Paure e precauzioni di una signora (Gassid Mohammed)

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Paure e precauzioni di una signora

 

Soffia un leggero vento, ma talmente freddo che non si vede mai un naso se non rosso. È metà novembre, ma un freddo assurdo incombe su Bologna. Il grande schermo della stazione segna le sette e mezzo, e tre gradi. Una leggera nebbia si diffonde per le strade e sugli edifici. Tutti imbacuccati nei loro cappotti, le sciarpe pesanti intorno ai colli, cappucci o berretti sulla testa e guanti alle mani. Aspettano sul marciapiede, davanti alla stazione centrale, guardano le strisce pedonali e il semaforo; pare che il rosso non voglia diventare verde. Soffiano vapore dalle bocche da non poter distinguere tra chi fuma e chi no. Bisbigliano tra di loro, qualcuno maledice il freddo, altri il semaforo. Coloro che non mettono i guanti cominciano a sfregarsi le mani per riscaldarle. Uno starnutisce, tutti lo guardano, sorride con il naso rosso come la luce del semaforo. Le coppie si abbracciano per riscaldarsi l’un l’altro, le persone si avvicinano di più per non lasciare posto al freddo tra di loro. I passanti avanzano poco a poco sulla strada, ma è ancora rosso, le macchine rallentano e i guidatori cominciano a muovere labbra e mani, guardando i passanti. Una signora con gli occhiali da sole si avvicina a un giovane accanto a lei, alza la testa, appena vede il viso si allontana subito. Lui si sente osservato, abbassa la testa, poi la rialza, guarda il semaforo che diventa subito verde. Passano la strada tutti, camminando veloce, come un torrente. Passa anche lui, imbacuccato nel suo largo cappotto e una borsa nera sulla spalla sinistra. L’orologio della stazione che si vede attraverso la nebbia ora segna le sette e quaranta. Il giovane del cappotto largo guarda lo schermo delle partenze e vede che al suo treno mancano ancora venti minuti. Passa dal bar, prende un caffè da portare via ed entra nella sala d’attesa. La sala era piena zeppa di gente che scappa dal freddo, anche se per qualche minuto. Si siede e guarda davanti a sé, vede la signora con gli occhiali da sole, le sorride e abbassa la testa senza attendere risposta. Sorseggia dal suo caffè sfogliando un libro che ha preso dalla borsa. La signora da dietro gli occhiali lo osserva indifferente. A un certo punto il giovane, che non ha tolto il suo cappotto largo, inizia a cercare nella sua borsa, cerca con ansia e preoccupazione. Cerca anche nelle tasche del cappotto. Poi si alza, va vicino alla vetrata, guarda fuori e ritorna al suo posto, si mette a cercare qualcosa nella borsa. Intanto riceve una chiamata, si allontana verso la vetrata a parlare. Durante tutto questo la signora con gli occhiali da sole lo osserva, adesso con una faccia poco indifferente, forse preoccupata. Che cosa stava cercando nella borsa? Perché si alza spesso? Perché è così agitato, e con chi sta parlando? E questo cappotto così largo, cosa c’è sotto? Tutte queste domande cadevano come le comete nella testa della signora. Adesso lo guarda, sta parlando al telefono mentre osserva, con occhi strani, diversi punti nella sala d’attesa. È vicino alla lista dei caduti del 2 agosto, si avvicina alla lista e comincia a guardare i nomi mentre parla al telefono. Sono passati appena due giorni dalla strage di Parigi, e le notizie scottano ancora, come pane appena sfornato. Si rinfrescano nella memoria della signora le grida di paura nello stadio e per le strade di Parigi, le risuonano in testa gli spari e il numero dei morti. In quell’attimo vede innalzarsi davanti agli occhi la vetrata curva della sala d’attesa; è la cicatrice che ha lasciato la bomba alla stazione, e anche i nomi che ora le sono più vicini. Si ricorda ancora di quel mattino lontano, era giovane a quel tempo ed è rimasta a piangere lunghe notti per quella strage. Le sono ritornate in mente le immagini di quella mattina; i corpi mutilati, il sangue, la distruzione, il pianto e le grida dei famigliari dei morti. In quel momento il giovane si gira, dietro di lui la lista dei caduti, la guarda senza sorridere. Ritorna al suo posto mentre ancora parla al telefono. La signora senta le sue ultime parole; una lingua straniera e incomprensibile. Perché non toglie il cappotto? Si chiede la signora. Il giovane inserisce la mano nella borsa nera, sta cercando qualcosa mentre guarda in diversi punti della sala. Perché non si toglie il cappotto? Che cosa sta cercando? Si chiede sempre la signora che lo guarda da dietro gli occhiali. Ora la sua faccia è quasi pallida e gli sguardi smarriti. Si alza ed esce dalla sala. Il giovane sta ancora frugando nella borsa, ci guarda dentro, apre una tasca e un’altra ancora. A un certo punto scorge una nuvola blu sopra la sua testa, alza gli occhi e trova cinque poliziotti in piedi davanti a lui. “Alzati e apri il cappotto per favore” gli dice uno di loro, mentre un altro prende la borsa e comincia a frugare dentro. Il giovane, stupito, si alza. Ora è lui che ha il viso pallido e gli occhi smarriti. Sbottona lentamente e con mani tremanti il cappotto, il poliziotto impaziente, frettoloso e nervoso tende le mani e sbottona il resto dei bottoni. Lo controlla, trova un telefono, un accendino e delle chiavi. Il giovane trema, non apre bocca e non sa cosa dire. Il poliziotto che fruga nella borsa trova un libro, lo incuriosisce il titolo e un’immagine; è l’immagine della stazione di Bologna distrutta dalla bomba del 2 agosto 1980. “I documenti” dice il poliziotto che ha controllato il giovane. “Che cosa è questo libro?” Chiede contemporaneamente il poliziotto che ha frugato nella borsa. “E’ … è un’antologia … dedicata a tutte le stragi. In onore delle vittime della strage del 2 agosto. Ho partecipato con una mia poesia” dice il giovane mentre prende il permesso di soggiorno e un badge dal suo portafoglio.  “Sei un poeta dunque?”. “Credo di si” risponde il giovane. Allunga i documenti al poliziotto, questi li guarda,  comincia a dondolare la testa. “Sei un medico?”. “Sì, lavoro al Sant’Orsola” sillaba il giovane. I poliziotti si guardano, uno di loro dice: “Questo può aver curato mia madre che ho ricoverato un mesetto fa”. Li restituiscono i documenti e la borsa e se ne vanno. Soltanto ora il giovane si rende conto che tutti nella sala gli puntano gli occhi addosso. Si dimentica dell’orario, del treno e del suo viaggio. Prende la borsa e se ne va dalla sala d’attesa, con il cappotto sbottonato.

 

Gassid Mohammed,  inedito Licenza Creative Commons  Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

 

Riguardo il macchinista

Gassid Mohammed

Gassid Mohammed è uno dei macchinisti fondatori de lamacchinasognante.com. Ha contribuito fino al numero 4 e si è ritirato a dicembre del 2016. Un grande bambino che insegue le farfalle da una vita. È nato a Babilonia, a qualche passo dell’Eufrate. Casa sua è eretta sulle basi della Torre di Babele, nessuno ci crede ma è così. È cresciuto in un piccolo paesino in campagna, con le pecore, le mucche, le galline, le farfalle, le api e tutti gli animali e gli insetti. Tutto il suo corpo è costituito dall’Eufrate, non solo perché ci faceva il bagno ogni giorno per tante ore, ma anche perché le piante e le verdure che piantava e faceva crescere erano irrigate dall’Eufrate. Gli piace molto la natura perché ha passato la sua infanzia e l’adolescenza negli orti e nei campi. Il suo orto aveva una collina coperta di erbe e fiori, a lui sembrava fosse il resto dei giardini pensili. Ovviamente nessuno ci crede, ma c’è poco da fare. Da bambino aveva sempre inseguito le farfalle, e le insegue tuttora, e lo farà per sempre.

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