e indietreggiare
non è più
necessario
cercare sotto i letti
o negli armadi
le nostre più grandi paure
camminano tra di noi
ce le abbiamo davanti agli occhi
che indossano completi e distintivi
e gonne
e aspirazioni
piccolo borghesi
Hanno l’alito cattivo
ma parlano troppo
per rendersi conto
della tossicità
che inquina ogni filo
d’erba a est di qui
a ovest di lì
a nord di questo
a sud di quello
Non aveva un senso
quando era pelle
nera
non aveva un senso
quando era pelle
rossa
non aveva un senso
quando era pelle
bruna
non aveva un senso
quando era pelle
di donna
non aveva un senso
quando era un cristiano
un musulmano
un buddista
un ateo
un comunista
un rivoluzionario
non ha mai avuto
alcun senso
era impensabile
blasfemo, spregevole
una cosa che crea divisioni
avevamo toccato
il fondo
così pensavamo
ma adesso perfino i malvagi
restano stupiti
per quello che siamo
diventati
quando rivolgiamo
la nostra bassezza
verso i bambini
come facciamo a dormire
comodamente
sapendo che bambini piccoli dormono
in gabbiette
rinchiusi lì da adulti
che fanno il loro
fottutissimo lavoro
Ma che cosa siamo diventati
quando sbattiamo le porte
in faccia ai piccoli sognatori
perché vengono considerati
una minaccia
contro qualcuno, in un qualche modo
da una qualche parte
i tiranni le vedono
davvero le loro vittime
i mostri la sentono
la paura della loro preda
ora a quelle domande
possiamo rispondere
perché siamo diventati noi
quella orrenda entità
che si aggira tra le ombre
pronta a lanciarsi
non solo su chi è
inconsapevole
ma anche sui semi
sui fili d’erba
che devono
portare nuova vita
e vivacità
ma che invece si trovano
recintati da ciò che
siamo diventati.
Ma non dovevamo
amare i nostri bambini
i tuoi bambini
tutti i bambini
che cosa siamo diventati
quando i ragazzi
li abbiamo trasformati
in statistiche
in alleanze
scomode
per la nostra avidità
ed egoismo
indesiderati dai cercatori
di mezze verità
e di menzogne totali
Ma siamo
impazziti tutti
o troppi di noi
si sono
zittiti
davanti al male
tremanti in sua
presenza
resi insensibili dalla sua
lingua
e ipnotizzati
dal suo sguardo
Da quando in qua i bambini
costituiscono una minaccia
alla nostra sicurezza nazionale
e diventano oggetto
di disprezzo
che legge è mai stata
approvata che ci separa
da quell’empatia
che in passato
era considerata ponte
verso il progresso
e il miglioramento
chi ha firmato le carte
che ci incriminano tutti
in questa mattanza di spiriti
alla frontiera creata
da uomini che non erano
tenuti
a tracciare linee
nella sabbia
che non era stata mai
pacificamente regalata
a loro
Ma che cosa siamo diventati
quando trasformiamo
gli architetti del futuro
in mostri delle nostre
immaginazioni
se non lottiamo
per i bambini
per che cosa ci rimane
da combattere?
che pretesto
possiamo offrire
e che scusa
è accettabile
Traduzione di Pina Piccolo
What Have We Become
by Jeffery Martin
What have we become
when we scream about borders
and whisper about children
in little cages
called necessary
We are that horror movie
finding its reality
which makes one cover
eyes and cringe
no longer is it
necessary
to look beneath beds
or in closets
for our greatest
fears
it walks amongst us
in plain sight
wearing suits and badges
and skirts
and middle class
aspirations
Its breath is bad
but it talks too
much
to notice
the toxicity
polluting every blade
of grass east of here
west of there
north of this
south of that
It made no sense
when it was black
skin
it made no sense
when it was red
skin
it made no sense
when it was brown
skin
it made no sense
when it was a woman’s
skin
it made no sense
when it was a christian
a muslim
a buddhist
an atheist
a communist
a revolutionary
it never made any
sense
it was unthinkable
ungodly, despicable
and divisive
it was us at our
lowest
we thought
but now we surprise
even the wicked
for what have we
become
when we turn our
vileness
towards the children
how do we sleep
comfortably
knowing babies sleep
in pint-sized cages
put there by adults
who are doing their
mutha fuckin job
What have we become
when we close doors
on small dreamers
because they are
viewed as a threat
to someone, somehow
somewhere
do tyrants ever really
see their victims
do monsters feel the
fear of their prey
we can now answer these
questions
because we have become
that horrific entity
lurking in the shadows
waiting to pounce
not only on the unaware
but also on the seeds
the blades of green
which are supposed to
bring new growth
and vibrancy
but find themselves
hemmed in by what
we’ve become
Aren’t we supposed
to love our children
your children
all children
what have we become
when the young
have been turned
into statistics
into uncomfortable
alliances
to our greed
and selfishness
unwanted by purveyors
of half truths
and whole lies
Have all of us
gone mad
or have too many
of us
grown silent
in the face of evil
cowering in its
presence
numbed by its
language
and hypnotized
by its glare
Since when did children
become threats
to national security
and recipients of so
much scorn
what law was passed
separating us
from the empathy
that in the past
was seen as a bridge
to progress
and advancement
who signed the papers
incriminating us all
in this slaying of spirits
at borders created
by men who had no
business
drawing lines in
sand
that was never peacefully
handed over
to them
What have we become
when we turn
architects of the future
into monsters of our
imaginations
if we will not fight
for children
what is left to fight
for
what excuse can
we give
and what excuse
is acceptable
by Jeffrey Martin
Jeffrey Martin: poeta, fabulatore, autore di 8 libri (4 libri di poesia, 3 libri per l’infanzia e un testo teatrale) usa le proprie esperienze di vita come ispirazione per poi condividerle nella sua scrittura. Nel 2008 il suo primo libro Weapon of Choice ha vinto il New Jersey Beach Book Festival come migliore libro di poesia e nello stesso anno ha ricevuto una menzione d’onore nel New York Book Festival e nel London Book Festival. Nel 2011, sia il suo libro di poesia As Sons Love Their Mothers che quello per l’infanzia Silly Billy hanno ricevuto una menzione d’onore nel San Francisco Book Festival.
Fino a quando sarà fatto
per Nelson Mandela
Per chi dice
che non si può fare,
quelli che guardano dalle torri d’avorio
con trincee militarizzate
celle di sparizione
e macchinazioni per burattini
imitando esseri umani
quasi su ogni aspetto
eccetto la coscienza
e il corpo da imprigionare
schiavizzando il mondo con divisioni
di odio e settarismo,
gli dico, sogna un mondo
che sia in pace con se stesso.
Per tutti quelli che hanno
perso la speranza,
chi è caduto nella disperazione,
chi vede il cielo crollargli addosso
e il limite finale avvicinarsi lento
chi si abbatte davanti alla paura
e le amare lacrime della sconfitta,
dico, il coraggio non è l’assenza di timore,
ma la sua sconfitta.
Affacciati e fai di te un leader.
Essere libero non è soltanto
sciogliere le proprie catene,
si devono rompere.
Per chi sogna la libertà
non c’è cammino facile.
Ci sono alture tra le colline
e montagne prima
di raggiungere la nostra vallata.
Dobbiamo utilizzare il tempo
e saggiamente vedere l’orizzonte.
Non conformarti con una vita
indegna di essere vissuta.
Raggiungi con il tuo primo e ultimo alito
la vittoria, quella cima di montagna
tutti saremo là con te
esercitando la vita
in piedi davanti alla luce
del sole memorabile.
Alzate i vostri cuori! É tempo!
sempre pare impossibile
fino a quando viene fatto.
di Mark Lipman
versione italiana, Gabriel Impaglione
Until It is Done
for Nelson Mandela
For all those who say,
it can never be done,
who look upon those ivory towers
with their militarized trenches
disappearing chambers
and puppet mechanisms
imitating human beings
in all aspects
‘cept for a conscience
and a body to jail
enslaving a world with divisions
of hate and sectarianism,
I say, dream of a world
which is at peace with itself.
For all those who have
given up hope,
who have fallen to despair,
who see the skies falling in on them
and the shoreline inching closer
who have given into fear
and the bitter tears of defeat,
I say, courage is not the absence of fear,
but the triumph over it.
Stand tall and lead.
To be free is not merely
to cast off one’s chains,
but to break them all.
For all those who dream of freedom
there is no easy path
hills follow hills
and mountains
before we reach our valley
we must use our time wisely
and see the horizon.
Settle not for a life
… worth less than living.
Reach with your first and very last breath
towards victory, to that mountaintop
and we will all be there with you,
on the frontline of life
standing in the light
of that glorious sun.
Lift up your hearts, the time is ripe
it always seems impossible
… until it is done.
by Mark Lipman
Fondatore della casa editrice VAGABOND, Mark Lipman è scrittore, poeta, artista multimediale e attivista. E’ autore di sei libri, tra i più recenti, Poetry for the Masses e Global Economic Amnesty. Nel 2015 ha ricevuto il Joe Hill Labor Poetry Award. E’ co-fondatore di Berkeley Stop the War Coalition (USA), Agir Contre la Guerre (Francia) e Occupy Los Angeles e dal 2001 critica con grande fervore la guerra e l’occupazione. Mark utilizza la poesia per sensibilizzare le comunità sulle grandi questioni sociali che influenzano la vita di tutti, spesso utilizzando la poesia orale, spoken word. Attualmente è membro delle seguenti associazioni: POWER (People Organized for Westside Renewal), Occupy Venice, the Revolutionary Poets Brigade, 100 Thousand Poets for Change e dei Wobblies International Workers of the World (IWW). www.vagabondbooks.net
Terrorizzati tre volte
di Ernest Rosenthal
Terrorizzati due volte:
la prima volta, quando, con massiccia unanimità
le orde hitleriane, ci circondarono, noi ebrei
di Vienna, costringendoci a fare qualsiasi cosa volessero;
– perché erano ariani superiori;
e ricordo di essermi sentito allora come
una creaturina stretta nel pugno di un gigante
mi poteva schiacciare per capriccio, in qualsiasi momento
[ -e come me c’erano tanti altri]
ce l’ho fatta a scappare…
la seconda volta è ora, quando
le orde israeliane, avvolte nella loro impenetrabile corazza
lanciano tonnellate di bombe per frammentare la
popolazione prigioniera di Gaza; – per “legittima difesa”;
– perché sono arabi inferiori?
[nessun israeliano mette in dubbio la sua superiorità ebreané mai ammetterà le sue pretestuose congetture
– neppure a se stesso]
la prima volta vittime minacciate di terrore;
la seconda volta terrore – “in nome mio” che mi rende
colpevole di punizione collettiva
contro gli innocenti;
[ce ne sono pochi altri come me]– e da questo non si scappa;
lo status di vittima è più facile da sopportare che non la complicità supina;
“la rappresaglia preventiva” conferisce a chi la pratica
il marchio di una psiche contorta:
“esiste un tipo di psiche incapace di perdonare le persone a cui ha
fatto del male:
– e peggio ancora è affrontare il vile retro-terrore
del ribrezzo per sé stessi –generato dal proprio silenzio…
traduzione di Pina Piccolo
Thrice Terrorized
by Ernest Rosenthal
terrorized twice:
the first time, when the Hitler hordes,
in massive unanimity, surrounded us, the Jews
of Vienna, and made us do their bidding;
– because they were superior Arians;
and i remember feeling then as though
a tiny creature held within a giant fist –
any moment to be crushed at whim;
[– and there were others like me];
– i managed to escape…
the second time is now, when
Israeli’ hordes, wrapped in impenetrable
armor, cast tons of bombs to fragment over
Gaza’s captive populations; – in “self-defense”;
– because they are inferior Arabs?
[no Israeli doubts his Jewish superiority;– nor will admit its specious suppositions;
– even to himself];
the first-time terror threatened victims;
second time terror – “in my name” – makes
me a perpetrator of collective punishment
upon the innocent;
[– there are few others like me];
– and there is no escape;
victim-hood is easier to bear than is supine complicity;
‘preemptive retribution’ confers upon its perpetrators
the stigma of a twisted psyche:
“there is a kind of psyche that can’t forgive those it has wronged”;
– worst is confrontation with self-loathing’s
craven retro-terror – for remaining silent…
traduzione di Pina Piccolo
Ernest Rosenthal è riuscito a sfuggire alla Shoah, è professore, non si considera poeta ma piuttosto un polemista che usa dispositivi poetici. Tuttavia, dalle sue parole traspare la saggezza di chi le ha vissute in prima persona ed è quasi impossibile non accettarle se non come verità. La sua opera più importante Not for Drones, è stata pubblicata da VAGABOND nel 2013.
è così che si attraversano i confini
di Iris De Anda
prometti ai tuoi cari che ritornerai
lasciati dietro tutto
accendi ceri pregando il cielo
segui il sentiero delle ossa
cammina per giorni nel deserto
inventati un nuovo nome
impara un inglese stentato
non hai altra scelta
dipingi il tuo futuro sulla volta del cielo stellato
canta il tuo passato sulla sponda del fiume
fatti crescere ali per i momenti di disperazione
bevi acqua quanto te ne basta per tutta la vita
evita di essere notato dalla polizia che pattuglia la frontiera
paga al coyote contrabbandiere un bel gruzzoletto
non ti fare sequestrare
se fallisci provaci ancora e ancora una volta
il deserto non ti perdonerà qualunque sia la tua età
il comitato di benvenuto è in vacanza
l’insegna vietato entrare ai messicani è invisibile ma c’è ancora
la scritta vietato entrare ai palestinesi è cucita sulla loro pelle
il vietato a chi non è noi nascosto sotto la lingua
quel no no no
in quanti modi lo possono dire
vietato agli sporchi messicani
vietato ai clandestini
non avete il diritto di stare qui
non avete diritto di asilo
non vogliamo rifugiati
non vogliamo bambini
non vogliamo madri
non vogliamo esseri umani
dimenticatevi che questa è la terra degli immigrati
perché è tutto esaurito
ma continuiamo lo stesso a venire
continuiamo a fuggire
le case che avete bombardato
le guerre che avete creato in me
la migrazione è un diritto umano
ogni minuto nascono farfalle
e continuano a vagare seguendo il loro destino
traduzione di Pina Piccolo
this is how you cross the border
by Iris De Anda
promise your loved ones you will return
leave everything behind
light candles to heaven
follow the trail of bones
walk the desert for days
make up a new name
learn broken english
you have no other choice
paint your future across the night sky
sing your past into the river’s edge
grow wings for times of despair
drink enough water for a lifetime
avoid detection by border patrols
pay the coyote serious money
do not get kidnapped
if you fail try again and one more time
the desert will not forgive you no matter your age
the welcoming committee is on vacation
the no mexicans allowed sign is invisible but it’s still there
the no palestinians allowed is stitched in their skin
the no you who is not us is hiding under their tongue
the no no no
how many ways can they say
no wetbacks
no illegals
no right to be
no asylum
no refugees
no children
no mothers
no human beings
they are not human beings
forget this is the land of immigrants
because there is no vacancy
still we continue to come
we continue to flee
the homes you have bombed
the wars you have created in me
migration is a human right
monarch babies born every minute
continue to roam to their destiny
Iris de Anda
Iris de Anda è nata a Los Angeles ed è una femminista di colore di discendenza messicana e salvadoregna. E ’scrittrice, attivista e pratica le arti della guarigione. Crede nel potere della poesia, della poesia orale (spoken word), della fabulazione e dei sogni. Ha pubblicato nelle riviste Mujeres de Maiz Zine, Loudmouth Zine: Cal State LA, nelle antologie OCCUPY SF poems from the movement, Revolutionary Poets Brigade Los Angeles Anthology, Seeds of Resistance, In the Words of Women, Twenty: In Memoriam e online nel sito La Bloga. Collabora attivamente con il progetto Poets Responding to SB 1070 [SB 1070 è una proposta di legge contro gli immigrati approvata in Arizona che poi è stata copiata ed adottata anche in altri stati]. Realizza performance poetiche nel territorio di Los Angeles e della California del sud. E’ autrice di CODESWITCH: Fires From Mi Corazon. www.irisdeanda.com
Foto in evidenza e foto degli autori inclusi nel testo a cura di Mark Lipman.