L’INARRESTABILE APPRODO DI TERRA DI TUTTI ART FESTIVAL (Reginaldo Cerolini)

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L’INARRESTABILE APPRODO DI TERRA DI TUTTI ART FESTIVAL

Sommario : Viene presentato nella sala Farnese di Palazzo d’Accurzio, Bologna, il nono festival Terra di Tutti Art Festival.

 

Nella sala Farnese, rinascimentale con opachi affreschi di proporzioni quasi umane, assisto all’ overture del Terra di Tutti Art Festival. L’evento, ormai alla sua nona edizione, ha ingrandito la sua portata, estendendosi oltre al cinema alle altre arti: mostre di pittura, workshop di fumetti, teatro e persino cucina.

Apre il convegno, di rappresentanza, il sindaco Virginio Merola. Sono presenti importanti nomi della cultura nazionale e internazionale sensibili ai temi dell’utilità sociale di denuncia delle situazioni umane. Soprattutto non mancano – in piedi dietro l’ultima fila o all’ingresso mentre si abbracciano tornati dalle varie missioni sparse nel sud del mondo (del resto sono operatori sociali)- coloro che da anni partecipano attivamente alla realizzazione dell’evento, in qualità di promotori: COSPE (Cooeperazione per Sviluppo Paesi Emergenti), GVC (Gruppo di Volontariato Civile), TPO (Teatro Polivalente Occupato). Il convegno ininterrotto, tranne per la pausa pranzo, riunisce dalle 9.30 alle 17.00 un pubblico di circa ottanta persone, di età compresa tra i 25 e i 60 anni, professori, studenti universitari, giovani militanti, curiosi che giungono in modo vario, a seconda della conferenza che preferiscono e scivolano, dentro e fuori, in modo composto, quasi sacrale. Gli stranieri, in sala, si riducono a un’esigua minoranza di quattro o cinque individui. Esiste persino un traduttore e chi entra in sala può sentire una traduzione tramite delle cuffie fornite all’ingresso. Insomma un’aria di internazionalismo, nostrano.

Intervisto, Liù Fornara, una delle organizzatrici dell’evento in qualità di membro del GVC. E’ una luminosa e affusolata donna svizzera, dai capelli lisci e occhi grandi.

 

Può dirci chi è e chi rappresenta?

Io sono Liù Fornara, sono una cooperante del GVC che co-organizza, insieme al COSPE, il Terra di Tutti Art Festival. Si tratta di un’evento culturale di sensibilizzazione che parla dei problemi del sud del mondo e delle loro conseguenze sull’Europa. Siamo ormai alla nona edizione. Inizialmente è nato come festival di documentari sociali, di educazione e sviluppo, quindi per sensibilizzare i cittadini europei sui problemi del mondo. Quest’anno, invece, diventa anche Art Festival perché include anche una serie di eventi artistici collaterali. Io sono capo progetto dello Sparring Partners, un progetto finanziato dall’Unione Europea, che si realizza tra Repubblica Dominicana, Haiti e Cuba. Il progetto ha a che fare con il cinema perché vuole supportare i giovani artisti di questi tre paesi per fare in modo che essi possano vivere della loro arte. Sostanzialmente è un progetto che si sviluppa attorno a tre assi, un primo asse è la parte tecnica, o di formazione, dei giovani tecnici, artisti, cineasti con workshop di realizzazioni di cortometraggi, marketing dei prodotti culturali. Si tratta, insomma, di una fase di rafforzamento delle competenze tecniche. Un secondo asse è stata la fase di messa al bando di 100 mila Euro per finanziare dei progetti documentari nei tre paesi. Sono stati scelti, poi, ventuno documentari da realizzare effettivamente. Al momento, quasi tutti sono conclusi o in fasi di postproduzione. Il terzo asse incomincerà a breve, ovvero la parte di diffusione, disseminazione e messa in rete degli artisti e dei loro lavori. Io sono venuta in particolare qui a Terra di Tutti Art Festival per presentare tre documentari provenienti da Repubblica Domenicana, Haiti, e Cuba.

 

Come è nata l’idea di questo progetto e come hanno partecipato le nazioni dove siete andati a portarlo?

L’idea del progetto nasce ormai tre anni fa, quando mi trovavo ad Haiti, subito dopo il terremoto, a lavorare. Lì mi sono resa conto del fatto che non ci fosse nessun cinema, anche se attualmente ne esiste uno, e conoscendo una casa di produzione cinematografica è nata l’idea di pensare al cinema come mezzo di informazione e sensibilizzazione. Soprattutto parlando di popolazioni dove il tasso di analfabetismo è alto. In questa fase postraumatica, infatti il cinema può essere un momento di condivisione e dibattito atraverso il medium dell’audio-visuale. Parallelamente il GCV stava già realizzando a Cuba un progetto sul cinema con l’associazione cubana Asociacion Hermano Saiz. Mettendo insieme i due progetti, abbiamo pensato di allargare la proposta ad Haiti e alla Repubblica Domenicana, anche perché tra le due nazioni esistono storici e grandi conflitti. Ci è sembrato giusto e utile includerli per farli dialogare attraverso il mezzo del cinema. Spesso, infatti gli artisti sono pionieri di forme più innovative, in quanto capaci fra loro di creare relazioni e ponti.

 

Vi è stato un apporto, una partecipazione da un punto di vista sociale e politico anche di queste nazioni?

No, il progetto nasce si da questa riflessione e desiderio ma al contempo grazie ad un finanziamento disponibile dalla Unione Europea, quindi noi abbiamo elaborato e sottomesso a selezione un progetto. L’Unione Europea ha selezionato il nostro progetto tramite il segretariato del ACP   che lo ha poi finanziato.

 

Ora che siamo alla terza fase del lavoro, secondo quanto dice, come è stata la ricezione nei luoghi in cui siete andati a portarli e cosa accomuna o divide questi lavori?

Da un lato ci sono le peculiarità di ogni nazione nel modo di fare arte. E’ vero che Cuba avendo una lunga tradizione, fa scuola nel mondo del cinema e dall’altra parte Haiti ha invece un cinema più acerbo. E’ poi difficile trovare film haitiani fatti da produzioni locali, di chi vive e risiede ad Haiti, anche per via di problemi economici e di strutture. Solitamente vengono invece da artisti che vivono in Canada o altri paesi.

Un punto certamente in comune è il fatto che siano giovani artisti, che molti trattino tematiche sociali o raccontano la loro realtà, il loro contesto di vita e il Caraibe.

 

Queste realtà descritte attraverso l’audio-visivo hanno anche una ricezione nei paesi in cui sono sorte?

Certo. In ogni paese abbiamo previsto delle proiezioni non limitate alle produzioni autoctone bensì anche del materiale prodotto negli altri paesi, in modo da creare una connessione. Soprattutto tra Haiti e Repubblica Dominicana. Per esempio, lo scorso novembre abbiamo presentato alla Muestra Internacional de Cine Santo Domingo, nella zona coloniale, documentari haitiani e cubani.

I tre documentari che presentiamo qui alla Festival sono Mawoulè, Demystification di Jonas Calvert è un documentario haitiano, sui pastori che portano il bestiame dai piccoli paesini di Haiti fino alla capitale. La gente però ha paura di questi pastori, perché credono che le loro greggi siano in realtà esseri umani zombificati, trasformati in animali e poi portati morire. Questa figura demistificata, spaventa soprattuto i bambini. Il secondo documentario Heroe de culto di Ernesto Sanchez Valdez è un documentario cubano, che parla della riproduzione in busti dell’intellettuale rivoluzionario José MartÍ. E’ una riflessione, silenziosa, su come la tradizione di mettere i suoi busti in modo onnipresente, in Cuba, li renda di fatto oggetti quasi invisibili. L’ultimo documentario Chabana di Carlos Rodriguez è un documentario della Repubblica Dominicana, che parla del transgenderismo nazionale. Nella Repubblica Dominicana le circostanze o scelte d’identità di genere sono estremamente discriminate. Ci sono infatti numerosi crimini basati sull’odio verso transessuali e transgender. Questo documentario segue la vita di tre persone, un transessuale uomo e due transessuali donne, filmando la loro vita sotto varie prospettive.

 

Spesso il cinema è precursore di alcune visioni, ma col rischio di divenire – a volte – una visione elitaria. In che modo il vostro progetto ha pensato di non diventare elitario?

Non è elitario poiché, nella Repubblica Dominicana, ad esempio, grazie a una nuova legge promossa del cinema che regolamenta il settore cinematografico attraverso incentivi, si promuove il cinema ma, quello più commerciale a discapito di quello artistico e di piccole produzioni indipendenti. Invece, proprio nella Repubblica Dominicana, il nostro progetto Sparring Partners è visto come uno sguardo alla produzione indipendente e artistica.

 

Il documentario, in queste realtà, è la linea preferenziale di questi registi o rispecchia più una vostra richiesta?

Il progetto Sparring Partners ha deciso di puntare sul documentario. Io non sono un tecnico del cinema ma è stata una scelta dei miei colleghi legata a vari fattori, come l’obbiettivo di socializzazione fra realtà contrastanti, la visione di varie e differenti prospettive, quindi un discorso più articolato di quello che può dare, ad esempio, una fiction ma, poi anche i costi sono stati un fattore determinante in quanto con il documentario sono più contenuti.

 

Mino Argentieri mi ha insegnato che spesso dove ci sono realtà in guerra o con grandi tensioni sociali, si guardano molti film, perché si è attenti alla realtà in maniera ludica o realista, lei lo riscontra?

A Cuba la televisone e il famoso paquete (piratato dagli Stati Uniti ogni settimana), fa da padrone. Il settore culturale è molto spinto dal governo cubano. Ad Haiti le telvisioni sono poche, ci si ritrova ancora in quelle realtà con un unico televisore da condividere tra molte persone. Nella Repubblica Dominicana i cinema sono monopolizzati da film americani … soprattutto film di merda cioè, solo d’azione come Mission Impossible e la qualità della televisione è pessima. Adesso con una coperazione tra più progetti a fine novembre faremo un festival itinerante, nella frontiera tra Haiti e Domenicana, dove andremo in villaggetti che non hanno neppure la tv, con uno schermo gigante e un proiettore a fare delle serate di cinema. Sarà interessante vedere la reazione della gente (sorride)

 

Come si inserisce questo percorso di Terra di Tutti Art Festival rispetto a questo caldo momento europeo di discussione esasperata sulla questione immigrati o rifugiati?

Io credo che il Terra di Tutti Art Festival nasca come progetto di sensibilizzazione, quindi chiaramente attraverso i documentari presentati, come quelli sulla Siria, apriranno chiaramente dibattiti sulle migrazioni dal medioriente. In Europa il Festival è un’occasione e un contributo per riumanizzare una società europea che si è dimostrata molto chiusa su se stessa e molto paurosa. Andando a vedere questi documentari ci si rende assolutamente conto di come l’umanità non può avere frontiere e non può fare distinzioni.

 

Reginaldo Cerolini Licenza Creative Commons  Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.IMGheader-1

 

SCHEDA TECNICA

Il Festival ha avuto luogo dal 7-11 Ottobre 2015 a Bologna

In Sala Farnese, TPO, Cinema Lumiere

Terra di Tutti Art Festival Nona Edizione (Anno Europeo dello Sviluppo)

 

Foto in evidenza e nel testo a cura di Reginaldo Cerolini.

 

 

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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