Sei poesie dall’antologia “La nostra classe sepolta” a cura di V. Raimondi (Pietre vive edizioni 2019)

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Da  “La nostra classe sepolta– Cronache poetiche dai mondi del lavoro”

Pietre vive edizioni, 2019,  a cura di Valeria Raimondi

 

…] Sarà la poesia a leggervi tutti: compito di tutta una civiltà, se vuole divenire coscienza critica di ciò che le accade. Nel frattempo, in un mare di sillabe ancora paziente, chi legge può trovare e ritrovare la necessità, mai banale ed ovvia, di un senso storico ancora presente, senza nessuna intermediazione e rimozione digitale degli schemi e degli schermi. Coloro che le hanno scritte hanno riunito quello che l’umano conosce e sa di poter fare con le proprie forze.
(dalla postfazione di Alberto Mori)

Con testi e contributi di: Alberto Figliolia; Alberto Mori; Alessandra Flores d’Arcais; Alessandro Silva; Andrew Marini; Anna Lombardo Geymonat; Benny Nonaski; Christian Tito; Claudia Zironi; Ed Warner; Eliana Como; Fabio Franzin; Fouad Lakehal; Francesca Del Moro; Francesca Pellegrino; Francesco Tomada; Francesco Zanoncelli; Gassid Mohammed; Giuseppe Boy; Luca Bassi Andreasi; Lucianna Argentino; Marcello “Guitarsolo”; Marco Cinque; Marco Di Pasquale; Maria Nardelli; Mario Archetti; Marjo Durmishi; Matteo Rusconi; Paola Musa; Paolo Buffoni Damiani; Patrizia Argentino; Pino Simone; Pippo Marzulli; Savina Dolores Massa

 

 

Paola Musa

PERO’ ABBIAMO UN BEL MARE

 

Lʼarsenico e la mandorla
lo zinco e il miele amaro.
Non solo il corbezzolo soffia col maestrale:
tra le narici ora vibrano metalli.
Un fango rosso e denso si rapprende
poco distante da unʼacqua blu cobalto.
Fintamente fiere, sʼergono le scogliere,
forate come i nostri polmoni.
Un tempo era il carbone che anneriva.
Poi venne il grigio della fabbrica,
la tredicesima, la televisione.
Accettammo il nuovo colore innaturale,
una modernità col cellofan del danno necessario.
Sopportammo la coltre fumosa tra le dune,
per il pane, perché,
questa è la dura legge
a che giova respirare bene,
se poi non hai niente da mangiare?
Ora anche i cancelli delle fabbriche son chiusi
e un vago sentimento da schiavi
ci fa sentire abbandonati.
Saccheggiate le speranze, offeso anche il futuro,
non osiamo più guardare in faccia i nostri figli,
mentre il turista immortala affascinato
la nostra tristezza antropologica.
Ansima il vento trascinando a stento
le nostre sagome sempre più pesanti.
Che cosa siamo?
Il nostro posto non è più nel cuore della terra,
né in mezzo allʼaria e a troppa luce che trafigge.
Che cosa siamo, dunque?
Umiliati, vaghiamo tra discariche
e quasi rimpiangiamo.
Con vergogna sostiamo
allo sportello della cassa integrazione.
Intanto lʼangelo della morte osserva,
e lenta e silenziosa sʼinsinua nello scolo
che arriva fino al giardino della scuola.
Qualcuno dice che i bambini qui
non crescono per troppo piombo
e sono meno intelligenti,
che lʼalluminio provoca lʼalzheimer
e consuma la memoria,
che il cadmio fa diventare pazzi.
Che cosa siamo, allora?
Siamo anime di minatori
assurti a nuova specie minerale.
Siamo pastori di pecore a più teste.
Siamo raccoglitori di grano avvelenato.
Siamo i segreti dei poligoni
con il sangue andato a male.
Siamo il popolo eletto dalla nazione
a mutazione genica.
Per lʼopinione generale
però abbiamo un bel mare.

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Nota dellʼautrice: la poesia si riferisce in particolar modo al territorio del Sulcis-iglesiente in Sardegna, la zona più povera e depressa dʼItalia, con altissimi casi di depressione e suicidi, tumori, malattie respiratorie e genetiche, compromissione dellʼintelligenza e della crescita dei bambini. Fenomeni causati dallʼinquinamento e dallʼaltissima presenza di
metalli pesanti e polveri ultrasottili. Gli ultimi versi accennano anche allʼuranio impoverito e alle sperimentazioni di armi nei poligoni militari.

 

 

 

Christian Tito

FARMACIA 13

 

Un minuto di ascolto totale
non posso darti che questo Nina
così mi porto via da Piazza Bonomelli
almeno la tua voce     la tua luce

 

“sono venuta dalla Persia”
dici
“dietro me c’è una sventura”
dici
“due lauree non bastano a colmarla e con la seconda mi hanno dato un lavoro.
Si può dire stage lavoro?
Qui in Bonomelli è pieno di arabi,
Milano è piena d’arabi.
Quando mi hanno scelta sembravano felici
– finalmente avremo qualcuno che può parlare agli arabi –
ma io l’arabo non lo conosco.
Io
vengo dalla Persia”

 

ambita e ben pagata è l’ignoranza
questa è la luce la voce , qui, Nina

 

per questo tifo buio
e, del rumore, l’assenza

 

 

 

Fouad Lakehal
LAVORO

 

Alluminio liquido, forno a Settecento.
Tuta in amianto, sali di condensa.
Passa il padrone: Io vi frusto!
Mi fermano i colleghi (l’avrei sciolto).
Venerdì è la nostra notte,
ci fermiamo per mangiare qualcosa,
succede da sempre alle tre di notte.

Alluminio fuso, forno a Settecento.
Tuta di amianto, sali di fusione.
La pressa s’infuria, l’orologio la rincorre,
le nostre facce stravolte sono sbiadite
come la carta della busta paga.

Eravamo affiatati, solidali,
ci sosteneva lo scherzoso spirito di sfida,
ci si sfidava tra noi allo sfinimento.
Raffreddavamo le bibite
sotto il getto d’acqua arrugginita,
comunicavamo coi gesti,
parlavamo a intermittenza
tra un colpo e l’altro della pressa.

Mangiavamo panini ossidati dall’usura,
riscaldati sui bordi dei forni aspettando le sei.
Una gioia quando arrivava il camionista francese
che ci portava sempre una bottiglia:
mi piaceva sbirciare l’orologio
quando erano le cinque e quarantasei.

Alluminio fuso.
Tuta di amianto.
Forno a Settecento.
Io c’ero dentro.

 

 

Luca Bassi Andreasi
STATUTO DEI LAVORATORI

E dello Statuto hai saputo?
Sì, m’è spiaciuto.
L’importante è che non abbia sofferto.
No, in realtà agonizzava da tempo.
Se n’è andato in punta di piedi.

Sei stato al funerale?
No, non mi han dato il permesso.
Neppure a me.

 

 

 

Francesca Del Moro

LA RISORSA UMANA SI È SPEZZATA IN PIÙ PUNTI…

La risorsa umana si è spezzata in più punti
Era poco flessibile, dicono, poco resistente
o forse è stato per via di quella parte male inserita.
Una volta sostituita si ignora la sua destinazione.
Ridenti i mercati assistono come gerani al balcone

 

 

 

Benny Nonaski

.CONDIZIONE FISICA.

 

Pensa ad un’arancia pressata
tra le spirali di uno spremiagrumi.
Una mano l’ha frazionata in due parti
e nessuno ha battuto ciglio:
se l’arancia ha urlato,
se il coltello ha provato pietà,
se i compagni dentro il sacchetto
hanno proferito le ultime preghiere:
non c’è stata la giusta attenzione
dei telegiornali, il Capo di Stato
nella solita tiritera
della disgrazia annunciata,
delle vittime su vittime,
degli epocali problemi della bilancia,
tutti a rotolare per mangiare,
cadendo dagli alberi,
cadendo nella notte che viene,
nel brivido del silenzio
che impone la mano.

Quando la mano spreme l’arancia
il sangue è pura automazione;
elemosina per il mutuo della casa,
elemosina per l’assenza del sogno.

Chi è come me vaga in uno spazio definito
dove le porte sono tutte sbarrate.
Bussiamo ad ognuna di essa.
(Dicono che siamo frutti da spremere)
Tutte le chiavi che abbiamo acquisito
nei nostri stadi evolutivi
si spezzano nelle serrature.

Serviamo a qualcosa? Anche questo uccide.

Quando il sangue, quando il succo rosso
è ormai una goccia che si esaurisce;
la mano getta ciò che resta dell’arancia.
Buccia vuota come corpo finito.

Schiacciati da disumane attese
Infiniti disprezzi
Umiliazioni
Disperazioni(1)

e ce ne andiamo così, tutt’in un sorso.

  • dalla poesia I miei compagni sulla torre di Ferruccio Brugnaro.

Per gentile concessione della curatrice dell’antologia.

 

ValeriaRaimondi

La curatrice dell’antologia, Valeria Raimondi, vive a Brescia. Attualmente è vicepresidente dell’Associazione culturale Movimento dal Sottosuolo. Nel 2013 con il MDS cura il Festival Sconfinatementi, gemellaggio con i poeti dell’Università di Kragujevac. Nel 2016 esce per Gilgamesh ed, un’antologia bilingue a cura di Valbona Jakova, con testi suoi, di B. Costa e J. Hirschman presentata in Albania; nel 2018 un’antologia italo-brasiliana a cura di Rosana Crispim da Costa, che contiene una decina di sue poesie presentate a San Paolo, Brasile. Con Donne A(t)traverso propone un recital narrativo sulle origini della violenza di genere: Prigioniere delle trame, liberate dalle Reti. Una decina di inediti sono contenuti in Distanze, Fara Ed, e alcune invettive nella Gazzetta dei Dipartimenti del Collage de ‘Pataphysique. Una sua poesia è intro dell’album musicale dei DUNK. Nel 2011 pubblica IO NO (Ex-io), Thauma ed. e nel 2014 la silloge Debito il Tempo, Fusibilia, opera vincitrice del Premio Eros e Kaìros, entrambe ripubblicate con Pellicano ed. L’opera collettiva La nostra classe sepolta, cronache poetiche dai mondi del lavoro, di cui è curatrice, esce a maggio 2019 per Pietre Vive Edizioni.

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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