“Frammenti” dall’inedito “Romanzo indigenista” (Loretta Emiri)

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Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai! “Sei personaggi in cerca d’autore” – Luigi Pirandello

 

Nata nell’era pre-informatica, a una quasi settantenne non dovrebbe venire in mente di creare un blog. Nella mente di Ambretta s’insinuò l’idea di trasformare un vecchio sito e due blog, di cui uno in portoghese, in qualcosa di meno frammentato, più incisivo, esteticamente più accattivante. I contenuti dei tre spazi web sono confluiti abbastanza in fretta nel nuovo. Ciò che ha quasi mandato fuori di testa la velleitaria settantenne sono stati i tentativi infiniti che ha dovuto fare prima di riuscire a standardizzare le varie parti e così arrivare a una veste grafica soddisfacente, dove ogni particolare è in sintonia con i restanti, perché all’aspetto fisico delle sue creazioni ha sempre attribuito la stessa importanza dei contenuti. Durante questa fase di progettazione estetica, più volte ha pensato che non ce l’avrebbe fatta. Sull’orlo di una crisi isterica, si è specchiata per dirsi di rassegnarsi, piantarla, darsi per vinta. Lo specchio, però, le ha rimandato l’immagine di una tartaruga, così ha capito che doveva solo prendersi il tempo necessario, senza fretta né patemi d’animo.

Per riunirvi locandine, articoli di giornale, fotografie, corte frasi a ricordo di persone e situazioni, nell’elenco delle categorie Ambretta ha creato la voce “Frammenti”; questa l’ultima delle notizie inseritevi: “Il 12 luglio del 2014 ho pubblicato, sulla pagina di un’associazione di servizio e cooperazione con il popolo yanomami, la versione pdf, scaricabile in dawnload, del mio Dizionario Yanomami-Portoghese. Il 15 luglio del 2017, la scienza ha operato il miracolo di resuscitare il post che, in dieci giorni, è stato condiviso da duemila e trecentodieci persone”. Il risultato è stato che, in queste soffocanti giornate, su Ambretta è caduta una pioggia rigeneratrice di mi-piace, cuoricini, faccine, simboli, alcuni dei quali incomprensibili per la verità. Sono arrivate anche fresche considerazioni sull’importanza e validità che l’opera ha per linguisti, indigenisti, alleati degli yanomami. I più gratificanti sono stati commenti del tipo: “questo libro è oro”, “materiale ricchissimo”, “voglio imparare la lingua yanomami perché sto iniziando un dottorato nell’Università Federale di Minas Gerais sugli heri e altri canti collettivi yanomami”, “questo suo Dicionário Yãnomamè-Português, mi sembra (anche) pura poesia”. Sono persino emerse nuove applicazioni: una francesina ha scritto che le sarà di grande utilità nello scrivere il prossimo libro per bambini, attraverso il quale vuole mettere in risalto l’infanzia tra gli yanomami; una coppia brasiliana ha selezionato dei termini fra cui scegliere il nome per il figlio in arrivo; un fumettista, anche lui brasiliano, ha dichiarato di trarne spunti per il prossimo lavoro. La seconda vita della ricerca linguistica sta regalando ad Ambretta gioie ed emozioni profonde, e da esse trae la forza per insistere nelle sperimentazioni informatiche; ha deciso, infatti, di trasformare in scaricabili versioni pdf tutta la sua produzione, in modo da socializzarla attraverso i nuovi spazi web che hanno dimostrato interesse e disponibilità a farlo. A suo tempo, due persone che con gli Yanomami ci lavoravano qualificarono il lavoro di Ambretta con i termini “dizionarietto” e “semplice dizionario”. Sminuenti, banalizzanti, riduttive, spregiative, le definizioni la raggiunsero come pugnalate: se la valanga di riconoscimenti ha contribuito a rimarginare le ferite, le cicatrici restano e fungono da promemoria, tenendola in guardia contro la meschinità di cui l’animo umano è capace.

La differenza che corre tra l’utilizzo dell’informatica per uso lavorativo-sociale e quello individuale, per Ambretta è costante motivo di riflessione. Richieste di amicizia da parte di chi le abita vicino, a cui mai è venuto in mente di farle o ricambiare una visita, la indignano. Ricevere sms, invece di telefonate, la rattrista. L’invio di audiovisuali da parte di chi crede possano sostituire il gesto di andare a trovarla, la deprimono. La malia del digitale ha stregato anche quelle che erano, o sembravano essere, menti pensanti. Eccitati e sovraesposti al perenne collegamento con tutto e tutti, cosiddetti amici le scaricano addosso ogni sorta di film, passeggiate, gite, magnate, bevute, spettacoli, concerti, eventi, ma mai a nessuno di loro viene in mente di invitarla per parteciparvi insieme. Pur riconoscendo, a parole, l’importanza di relazioni vere ed empatiche, i suddetti presunti amici non si sottraggono al marasma informatico per cui, nei fatti, si comportano esattamente come qualsiasi persona di plastica; non trasformano la conoscenza di valori in azioni quotidiane, in personale testimonianza di vita.

È l’indifferenza degli altri nei nostri confronti che ci causa sofferenza. Per non permetterle di farci del male, la solitudine dobbiamo sceglierla, amarla, coltivarla, trasformarla in imprescindibile esperienza umana. Essa deve assurgere a dimensione psicologica specifica, che stimola creatività e pensiero critico. Stare da soli non vuol dire sentirsi soli, ma separarsi dalle cose e dalle persone di plastica per accedere senza intralci a introspezione e immaginazione. Il silenzio è conturbante, sensuale: ci parla di malinconie, angosce, speranze, timori; ci ricorda quali sono i nostri desideri più autentici; nasconde, indica, allude, avvicina, allontana i temi scottanti che agitano il nostro essere; ci fa capire che il valore più prezioso della solitudine è quello di arricchire la vita interiore.

In assenza di veri legami, oggigiorno l’intimità è esteriorizzata attraverso i social network. Scorporati dalle emozioni, i messaggi mediatici bruciano talmente in fretta che non  raggiungono né memoria, né cuore. Altrettanto vero è che l’uso malsano dei social network ha deteriorato i rapporti umani trasformandoli in legami di plastica. L’incomunicabilità, i vuoti interiori sono malformazioni congenite con cui l’uomo viene alla luce; peccato che la tecnologia contribuisca ad aggravarle, invece di curarle. La solitudine, il silenzio, la comunicazione vera, sembrano essere un’esigenza interiore per una sempre più ristretta cerchia di persone. “Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo”, diceva Blaise Pascal. In due soli mesi di rodaggio ed esercitazioni, Ambretta ha raggiunto un invidiabile equilibrio interiore, per cui proprio in questo momento, mentre scrivo, ha chiesto a Solitudine, che ha accettato, di andare a vivere con lei. Divideranno uno spazio fisico minuscolo, infinito sarà quello spirituale di cui disporranno. In attesa della misteriosa e sempre più vicina morte, realizzeranno insieme incisioni rupestri. Si sono trovate perfettamente d’accordo anche nella scelta del soggetto: racconteranno la storia di una donna di loro conoscenza per rendere visibile e meno insulso il di lei passaggio sulla terra.

 

* Il brano “Frammenti” è uno dei capitoli dell’inedito Romanzo indigenista.

 

Grammatica pedagogica della lingua yanomami, download:

https://www.dropbox.com/s/9xoi1vl2qipf8xu/Gramática%2C04-08-17.pdf?dl=0

 

Dizionario Yanomami-Portoghese, download:

https://drive.google.com/file/d/0B83FBgLPCa0UdVJhRndPMXRtdzA/view

 

 

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Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il “Dicionário Yãnomamè-Português”, il libro etno-fotografico “Yanomami para brasileiro ver”, la raccolta poetica “Mulher entre três culturas”. In italiano ha pubblicato i libri di racconti “Amazzonia portatile” (Manni, 2003), “Amazzone in tempo reale” (Livi, 2013) – che ha ricevuto il premio speciale della giuria del Premio Franz Kafka Italia 2013, “A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta” (Arcoiris, 2016), il romanzo breve “Quando le amazzoni diventano nonne” (CPI/RR, 2011). È anche autrice dell’inedito “Romanzo indigenista”, mentre del libro “Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più”, anch’esso inedito, è la curatrice. La scrittrice Loretta Emiri è una delle macchiniste fondatrici e ha collaborato particolarmente al numero zero della rivista. Si è ritirata dal gruppo operativo a ottobre del 2016.

 

L’immagine in evidenza è tratta dalla fotogallery di questo numero “Utu yanomami e la foresta amazzonica” dedicata a nove foto di Loretta Emiri scattate trenta anni fa tra gli yanomami, accompagnate da un breve saggio.  

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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