Da Carpi alla Tunisia: diario di un’estate da figlio della diaspora (Oussama Mansour)

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Da Carpi alla Tunisia: diario di un’estate da figlio della diaspora

 

 

Esiste un legame profondo con la mia esperienza in Tunisia, di giugno, e comincia qualche anno prima. A Milano, vicino alla fermata della metropolitana di Corvetto. Ed è lo sguardo di qualcuno, che mi conosce, che conosco, ma non c’è parola tra noi. Solo un incrocio con gli occhi e sembra dire “sì, anche io so chi sei”. All’epoca scrivevo per un blog, una esperienza che mi ha arricchito molto, oltre che da potersi considerare come la prima occasione per pubblicare i miei scritti. Il Blog aveva la peculiarità di raggruppare giovani di diverse etnie e provenienze. “Yalla Italia, il blog delle seconde generazioni”. Un titoletto che subito mi piacque, in un autunno, di notte, preso dalla voglia sfrenata di capire cosa veramente avrei dovuto farne della mia vita, o meglio capire da dove venivo, e che ci facevo in quel formicaio nella provincia emiliana.

 

Spesso quando faccio esperienze, come quella tunisina ad Hammamet, i miei ricordi mi portano sempre a quelle notti. A quella notte, in cui trovai finalmente una piccola luce, dentro quegli infiniti numeri binari che rendono il mondo così vicino e globale, pieno di grandi occasioni per tutti.

 

Partii i primi di giugno, da Bologna; un’ora e venti per tornare nel paese dove sono nati i miei, anzi, dove sono nato io. E’ sempre una strana sensazione, ma l’idea di viaggiare verso casa, quando casa non è, ha tanto di emozionante. Due bei passaporti in mano, nessun problema per attraversare i bei confini dell’Oceania. Arrivato, dopo la dogana e una bella perquisizione stile Stasi, mi rollo una sigaretta di fronte all’ingresso del nuovo aeroporto. Un poliziotto con un mitra voluminoso mi chiede se quella che sto fabbricando è marjuana oppure no. Al mio diniego, mi dice “bravo, quella lasciamola là, in Europa”. Già, perché in Tunisia il regime di Ben Ali ha lasciato una bella eredità ai tanti fumatori di Hashish. Una norma che condanna ad un anno di carcere anche solo con gli esami del sangue positivi alla sostanza, senza nulla in tasca. Più cinquecento euro di multa, un bel deterrente per gli oppositori politici. Perché te la possono anche mettere in tasca, all’occorrenza. Questo nel paese nord africano maggior produttore di alcolici.

 

Fu questa persona incontrata a Milano a parlarmi della possibilità di recarmi in Tunisia per una settimana, nella meravigliosa Hammamet, per un workshop organizzato dal Youth Council of Europe. Giovani dalle più svariate provenienze, che si ritrovano in un paese con una popolazione giovanissima, alle porte d’Europa. La ‘location’: una colonia estiva fatta costruire per gli orfani dal primo presidente tunisino, Boughiba, a nord del centro di Hammamet. Un luogo immerso in un quartiere benestante, con attorno grandi ville ancora in costruzione, una atmosfera deserta e poco lontano da lì, sulla stessa spiaggia, il vecchio castello estivo di Ben Ali.

Mai avrei pensato di poter essere definito ‘figlio della diaspora’; figlio di migranti, sì certo, ma per me la diaspora è sempre stata solo quella ebraica. Nonostante il gran numero di migranti che ha generato il mio paese e i ricordi che avevo del grande palazzo di vetro, ora abbandonato, nei pressi di avenue Habib Bourghiba.

Il palazzo era quello del rassemblement constitutionelle democratique; il partito di droite che reggeva con pugno di ferro la Tunisia. Ci andavo con mio padre, per queste assemblee organizzate per i tunisini residenti all’estero. Se eri tunisino e avevi bisogno di rinnovare le tue carte, la tessera del partito era vivamente consigliata. Anche da mio padre stesso. Ora quel palazzo è abbandonato; l’ultimo attacco di matrice terroristica, contro un bus della guardia presidenziale, è stato fatto proprio lì di fronte.

 

C’è chi ha ben chiaro le matrici degli attacchi, e forse anche le finalità. Una moderna strategia della tensione, già praticata negli anni settanta in Italia, e che si ripropone, probabilmente con a capo gli stessi attori. E gli stessi obiettivi, volti ad una deriva autoritaria in un paese che da quasi cinque anni ha conquistato la democrazia. Ed anche un premio Nobel.

 

A giugno, faceva già molto caldo. La giornata si articolava in diverse attività al mattino. Eravamo coordinati da ragazzi poco più grandi di me, che ci guidavano per raggiungere alla creazione di una associazione, Bras Tunis, un acronimo che sta per ragazzi e ragazze per lo sviluppo culturale della Tunisia.

In quella occasione ho conosciuto ragazzi palestinesi, ungheresi, francesi, italiani e tunisini della capitale. Nelle conversazioni con loro parlavo di politica, cultura e dalle loro parole traspariva l’incredulità di fronte a certe scelte di loro coetanei. Alcuni dei ragazzi di Tunisi avevano compagni di corso che erano andati a combattere in Siria. Ragazzi normali, come tutti, ed erano increduli di fronte alla decisione di questi. Morti in combattimento. “Andare a morire per chi? Per una causa che non è la nostra”.

Conoscere persone che hanno una storia simile alla mia, figli di migranti in tanti paesi d’Europa o addirittura canadesi, mi ha fatto sentire meno solo. Avere a che fare con la tempra dei ragazzi palestinesi, mi ha fatto sentire coraggioso la metà di quel che sono.

Il terrorismo in Tunisia viene percepito come un attacco al cuore del paese e non come un attacco ai Cristiani o ai miscredenti, come viene dipinto dai media occidentali. Forme di paura similissime a quelle sentite in Europa, ma raccontate in maniera differente, forse per farle aderire meglio al bisogno che ne ha il potere, a nord o a sud del mediterraneo.

Coprifuoco e riduzione delle libertà individuali in primis.

 

Solo ora mi è passata l’ebbrezza di quello che ho vissuto in quella prima settimana di giugno. Tornando a casa ripenso allo sguardo dei tassisti nei confronti delle ragazze che erano con noi, di sera.

E più di allora penso che la repressione, qualunque essa sia, sia peggio di qualunque consuetudine culturale.

Penso alla situazione degli omosessuali del mio paese, al divieto di avere relazioni fuori dal matrimonio, ad una polizia che ancora tortura e controlla le menti più attive del paese.

Al contempo un paese così giovane, che ha affrontato una rivoluzione, non può fermarsi e deve mutare; muterà, presto con l’aiuto di noi giovani, dentro e fuori la Tunisia.

 

Quei giorni c’era la luna piena. Pensando alla spiaggia di notte scrissi questa poesia

 

Una sfera nel cielo, due in terra

sulla sabbia brillano

ed un odore le testimonia

 

lo stesso circolo vizioso

in un turbine di sangue

una maledizione oziosa

non voglio parlarne

 

quasi mai lo faccio

dicevo sempre a te

mentre ascoltavi segreti

che non lo erano già più

bruciamo tutto

bruciamoci-tutti

 

Oussama Mansour, protetto da Creative Commons,  Licenza Creative Commons  Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

 

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Oussama Mansour nasce nel 1991 in Tunisia. Si trasferisce in Emilia all’età di sei mesi. È stato uno dei blogger di Yalla Italia, il blog delle seconde generazioni. Si occupa di multicultura e integrazione.

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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