Questa Poesia
Questa poesia
è per chi non si è spenta nelle squadrature
di case, nei sentieri di ragnatele
Per chi non è più tornata
e per chi dal fondo degli oceani non offre lacrima
o dolore agli accesi schermi attraccati alle pupille
Questi stanchi versi
sono per chi è allegra con un rosso vivo
di mare al tramonto nel fondo dei bicchieri
Queste parole di ieri
vanno alle viaggiatrici col cuore a pezzi
a chi si riconosce dal sorriso steso su labbra umide
e il letto ha freddo e i pugni stretti
Sono per chi tutto ha per piangere
col telecomando in mano.
Questa poesia viene da lontano
per chi ha speranza piena che la pena dentro
si sbricioli anche tra endecasillabi e pentametri.
Questa poesia
semplicemente scaglia
un voluttuoso acuto all’indifferenza.
Sette giorni con scarto
1.
Rubo il tempo
Procrastino
sulla via del rientro
Mi concedo un pezzo di futuro
Oscurando lo schermo
Lisciando punte
S’inchiodano lettere
S’aprono scrigni
La tempesta si fiuta da lontano
Da lontano
Si dipana il filo
S’intreccia silente
Ascolta ascolta ciò che il cuore ti dice
Sussulta sussulta al fruscio del vento
Nessuno nessuno saprà
Della tua fuga imminente
Sarà come brina sul gelso
La mattina dietro casa
Dietro mille case
Davanti a filari d’alberi asciutti
Da inverni scontenti
Salirà verso il cielo
Solleverà polveri
Sigilli, menzogne, liti inutili
Sul prima sul dopo
Poi il silenzio
Quel silenzio che invera tutte le cose
E qui rubo il tempo
Procrastino
Sulla via del rientro.
2.
E immagina
Immagina quello che sai
Ciò che rimane nell’angolo bianco
Degli occhi
Come acido s’impregna il vapore
E sotto la coltre
Dell’inverno ancora non colmo
S’agita il morso d’una canzone
Un sospiro che spera
In un cambio di vento
Nel cerchio ottuso e velenoso del mondo
3.
S’azzuffano cani per strada
e
nella casa
di lato giri il volto
senza rigurgiti di coscienza
appare piatto il mondo
come su mappa stellare
senza centro
Un vagare inutile di foglie
attorno a spire di fumo
fantasmi d’un calore
spento
Ora è quel vento che non arriva
ad appiattire il tempo
a scavare nel secolo
una nicchia perenne
Attesa Godottiana
che sa d’ aranciata amara
rimasta a marcire sull’albero.
4.
Se sfogli i petali
Uno ad uno
Rimane il passaggio
Della linfa nelle mani
La metti in bocca
avida succhiando
Il resto del giorno.
5.
Ora ti guardo senza un filo di trucco
E sei uguale a ieri
Ai giorni pressati sotto lo slancio
Di gambe snelle, di piedi mai stanchi
Di fiori appesi alle labbra
Che scherzano amore
E rabbia tra ventricoli ansanti
Nel dedalo di ragioni.
6.
Ti aspetto sotto quella luna
Sotto la penombra amorosa
Accarezzi e levighi la pelle
Madida di sudore in cerca di sogni
Ti aspetto come sempre
Nel rosso vivo di un calice
E mando all’inferno
Il tempo che imprigiona.
7.
Ad ogni finestra appeso
Un drappo sbiadito
Ed ogni giorno
Sventola Pubblicità del tempo
Ad ogni mese
Il lusso del mio sangue
Ad ogni anno
Passo la mano al vento
Ma ad ogni notte
Tutte le inutili attese
Vi rendo.
8.
A chi diamine raccontare le cose
Per chi raccogliere rose
Questa generazione arranca arranca
Non si affranca
Balbuzie mitigate da tecnologie avanzate
Schermate fissate
Negli occhi tripudio di verità
Sapienza che arriva da chissà dove
Conoscenza illimitata a puntate
E tutto ciò ch’è da sapere
Svelato in touch screen
E mi dicon che le violette sono
Fiori del primo amore
I narcisi quelli del paradiso
Le rose quelle che scompigliano il cuore
E non so perchè canto le margherite
Che i prati riscaldano
Al primo sole.
C’è chi crede nei sogni
C’è chi crede nei sogni
e va via.
Chi crede nei sogni
sempre
va via per prima
lasciandoci sui lungomari
allestiti per la stagione
degli struzzi
a passeggiare ognuno
la propria vita.
(da Quel qualcosa che manca, Bologna, Ed Le Voci della Luna, 2° ed. 2009)
Didone a una kamikaze
Voglio venirti in sogno ogni notte
sciogliere lacrime tue inconcludenti
Sono sorella a te lontana
ma ora ascolta la speranza
Quando il vento venne a parlarmi
delle grandi sventure che egli aveva
dietro e innanzi – io che tutte le conobbi
– fiduciosa e solidale offrii la mia gente
Potei salvarlo dalle acque, certo,
ma il fato stava stretto dentro l’antro
e lui, più che al sole e alle gioie nostre,
a quello s’infiammò mestamente!
Più neanche il sogno della grande
mia Cartagine bastò al cuore gonfio
Salii quella pira
come fosse là il luogo dell’incontro
credendo che da lontano il fumo
l’avrebbe richiamato
Inutili, sorella, gli sforzi miei
ed ora da questo lato vedo
sbiadir le ardenti fiamme
son qui per avvisarti :
non bruciare gli anni tuoi
che sono preziosi e gli unici che avrai
Ascolta, ascolta questo pianto
e dimmi: quanto valse la mia pena?
Io te lo dico segnando il giusto passo
a nulla vale quando l’amato l’anima sua non presta
Ecco, ti vedo intenta
a preparar con cura ogni tua mossa
ad allacciare quei mortaretti stretti
– eh sì, lo scoppio sarà grande
la paura e lo sgomento anche
ma a te piccole briciole resteranno
a guardare con raccapriccio
le alte stelle
Io che salii la pira lo giuro forte
a nulla valse la mia morte
e il desiderio di amene passeggiate
sguardi obliqui al nostro mare
sonore risa di sorelle, avide mani sulla
creta pesa ancora a me come macigno
Non più tempo è ora di sacrificio
– la terra lo ripudia, mia compagna! –
lascialo agli stolti ignari
di quanto può essere dirompente
la vita tua tutta proseguire
il fiume tutto quanto risalire
con la certezza non solo speranza
di aliti tuoi a riempire quest’aria
che già d’attorno si va profumando
di salite e dolci rose da inseguire
Io non ti dico proprio ciò che devi fare
ma spegni il fuoco che non ti appartiene
e vesti il corpo sole con la luna
restituendoti, o mortale,
i sogni impetuosi dei bambini
e vela poi le tue forti navi
che l’occhio stanco è di strabuzzare
con stinte sottovesti lungo il mare
parti spegnendo ogni pira
che il fumo potrebbe provocare
Loro di me trassero rime
cullarono per troppo la mia pena
– a te confesso senza vergogna
che lesta fu ad abbandonarmi
e come scintilla a terra cadde spenta –
Ma tu, tu prendi la mia più bella parte
guarda le tue mani e dissotterra
quell’alba che per troppo fu tramonto
e corri fuori , dillo a tutti:
Didone per sempre vi abbandona
e maledice quella stirpe
che il fuoco ama più del suo calore
e che potendo adesso di certo quella pira
giammai più le infiammerebbe il cuore!
( da Quel qualcosa che manca/ That Something that is missing. Bologna: Le Voci della Luna, 2009)
Anna Lombardo, insegnante, poetessa, traduttrice. Vive a Venezia. Ha svolto il suo dottorato di ricerca sulla marginalizzazione della scrittura poetica femminile presso il Trinity College di Dublino. Si occupa di traduzione poetica contemporanea. Raccolte poetiche: Anche i Pesci Ubriachi(2002); Nessun Alibi(2004); Quel qualcosa che manca(2009). Lavori critici su, tra gli altri, Joyce Lussu, Jack Hirschman e Pasolini. Ospite in molti festival internazionali tra cui ‘San Francisco Poetry Festival’,(USA), ‘ Kritia’ (India), ‘Al Marib’ ( Irak), ‘Festival des Mueres’, (Columbia). Dal 2011 è direttrice artistica del Festival Internazionale La Palabra en el Mundoche si svolge ogni anno in maggio a Venezia. Collabora con Global Right (on line magazine) per il quale ha intervistato 6 poetesse:https://www.globalrights.info/2017/01/)
Immagine in evidenza: Dipinto di Hassan Vahedi.