CHIAPAS: PIÙ DI 7000 DONNE ALL’ “INCONTRO DELLE DONNE CHE LOTTANO”: TRE CRONACHE (a cura di Lucia Cupertino)

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Il Caracol Zapatista Morelia è uno dei cinque caracoles del movimento zapatista. A marzo ha accolto un incontro che ha riunito donne zapatiste e donne provenienti da tutto il Mondo. Se n’è parlato relativamente poco e per questo ci sembra interessante riportare le cronache di tre donne che vi hanno preso parte: sono artiste e donne in resistenza che, nonostante il clima internazionale teso nei confronti dei diritti delle donne, ribadiscono il senso del femminismo comunitario, del loro sorriso, della loro caparbietà e presenza per continuare a seminare cambiamento. Entriamo nei loro diari di bordo, allora! Nel prossimo numero condivideremo altre testimonianze.

CRONACA 1. / LOTTARE È ANCHE RACCONTARE, RECUPERARE L’ORALITURA

(FRANCESCA GARGALLO)

Come descrivere un incontro di più di 5000 donne che sono accorse, con vera fame di dialogo, a farsi presenti da cinque continenti al Caracol zapatista di Morelia l’8 marzo scorso? Impossibile un punto di vista unico. Per fortuna. Di fatto le stesse zapatiste hanno chiamato le donne prima a riunirsi, poi a continuare a lottare da tutti i punti di vista e tutti i luoghi e idee d’incontro possibili. Cosí il Primer Encuentro Internacional, Político, Artístico, Deportivo y Cultural de Mujeres que Luchan, Caracol Zapatista 4 Morelia, Zona Tzotz Choj, Chiapas, Messico, si è aperto con una giornata di teatro che ha portato in scena la storia, la memoria, la quotidianità in trasformazione di gruppi di donne zapatiste che hanno percorso trent’anni della vita messicana coi piedi ben saldi al suolo delle culture maya e mestiza del Chiapas e le ali aperte a uno sguardo internazionale e internazionalista.

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Teatro, cioè presentazione e rappresentazione. Donne in pieno possesso dello spazio e del linguaggio: giovani che ripensano le parole e le vite di madri e nonne, madri che si inorgogliscono del loro passato e della vita di figlie, nipoti, ragazze della loro comunità.

Il primo giorno è tutto zapatista, al femminile. Agli uomini è proibita l’entrata. Le parole si liberano, sono leggere, ironiche, presenti anche se costantemente ritornano su un punto chiave: sebbene si sia state schiave della tradizione patriarcale, chi si è liberata deve ricordare il passato affinchè non si ripeta mai più.

Il teatro riunisce molte arti: dalla poesia del testo, alla coreografia, alla musica, alle arti plastiche, con i loro scenari. È chiaro, oscuro, simbolico, come la vita stessa che cerca la verità nell’evidenza e nei chiaroscuri del tempo e la comprensione di voci diverse e prospettive complesse di liberazione.

06_Vista_BanoSeco_FotoGHT_IMG_20180310_145013La festa era comune, i bagni, occupati da più di 7000 persone, erano incedibilmente più puliti di quello che ci si poteva aspettare: ogni donna usava un bagno secco imparando a separare il buco per la pipì da quello per la popò, che con un pò di calce e sole diventerà un eccellente concime. Chi usava un bagno più “classico”, buttava l’acqua lasciatale di fronte alla porta da chi l’aveva preceduta, poi andava a prendere l’acqua per la prossima. Una descrizione più chiara della democrazia participativa che quella dell’uso dei cessi? Forse esiste, però a me è quella che ha colpito di più, quella che più mi è piaciuta e che più mi ha dimostrato l’utilità della pratica di interessarsi nella buona vita di tutte.

Poi c’erano altre forme di incontrarsi: mangiare usando il meno possibile piatti e bicchieri da buttare; ballare al suono dei tamburi; chiacchierare vestite in forme diverse, per il caldo del giorno e il freddo della notte. Chi si è voluta denudare l’ha fatto senza alzare obiezioni nè perplessità, anche tra donne avvolte nella loro indumentaria tradizionale. Il tuo corpo è tuo così come il mio è mio.

I laboratori e incontri del secondo e terzo giorno sono stati così diversi come le lingue e le persone che si trovavano per condividere le loro verità, il loro bisogno di trovarsi, parlare, dare ciò che si sa, sanarsi e costruire le forme di resistenza a un mondo di depredazione ecologica, culturale, razzista, evidentemente capitalista. Vivere, secondo le zapatiste, è lottare. Lottare, secondo me, è anche raccontare. Così ho participato con altre 70 o 80 donne in una mattinata di creatività narrativa, sostenendo le nostre voci, la oralitura propria della tradizione narrativa di tutto il mondo, in forme diverse.

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Ho battezzato il mio laboratorio “Estetica e Creatività”. Abbiamo disegnato, perchè si racconta anche con immagini, abbiamo parlato, abbiamo ricordato racconti che ci sono serviti per capire il nostro mondo e che venivano dalle fantasie dei nostri popoli o da persone che ce le ricordavano. Ci siamo parlate in uno spagnolo con accenti e inflessioni e traduzioni che provenivano dal tzotsil, tojolabal, tseltal, portoghese, ucraino, italiano, francese, arabo. Ci siamo dette come siamo vive, quante cose sono dovute intervenire per far sì che potessimo essere lì, ci siamo ricordate della storia del coyote che lanciò il coniglio al centro della luna, dal momento che gli altri conigli non si erano uniti per impedirglielo, delle bambine che imparano a giocare, delle divese lotte per vivere libere dalla paura. Alla fine abbiamo incollato in un murale di pezzi di storia i nostri scarabocchi, i nostri balbettamenti e abbiamo construito una storia comune e diversa. Abbiamo lottato per un mondo senza censura.

Francesca Gargallo Celentani

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CRONACA 2. / TORNO A CITTÀ DEL MESSICO CON UNA NUOVA LUCE DA CONDIVIDERE OGNI GIORNO (ERANDI VILLAVICENCIO)

La notte stellata e noi raggomitolate nella concavità verde delle montagne zapatista. Il laboratorio di “liberazione della voce” stava facendo cantare una settantina di abitanti di quell’utopia femminista e zapatista. Si potrebbe dire che abbiamo abitato quello spazio nel tempo dettato dal nostro tempo. Per un frangente quella terra è stata nostra e solo per noi. Permettetemi di raccontarvi una delle tante sensazioni che fino ad ora mi avvincono. Erano all’incirca le 7 di sera, io, la mia piccola Gaia e Caro schiacciavamo un pisolino nella casa di campagna prima dell’ora stabilita per andare in scena. Il potente mantra dei loro canti cominciava a muovere le montagne e a far capovolgere le stelle, mentre in lontananza s’udivano le risa e dei passeri variopinti, altri canti, grida e annunci di altri laboratori, rassegne di film o poesie realizzate da alcune di noi, prima di riunirci daccapo tutte quante al centro del nostro palco.

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Si erano avvicendati già alcuni incontri importanti e se ne avvicinavano altri. I più toccanti che stavano per giungere: le testimonianze corporalizzate che, attraverso l’arte scenica, avrebbero esposto l’enorme tragedia e massacro delle donne Ixil1 in Guatemala. E ancor più, la loro resilienza, le mani che le hanno riscattate, la mani di altre, loro amiche, che assieme tessevano reti dal cuore per ricostituire il loro intenso ricamo ixil.

Noi continuavamo ad ascoltare sillabe e monosillabe, canzoni cantate, anche in coro: l’A di allegria, la E di ribellione, la U de spirito furono i suoni di quelle sciamane creatrici della notte.

Nell’Incontro, tutte erano artiste ed ognuna portava un regalo: un simposio, un aroma, un’opera teatrale, una canzone, un calcio bien piazzato nella partita o un colpo di mano secco e fare punto a pallavolo, un twerking di fianchi decolonizzati afrocubani che fece ballare il mio bebè a volontà tra i corpi2 senza vestiti, alla luce del sole e senza sguardi moralisti; mille incontri, dipinti, canzoni, murales e fotografie. Tutte assieme, a volte ridendo, passeggiando, ascoltanto, guardando e magari fossimo come le compa zapatiste ascoltando, prendendosi cura, osservando, imparando e mettendosi in discussione collettivamente. Neppure un gesto di critica verso i nostri modi urbani e goffi, neanche con chi di noi non collaborava molto.

Si sono prese cura di tutto. Del nostro tetto, bagno e cibo e soprattutto del nostro benessere: col loro gruppo della “dignità e resistenza” hanno illuminato su ciascuna delle nostre notti, con le loro rime e composizione al ritmo di questa lotta creativa che hanno caricato sulle loro spalle da vari anni, perchè di fatto, senza ripiegamento che il movimento si diede nel 2007 al fine di ripensare dall’interno le sue violenze machiste, questo movimento sarebbe finito. Compa giovani che in un universo parallelo senza lotta, sarebbero state vendute o scambiate per bestiame a 13 anni e invece adesso sono degne e ribelli, mentre noi restiamo incapsulate negli individualismi atroci e nei femminismi isolati, e adesso siamo anche noi degne fraterne e ribelli, o perlomeno aspiriamo a ciò. Compa zapatiste, le più ribelli e prudenti, le compa più sagge tra tutte.

03_Inauguracion_FotoGHT_IMG_20180308_101936Avevo la pelle d’oca ad ogni dimostrazione d’amore incondizionale e sempre ribelle, fino al midollo. Questo è il mio resoconto per chi no c’è stato. Non voglio far scemare questa buona energia. Abbiamo preso parte all’Encuentro de mujeres que luchan senza frontiere e ci siamo riempite di vitalità. Tutta la tristezza quotidiana che si trascina in città, soprattutto nei circoli proletari, semplicemente è scomparsa. Scoraggiamento che posso osservare in lontananza, perchè di questa nuova vitalità ricordo il sentiero, lo seguo con occhio d’aquila e ho deciso di percorrerlo in branco.

Tuttora le critiche politiche mosse all’organizzazione zapatista per il suo ingresso nel contesto elettorale mi sembrano disfattiste. Non si soffermano sul fatto che grazie al lavoro gratuito di molte e molti, Marichuy ha dialogato, condiviso e ha gettato luce sulle resistenze e sulle piccole lotte contro enormi monopoli, non solo a livello mediatico quanto degli ambienti in cui è ancora possibile tessere altre reti. Critiche che non si rendono conto che l’organizzazione zapatista è giunta ad una nuova generazione, che le giovani compa che in precedenza, a quest’altezza cronologica, avrebbero svolto una vita molto diversa, sono adesso potenti guerriere, senza aver perso il senso dell’agire collettivo e possono sostenere un evento di tali dimensioni: la notte che diventerà il giorno. Silenziose ma non taciturne, organizzate, costanti. Di questo mi hanno nutrito, di questa speranza. Ed è ciò che spero di trasmettere qui a Città del Messico, con chi crede troppo nelle istituzioni e con chi si sente sola. Perchè questo è il patto: ricordarci di continuare a vivere e condividere questa luce in ogni angolo delle nostre vite, in ogni momento e in ogni luogo. Con noi, con tutte, qualunque sia l’involucro. Loro, tutte, mi hanno tolto la paura di riconoscerci e riconoscermi pienamente accompagnata.

Erandi Villavicencio

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CRONACA 3. / TRA GIOCHI E SANAZIONE (MELISA SANTILI BARA)

All’arrivo la prima notte ci hanno accolto migliaia di donne zapatiste, ci hanno aiutate con le nostre borse e bagagli, per ogni donna esterna c’erano due o tre zapatiste ad assisterla con quanto necessario, chiedendo se aveva o no la tenda e orientandola verso il luogo in cui poter riposare. A me sarebbe spettato il padiglione al chiuso, dal momento che avevo solo il sacco a pelo. Lì dormì dopo aver preso un the, aver esplorato un po’ il terreno ed essere andata al bagno (per l’incontro avevo costruito 3-4 padiglioni e un’ottantina di bagni, diversi spazi in cui riposare, realizzare attività nello stesso settore in cui abitualmente le adolescenti si recano a scuola e alla radio comunitaria). Quella notte, povera illusa, misi la sveglia. Pensavo che avrei potuto non svegliarmi presto visto che, tra il viaggio e l’arrivo, già si erano fatte le due di notte. Stavo viaggiando sola, ma già si era costituito un gruppetto, in attesa della streghetta Eri e della cosmica Gaia. Verificai l’ora d’inizio delle attività e prima di dormire misi la sveglia alle 7 in punto.

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Mi alzai prima del suono della sveglia, risuonava infatti sul palco una musica che si spandeva su tutto il terreno per svegliare donne di tutto il Mondo. L’incontro prendeva il via al ritmo di un basso, una chitarra, una fisarmonica e voce. Uscì dal sacco a pelo con la giacca e qualcos’altro addosso, il freddo era opprimente e il sole appena spuntava dietro le montagne. L’alba era imminente, erano quasi le sei. Ci stavamo svegliando con un recital dal vivo, maestre!

Così prese avvio la prima giornata, godendo di ogni momento, conoscendo poco a poco l’organizzazione: erano quasi 3000 donne zapatiste di ogni età e provenienti dai 5 caracoles, organizzate per far andare tutto al meglio in questo primo incontro: le colazioni, i pranzi, i bagni, i rifiuti, il deposito per i bagagli, i discorsi, le docce, i recital, le partite di calcio, pallavolo, pallacanestro, opere d’arte, racconti, ci dilettavano con tutto ciò che potevano, ci regalavano tutto il loro giorno, migliaia di storie, di voci, parole.

Nei seguenti due giorni si sono avvicendati centinaia di laboratori, l’agenda scoppiava d’eventi, moltissime donne consegnavano le loro conoscenze, la volontà di condividere teatro, poesia, musica, dinamiche, simposi, dibattiti, proiezioni, è accaduto un po’ di tutto…

Molti laboratori furono sospesi dal momento che molte donne non avevano potuto raggiungere il caracol, in molti casi vi erano stati controlli migratori e alcune donne avevo detto per errore che si stavano dirigendo all’incontro zapatista, motivo per il quale non le avevano fatte entrare, detestabile stato grrrr!

Quando apparvero i calendari delle attività, mi iscrissi a vari laboratori: messicano, autodefensa, ricamo di Cuzco e Ayacucho, corpi in movimento decostruendo la memoria corporale, proiezione di donne guerrilleras, meditazioni in movimento, sesso pazzo e sicuro, danza del ventre, i sette principi zapatisti, ginecoautonomia, ribellione fatta canto, digitopuntura base, cambiamento di pelle como il serpente, autosanazione, reiki…

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Ho preso parte a dinamiche di gruppo, due coordinate da colombiani e una sessantina di donne, oltre che alcuni giochi di gruppo attraverso i quali è possibile esplorare la nostra interazione:

1. zip zap boin, con cui trasmettere energia attraverso lo sguardo e lo schiocco delle palme, la parola “zip boin” fa cambiare di direzione e genera un “zap”

2. casita, da 3 a più persone, due di esse si prendono per mano creando una casetta in cui entra un’altra persona, si annunciano vari movimenti (destra, sinistra, centro o terremoto) che generano un cambiamento che fa sì che la persona all’interno cerchi una nuova casa

3. banco di pesci, gruppi di circa 10 persone, si muovono assieme ma non in linea, facendo i movimenti dettati dal leader del banco di pesci, il gruppo deve essere flessibile al cambiamento di leader per mantenere compatto il movimento del gruppo

4. banco di pesci, con la variante della musica.

Ho partecipato anche ad una serie di rituali mattutini coordinati da Lorena Cabnal (curatrice ancestrale) e da María Graciela Velázquez Chuc (nonna, levatrice). Rituali intensi in attesa dell’alba e nei quali, oltre ad esserci consegnate al fuoco della parola, al canto, all’acqua, alla terra, ci siamo consegnate allo scambio d’energie, che incluiva quella di donne che hanno vissuto violenze prodotte dallo Stato, dal sistema capitalista che vuole farci scomparire materialmente. Ma la vita, le parole emerse in quegli incontri “così è e così sarà, ACCORPARE, tu sei me e io sono te…sanandoti mi sano” hanno diffuso un barlume di luce e di sanazione.

Melisa Santili Bara

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Foto in evidenza: Opera teatrale di donne zapatiste (incontro marzo 2018, Chiapas)
Foto nell’articolo, a cura di Gabriela Huerta Tamayo
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1 Gruppo indigeno del nord guatemalteco. Il genocidio ixil si consumò nel 1982-83 e l’allora presidente Efraín Ríos Montt fu condannato come responsabile solo nel 2013.

2 Termine che nell’originale spagnolo è reso con cuerpas, neologismo al femminile per cuerpos.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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