“Tutto avrebbe immaginato ma non lasciare il suo paese, portandosi solo uno zainetto, come una criminale”, racconta la giornalista e scrittrice italo-siriana Asmae Dachan nel suo nuovo romanzo “Il silenzio del mare”, edito da Castelvecchi, presentato a Bologna il 12 dicembre nell’evento organizzato da Amnesty International Unibo e da La Macchina Sognante. Le peripezie di due fratelli siriani, Fady e Ryma, che devono lasciare il paese perché minacciati dal regime, si intrecciano a tematiche spirituali, legate all’empatia e alla solidarietà, nella cornice di una primavera araba scoppiata in Siria nel 2011 e successivamente trasformatasi in una sanguinosa guerra civile e non solo.
Il pomeriggio letterario con Asmae ha visto intrecciarsi spunti storici sull’inizio della crisi siriana, letture di punti cruciali del romanzo e video messi a disposizione da Amnesty Unibo sulla condizione delle carceri in Siria, le deportazioni di civili dalla città di Aleppo verso campi profughi sgangherati, oltre ad agghiaccianti immagini dei quartieri bombardati di Homs girate da un drone, che scaturiscono una certa angoscia nello spettatore.
La crisi siriana non è cominciata nel 2011: con una sola famiglia, al-Assad, che detiene il potere già dalla fine degli anni ’60, era prevedibile che il popolo, privato dello stato di diritto e del pluralismo che ogni democrazia necessita, si sollevasse contro quel medico, Bashar, che aveva studiato a Londra e su cui la popolazione aveva riposto ogni speranza di cambiamento sociale. Ma invano, perché il figlio si è rivelato essere come il padre Hafiz e anche peggio, dopo i crimini perpetuati contro i civili che doveva rappresentare.
Un cortometraggio d’animazione concesso da Amnesty Unibo ripercorre le vicende di un ragazzo siriano in una prigione, condannato all’impiccagione per una parola di troppo contro il regime. Si tratta del temutissimo carcere di Saydnaya, a nord di Damasco, dove circa 17mila siriani sono stati condannati a morte; la maggior parte dei suoi detenuti sono giovani, che raramente ne escono, se non hanno una famiglia ricca che possa corrompere i poteri forti.
Una tragedia, quella di un popolo, che l’Onu ha definito come la “peggiore crisi umanitaria dopo la Seconda guerra mondiale”, si intreccia con il viaggio alla ricerca di salvezza dei due giovani fratelli. Non è una fuga per codardia: erano siriani coloro che manifestavano pacificamente, come lo erano anche i ragazzi che imbracciavano le armi per il regime. Molti hanno preferito l’esilio per evitare di combattere contro i fratelli e per dare un futuro ai propri figli, col rischio però di non potere più tornare nelle città d’origine, che oggi si stanno ridisegnando etnicamente e demograficamente.
Il mare diventa protagonista nelle pagine di questo romanzo, in cui il silenzio è metafora dell’indifferenza, indifferenza verso i malati e gli sfollati. Coloro che decidono di attraversare il mare sono persone disperate, che vendono tutto ciò che possiedono per potersi pagare ogni singola tratta, dalla Siria all’Egitto, poi da qui alla Libia e infine verso l’Italia, porta d’ingresso per l’Europa. E come spesso succede il mare si prende molti di questi viaggiatori disperati. Nel romanzo Fady, partito con la sorella, arriverà sulle coste italiane da solo e dovrà imparare a vivere senza Ryma, inglobata tragicamente dal silenzio.
Per gentile concessione di Saida Hamouyehy dal suo blog Saida Amou, l’articolo “Alla ricerca di salvezza, nel silenzio del mare”
Stralci dal romanzo “Il silenzio del mare” di Asmae Dachan, Castelvecchi, 2017
La partenza
Il giorno della partenza era finalmente arrivato. Ryma raccolse le sue poche cose: uno scialle, un paio di ciabattine e un astuccio con qualche prodotto per l’igiene personale. Le chiuse in una sacca di tela che inserì in uno zaino. Non vedeva l’ora di lasciare quell’orribile pensione in cui avevano passato l’ultimo mese e ripartire. La scelta di raggiungere la Libia per lei e il fratello era stata forzata, ma non sarebbero potuti rimanere un giorno di più in Egitto, il Paese che era stato la prima tappa della loro fuga dalla Siria. Con il caos politico che era scoppiato, non c’era più spazio per loro e dopo l’ennesima aggressione si erano uniti a un altro gruppo di siriani e avevano attraversato il deserto a bordo di un pick-up, pagando fior di quattrini a due uomini dall’aspetto ben poco rassicurante. Ryma aprì il ciondolo che portava al collo in cui erano custodite due foto. Sentì un nodo alla gola; le mancavano i genitori, le mancavano tutti i parenti. Aveva nostalgia della Siria, della sua stessa vita. Tutto avrebbe immaginato, tranne che un giorno sarebbe dovuta fuggire dalla sua casa, portandosi via solo uno zainetto, come una criminale. Ma lei non aveva commesso alcun reato. […]
Il rumore dell’acqua
Quella sensazione non le era del tutto nuova. Essere immersa nell’acqua e farsi dondolare dolcemente, senza poter decidere dove andare. Guardarsi intorno e vedere una trasparenza infinita e pensare che la vita, in fondo, inizia e può finire lì. Peccato non avere memoria dei primi istanti della propria esistenza, non poter ricordare quell’acqua calda e piacevole che l’aveva avvolta e protetta quando era nel grembo materno. L’acqua che la faceva oscillare ora era salata e fredda. Non sentiva la voce dolce della madre che, accarezzandosi il ventre, le raccontava i suoi sogni di giovane donna e i suoi progetti di vita. Aveva sentito delle grida, ma più il suo corpo andava a fondo, più sentiva silenzio. Ryma sperava di poter risalire, di poter riemergere; sapeva nuotare bene, ma aveva le gambe come immobilizzate. Forse era per via di quella ferita alla testa che continuava a sanguinare. Voleva chiamare Fadi, ma nonostante gli sforzi non riusciva a sentire neppure la sua stessa voce. Chissà dove la stavano portando le onde, chissà dove si sarebbe fermato il suo corpo, quel corpo che ormai non controllava più.
Quella, dunque, era la morte. Rendersi conto di tutto, essere coscienti, ma non avere più alcun controllo dei propri gesti, né alcuna possibilità di comunicare. Ryma si rendeva conto che il suo corpo galleggiava senza meta. Il volto verso il basso, le braccia e le gambe aperte, i vestiti rigonfi. Ma lei non voleva morire così. Aveva solo diciotto anni e sognava la libertà; ora era un cadavere trasportato dall’acqua. Dunque tutto era finito per sempre in quel modo. Ryma era morta. Non avrebbe più potuto esprimersi e far sentire al mondo la sua voce, la voce della libertà, la voce dei giovani siriani che avevano sfidato l’oppressione con la sola forza dei propri canti. Tutto era finito così. Lei era caduta nelle acque di quel mare che aveva cercato di attraversare per mettere in salvo la sua vita. Il suo viaggio finiva lì, in quella zona di nessuno, lontana dalla sua amata Siria, lontana dalle coste dell’Italia. Era morta da sola, senza l’affetto di nessuno che potesse stringerle la mano mentre spirava. Intorno al corpo ormai senza vita di Ryma solo il silenzio, musicato dal primordiale e ora funebre rumore dell’acqua.
[…]Il mare. Il mare era capace di tenere per sé segreti molto importanti; anche il destino delle sue vittime prescelte. Come aveva fatto col padre di Azzurra e con Ryma. Il mare non rispondeva né agli interrogativi, né ai pianti di chi, per amore e per pietà, chiedeva una risposta. Come Fadi, che supplicava di sapere se davvero Ryma fosse in fondo a quello specchio d’acqua e non sarebbe più tornata. Come Azzurra, cresciuta interrogando ogni onda, ogni gabbiano, ogni nuvola sul destino di suo padre, partito una mattina per lavoro e mai più tornato. Il silenzio del mare era un’illusione tramutata in attesa estenuante, ma anche una sinfonia leggera che accarezzava le anime in pena e a volte le faceva sentire vicine.
Per gentile concessione dell’autrice Asmae Dachan.
Per approfondire la conoscenza della figura e dell’opera della scrittrice e giornalista, seguire il suo blog Diario di Siria.
L’immagine in evidenza è un fermo dal book trailer de “Il silenzio del mare”.