estratti da “madrelingua” (Julio Monteiro Martins)

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Cosa faccio nella vita, io? [bella domanda]. Ho fatto venti o trenta cose diverse per molto tempo, fino ad accumulare un po’ di denaro [mentre io invece…], che ho investito saggiamente [in cosa?] permettendomi di arrivare al mio settimo decennio di esistenza come amante delle belle cose, [ma va…]. È giusto, no? Che almeno al terzo atto si possa sentire un po’ di musica [questa poi…].

[ah, prima che mi dimentichi, voglio aggiungere qualcosa sul nome di questo personaggio: Mané. Mané Garrincha è stato un grande calciatore del periodo della mia infanzia, qualcuno lo ritiene addirittura il più grande. Tutti noi bambini brasiliani sapevamo a memoria il suo nome completo: Manoel Alves dos Santos. Un onore concesso a solo due eroi del pallone. L’altro era Pelé: Edson Arantes do Nascimento.]

Proprio ora, per esempio, ascolto i Lieder di Richard Strauss cantati da Jessye Norman. Come sono belli! [Accipicchia!] Strauss aveva 85 anni quando li ha composti, e si preparava serenamente per il Grande Nulla (è vero… queste cose non si sanno mai…) [simpatico, eh?…] musicando le parole di Hermann Hesse e di altri scrittori e poeti. ”Im Abendrot” è il suo saluto finale [risvolto di copertina del CD] e si sente la punta del suo piede che saggia timidamente quelle nuove acque [ma allora, dove hai detto che investi i tuoi soldi, bello?].

Allora, non so se la mia risposta sia stata chiara: sono un consumatore di bellezza. Compresa quella delle idee [addirittura]. Mi piace tanto leggere e ora posso finalmente tirare giù dagli scaffali tutti quei libri comprati negli anni e mai sfogliati. Per alcuni mi concedo il diritto di non aprire la porta, né di rispondere al telefono a nessuno, nemmeno al mio amico Salvo, e neppure a K43.

Ho proprio bisogno di scoprire certe cose. Sono un ”anziano in allestimento”.

 

 

Salvo ora pensa solo a Lui. Ho cercato di spiegargli che quando si pensa ossessivamente ad una persona – non importa se bene o male, è lo stesso – quella diventa il centro della propria vita, e arriva a dominarla ossessivamente. Non possiamo permetterci di essere dominati da persone che valgono meno di noi. Sarebbe stupido. E c’è di più, perché l’ossessione è una forma contorta, sinuosa, di amore. È un segno di amore – non c’è altra parola – regalare una parte così vasta del proprio territorio soggettivo a qualcuno. E a quello lì, poi… Ho cercato di dirgli che la prima differenza fondamentale tra schiavo e padrone è che il primo pensa in continuazione al secondo, mentre il secondo non sa nemmeno dell’esistenza del primo.

Ma Salvo è stato sequestrato dall’immagine di Lui, onnipresente. È diventato un cittadino-zombie, come tanti, ed io non so come rompere quest’incantesimo.

[ricordo che ho esitato molto – anche per le ragioni esposte qua sopra – prima di fare tutti questi riferimenti al Cavaliere del Lavoro Silvio Berlusconi. Ma mi sono deciso perché è ormai chiaro che lui – o Lui, in questo libro – non è per l’Italia solo il capo del Governo, o il fondatore di un partito di destra che è arrivato al potere, ma una figura simbolica di grande penetrazione, una sorta di ”esca” per l’inconscio collettivo degli italiani – e non solo – che finirà per definire questo scorcio della Storia del paese, com’è successo a Mussolini nel Ventennio, a Garibaldi o Lorenzo de’ Medici. Si tratta di un archetipo che si ripropone con volti e ideologie diverse lungo i secoli, e questo non c’entra niente con l’obiettiva grandezza o meschinità della loro figura umana. La narrativa deve anche fare i conti con i personaggi del suo tempo. Si potrebbe forse immaginare Il rosso e il nero di Stendhal o Guerra e pace di Tolstoj senza lo spettro di Napoleone sullo sfondo?]

 

 

Prima di presentarla a Salvo, ho avuto una sorta di “storia” con Mercedes, ma lui non l’ha mai saputo. Siamo usciti insieme due volte. La prima l’ho portata a mangiare una pizza dalla vecchia pazza, la proprietaria di un ristorantino che urla ai clienti quando arrivano, porta le richieste sempre sbagliate e ordina di alzarsi e andare via quando le pare. Ma si mangia benissimo, una pizza da favola, e in fondo è anche divertente [la pizzeria esiste, a Lucca. Ci ho portato Lorenzo la sera prima di scrivere questo brano. La storia della vecchia pazza è ancora più interessante: mi hanno raccontato che in gioventù era stata l’amante del miglior pizzaiolo della città, il quale prima di morire le aveva insegnato i segreti di quella pizza straordinaria. Alla sua morte si era sposata, e poi aveva aspettato quarant’anni il momento di restare vedova per mettere finalmente in atto il suo prezioso apprendistato, aprendo quella pizzeria: poiché il marito aveva dei sospetti su quell’antico rapporto, lei non aveva potuto farlo prima per non avvalorarli.]

Poi è stata la colombiana a portarmi in un bar di certi argentini dai capelli lunghi e selvaggi, che servivano una batida de coco stupenda, bianca e immacolata come il latte, ma con effetti tremendi a scoppio ritardato [più pericolosa della caipirinha]. In una di queste esplosioni alcoliche siamo arrivati a baciarci, ma poi niente. Avevo capito sin dall’inizio che qualsiasi uomo fosse entrato nella sua vita in quel momento avrebbe dovuto sedersi sulla panchina delle riserve, e avevo capito anche – per questo serve avere sessant’anni! [ma è meglio non averli ancora] – che la sua vulnerabilità e la sua insicurezza avrebbero potuto essere mitigate soltanto da un uomo ancora più insicuro e vulnerabile di lei. E Salvo era perfetto. Un uomo più sereno l’avrebbe fatta sentire, per contrasto, la più miserevole delle creature.

Volete sapere chi era il suo ”uomo stabile”? Il proprietario, quarantenne e sposato, di un’antica gioielleria fiorentina ereditata di recente [mi ricorda il personaggio farmacista di Dona Flor e i suoi due mariti, di Amado]. Un uomo grigio, tirchio, metodico, frustrato e conformista. Mercedes era la sua unica trasgressione, e gli bastava e avanzava. Per lei, invece, lui era l’àncora principale, quella di prua, da quattro tonnellate [ma questo le spara grosse!] Sì, perché le correnti attorno a lei c’erano, eccome!

La colombiana non era una palpitante creola di Macondo [sempre ‘sta Macondo], ma un personaggio tragico in erba, una desperada [Desperada è addirittura il titolo di un mio racconto, in cui il personaggio, Silvia, una donna in verità molto più instabile e misteriosa della nostra colombiana, è descritta in questo modo: ”Fra qualche minuto Silvia farà svenire sul nostro letto il ‘Personaggio Cattivo’, e quando si sveglierà sarà di nuovo il ‘Personaggio Buono’. Sono due donne, ma solo una è sposata con me, quella buona. L’altra non può sposarsi con nessuno, è un’anima torturata, una desperada, come nei vecchi film western quei banditi messicani un po’ pazzi e scapigliati che avevano un coraggio sovrumano, perché non avevano più niente da perdere eccetto la loro vita, che ormai non valeva quasi nulla.”], che nessuna àncora può trattenere. Il suo incubo maggiore è ciò che potrà finire per fare a sé stessa. Il male da cui, in fondo, sa bene che non potrà sottrarsi a lungo.

Oggi capisco che quella sera ci siamo baciati per tenere impegnate le labbra e non dirci quelle verità l’una sull’altro che ci pendevano ormai dalla punta della lingua.

Ma nemmeno questo è del tutto vero. C’è un dettaglio – che non è mica un dettaglio – a cui finora non ho accennato: Mercedes è bella. Molto. Quel suo mezzo bicchiere di sangue africano le ha modellato labbra carnose, zigomi sporgenti, un sudore odoroso come incenso [ci risiamo]. Forse per questo l’ho baciata all’uscita dal bar. Come avrei potuto resistere, per di più annebbiato dalla batida de coco degli argentini? [ti capisco].

 

 

Vi ho raccontato della donna del mio amico e ora è giusto che vi racconti della mia [in quest’ordine…].

Anche K43 è una bella donna, ma un tipo molto diverso da Mercedes: toscana, di pelle bianchissima e capelli e occhi neri, tanto seria e tanto profonda pare la donna mia, e non ha paura di niente.

E perché allora non lascia il marito per venire a vivere con te? – potresti chiedermi [ma chi se ne frega?] [ok, smetto, smetto]. La ragione è che non vuole distruggere quell’uomo che dice di amarla sopra ogni cosa [questo è quello che lei racconta a te], ma anche perché – va detto – non le ho mai chiesto di farlo. Mi ci vedete a cominciare a fare il marito ora, imparando i rudimenti di questo ingrato mestiere? A volte è tardi per certe cose [e questo è ciò che tu racconti a lei], e poi non ho voglia di aprire la mia vita a un’intimità full time, che non si sa mai quando si trasformerà in banale promiscuità [e perché mai?]. Lasciatemi stare.

Lei è un’apprendista, una mia discepola, diciamo [ah sì?], in questo mio nuovo mestiere di consumatore di qualità [eh, dai…]. Anche K43 ha sempre avuto una forte, naturale inclinazione verso ciò che è bello (anche verso quello strano tipo di bello che si maschera da brutto per essere più esclusivamente nostro) [non ce l’hai mica un esempio?]. Ma il suo sguardo, il suo udito, la punta delle sue dita necessitavano di un ulteriore affinamento per riconoscere ed apprezzare anche quelle opere straordinarie che sono ricamate sul grigio, sul monotono, sulla noia. Doveva languire e rasserenarsi fino a poter godere di Bergman o di Godard, di Musil e di Guimarães Rosa, di Debussy e di Sibelius [”du’ palle”, direbbe qualcuno che conosco…]. Del buon gelato alla crema di Venezia senza lo sciroppo sopra.

Credo lei abbia capito subito che io, Mané, avrei potuto diventare suo maestro nei piaceri sottili [!] quando, la prima volta che è venuta a casa mia – era una giornata afosa di mezz’estate – le ho offerto un bicchiere d’acqua che ha bevuto in una sola sorsata, e alla fine le ho chiesto:

– Ti è piaciuta?

– Cosa?

– Quest’acqua.

– E che cos’ha?

– Non è molto fredda né molto gassata. Cioè, non devi fermarti a metà del bicchiere. È perfetta per chi ha molta sete [e questa?!].

– Infatti, ripensandoci, mi è sembrata proprio perfetta. Grazie [che carina, no?…].

Non sono molti gli uomini che possono vantarsi di aver conquistato una giovane donna bellissima con un bicchiere d’acqua, vero? [modesto, l’amico]. Ovviamente non è stata l’acqua [ovviamente…], ma la sua qualità, la promessa di altre future qualità che quell’acqua le sussurrava [va be’…].

 

 

L’irrimediabile nostalgia della patria che impediva ai calciatori brasiliani di adattarsi in Italia – la saudade – ha regalato agli italiani questa bella parola della mia madrelingua [già, il titolo del libro, è vero…] (in passato. Oggi i calciatori guadagnano milioni di euro e rimangono in Italia senza fare problemi [ma a volte li fanno, questi ingrati]. Altro che saudade!). Ma c’è un’altra parola brasiliana intraducibile che ho dovuto usare per spiegare a me stesso cosa mi attirava di più in K43. Si tratta di sacanagem.

È una parola con diversi significati, e forse il più utilizzato è quello di ”fare un torto”, o fregare qualcuno, quando viene preceduta dal verbo ”fare”: fazer uma sacanagem com… Ma quello che in questo caso mi interessa è l’altro senso, quello sessuale. Sessuale sì, ma non carnale o fisico, bensì spirituale, psicologico. Sacanagem è l’atmosfera complice che si crea tra due persone, silenziosamente, in cui prevale un’intensa comunicazione di carattere sessuale: una sorta di energia dell’istinto, del ”mondo del basso” nelle parole di Bachtin [sapevo che un giorno mi sarebbe servito], che irrompe dentro un rapporto formale, sociale, insipido. Si dice: começou a rolar uma sacanagem entre os dois (letteralmente: è cominciata a dispiegarsi una sacanagem tra quei due), per dire che uno spirito lascivo, lubrico, carico di desiderio sessuale (ma senza l’innamoramento), pieno dell’urgenza di nascondersi da soli da qualche parte, è comparso e si è affermato senza parole tra due persone. È questa la sacanagem, la figlia prodiga e gioiosa della colpa cattolica e del politicamente scorretto, la più piacevole delle trasgressioni, possibile, a portata di mano, basta che si trovi subito uno sgabuzzino, una soffitta, un garage, un cinema quasi vuoto.

K43 aveva lo sguardo da sacanagem, sempre, agli antipodi degli occhi sbarrati di Mercedes. E lo aveva dalla mattina alla sera. Uno sguardo invitante, quasi pornografico, che diventava più intenso quando, per contrasto, era più seria l’espressione del suo volto. Uno sguardo che diceva che lei era lì a fare finta di interessarsi a tutte quelle chiacchiere, mentre in verità l’unica cosa davvero interessante, purtroppo, non poteva essere messa in scena in quel luogo, in quel momento. Ma prima o poi, l’occasione sarebbe arrivata, e allora…

Col tempo ho capito che quella, la sacanagem, era una caratteristica del suo sguardo, non della sua anima, che invece spesso era ben distante dalle cose della sessualità, e si concentrava in problemi astratti molto complessi. Ma questa scoperta non è riuscita ad affievolire gli effetti di quel suo sguardo sull’eruzione dei miei istinti.

Se questa non è una buona ragione per fare entrare una donna nella tua vita, allora non so proprio quale altra lo sarebbe.

 

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JULIO MONTEIRO MARTINS (1955-2014) è nato a Niterói (Brasile). È stato professore di scrittura creativa al Goddard College (Vermont) dal 1979 al 1980, all’Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro) dal 1982 al 1989, all’Istituto Camões di Lisbona nel 1994 e alla Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro nel 1995. Ha ricevuto il titolo di “Honorary Fellow in Writing” dall’Università di Iowa (International Writing Program) nel 1979. Ha insegnato Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria all’Università Degli Studi di Pisa e diretto il Laboratorio di Narrativa, parte del Master della Scuola Sagarana, a Pistoia. Tra i fondatori del partito verde brasiliano e del movimento ambientalista “Os Verdes”, avvocato per i Diritti umani per la difesa dei meninos de rua dopo la Strage della Candelaria. Fondatore e direttore della casa editrice Anima, a Rio de Janeiro, che ha pubblicato il maggior numero di opere prime di autori brasiliani tra il 1983 e i 1987 e di numerose traduzioni di testi inediti e rari. Giunto in Italia, ha continuato questo lavoro di scavo fondando la rivista online di letteraturaSagarana. In Brasile ha pubblicato raccolte di racconti, romanzi e saggi: TorpaliumSabe quem dançou? (Sai chi hanno beccato stavolta?), Artérias e becos (Arterie e vicoli ciechi), BárbaraA oeste de nada (A ovest di niente),As forças desarmadas (Le forze disarmate), O livro das Diretas (Il libro della democrazia ritrovata), Muamba e O espaço imaginário (Lo spazio immaginario). In Italia ha pubblicato Il percorso dell’idea (1998), Racconti italiani(2000), La passione del vuoto (2003), madrelingua (2005), L’amore scritto (2007). Con Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo ha pubblicato inoltre il volume Non siamo in vendita – voci contro il regime (2001). È stato anche autore di opere teatrali (L’isteria del marmoPer motivi di forza maggioreAula magnaHitler e Chaplin). Le sue poesie sono state pubblicate su varie riviste, fra cui il quadrimestrale di poesia internazionale Pagine e la rivista online El Ghibli, e nelle antologie I confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (2006) e A New Map: the Poetry of Migrant Writers in Italy (Los Angeles, Green Integer 2006). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace. Nel dicembre 2013 è stata pubblicata la sua raccolta poetica La grazia di casa miaTra i libri postumi La Macchina sognante (Besa, editrice, 2015), già al centro del convegno “Tenere accesa la macchina sognante: omaggio a Julio Monteiro Martins” curato a Bologna dal collettivo Multiversi.

 

Foto in evidenza di Teri Allen Piccolo.

Foto dell’autore di Kirby Kaufmann.

 

Riguardo il macchinista

Gassid Mohammed

Gassid Mohammed è uno dei macchinisti fondatori de lamacchinasognante.com. Ha contribuito fino al numero 4 e si è ritirato a dicembre del 2016. Un grande bambino che insegue le farfalle da una vita. È nato a Babilonia, a qualche passo dell’Eufrate. Casa sua è eretta sulle basi della Torre di Babele, nessuno ci crede ma è così. È cresciuto in un piccolo paesino in campagna, con le pecore, le mucche, le galline, le farfalle, le api e tutti gli animali e gli insetti. Tutto il suo corpo è costituito dall’Eufrate, non solo perché ci faceva il bagno ogni giorno per tante ore, ma anche perché le piante e le verdure che piantava e faceva crescere erano irrigate dall’Eufrate. Gli piace molto la natura perché ha passato la sua infanzia e l’adolescenza negli orti e nei campi. Il suo orto aveva una collina coperta di erbe e fiori, a lui sembrava fosse il resto dei giardini pensili. Ovviamente nessuno ci crede, ma c’è poco da fare. Da bambino aveva sempre inseguito le farfalle, e le insegue tuttora, e lo farà per sempre.

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