CENTO CHILOMETRI DI ASFALTO IN MEZZO A CAMPI DI GRANO. Mezzogiorno padano di Sandro Abruzzese, a cura di Roberta Bergamaschi

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Mezzogiorno padano (Manifestolibri, 2015, p. 127, con una prefazione di Vito Teti) è una raccolta di racconti intitolati a personaggi veri o verosimili, non ci è dato sapere in quale misura la componente documentaria sia presente nelle pieghe di esistenze in bilico fra il Mezzogiorno d’Italia e la pianura del Po. Il filo della narrazione segue alcune fra le infinite varianti dello stesso viaggio, il viaggio verso Nord, dove c’è lavoro, assistenza, dove la vita sembra essere possibile. La variabilità dello stesso percorso è ulteriormente sottolineata dal doppio punto di vista di cui l’autore si serve per rappresentare protagonisti e luoghi: la vicenda è allo stesso tempo oggetto del racconto di mogli e mariti, di padri e figli, di chi va e di chi resta. In questa doppia prospettiva appare ancora più profonda la complessità umana di un fenomeno sociale, di una migrazione economica e intellettuale che è scelta libera e indotta; di un incedere spazio-temporale che segna il rapporto con l’Altro, quello di Levinas, di Sonia, di Bologna com’era, del nostro passato.

Così Arturo Menna: “Sono rimasto solo, un’altra volta. E adesso che ho più di cinquant’anni, sono troppo vecchio per partire e troppo grande per sopportare la malora della mia gente, lo sfacelo di una società malata di incuria. […] E più i roghi bruciano, più i miasmi rammentano i soprusi, i fallimenti della peggiore classe dirigente di tutto l’Occidente”; così replica, anche se indirettamente, Gilda Florio Menna, sua moglie, vittima di quegli stessi roghi che bruciano la provincia di Caserta, Cellole, Mondragone, Castel Volturno, Casale, Giugliano, Acerra:

Non possiedo il tuo altruismo

e preferirei la nostra vita,

piuttosto che cambiare il mondo.

Quello che sei ha nutrito ogni singolo giorno,

ma forse, Artù,

non basta per nutrire il mondo.

E io preferirei noi due, piuttosto che nutrire il mondo.

Mezzogiorno padano è la storia di chi nasce con una sola identità e a un certo punto si ritrova ad averne due, e per aver smarrito il senso della semplicità si sente, in fondo, un po’ fallito. Il fallimento inizia con l’atto della partenza, che apre nuovi orizzonti attraverso un processo liberatorio e malinconico. Non è la perdita dell’innocenza dell’adulto che cresce e cambia ad alimentare la malinconia, ma la sua consapevolezza di essere la ruota di un ingranaggio che qualcun altro governa, qualcuno che suddivide il mondo in aree geografiche, in metropoli, periferie e campagne. Scrive Vito Teti nella sua prefazione: “L’algos dei personaggi di Abruzzese non può che incontrare il loro nostos. L’algos come condizione umana e dell’esistenza ha una sua declinazione storica, una sua peculiarità antropologica, una ragione storica e sociale. È l’algos di chi, nato tra Pollino e Basilicata, Gargano e Salento, Caserta e Avellino, Napoli e Irpinia e altri luoghi del Sud, si trova, – rimasto, – a sognare e rimpiangere una vita altrove, che a volte realizza in tarda età, o di chi si è sposato al Nord, a Bologna e Domodossola, a Milano e Ferrara, in quella Pianura Padana dove si sconta un’altra forma di spaesamento.”

copertina Abruzzese

In questa raccolta di racconti lo spazio dirige il tempo, a volte lo divora e lo uccide; il peso dello spazio sull’anima, della geografia sulla storia, è forse il tratto più caratteristico delle esistenze migranti. Si abbandona la propria terra sempre portando se stessi in valigie di cartone legate con lo spago, anche se i materiali non sono più gli stessi, sono moderni e resistenti: ogni bagaglio rivela prima o poi la sua fragilità.

E ciò nonostante Mezzogiorno padano non ci racconta semplicemente in chiave attuale, l’epoca mai del tutto tramontata della grande migrazione interna. Non è l’eco elegiaca di una povertà ottocentesca a commuovere il lettore, a rendere di un’intensità quasi materica la Terra narrata in poco più di cento pagine. Sandro Abruzzese si sofferma piuttosto sul prezzo dell’avvenuta integrazione, che di per sé non è né positiva né negativa, ma che si presenta comunque come il risultato di un movimento in perdita. La distanza è un movimento in perdita, reso stilisticamente in questo romanzo dalla pluralità di voci che si rincorrono da un capo all’altro della penisola: senza la certezza di essere udite, senza la certezza che nei monti scoscesi di fuochi e di frane, ci sia ancora qualcuno in grado di ascoltare, qualcuno che serbi la memoria di ciò che è stato, che regga il capo di un filo che il migrante dipana nel suo cammino. “Ed io non so chi va e chi resta”, scriveva Montale nella Casa dei doganieri.

Ma esiste anche una geografia poetica in Mezzogiorno padano, una geopoesia. È la geografia del ricordo, quella che invade la mente quando ci si dimentica per un attimo di essere partiti. È la geopoesia delle valli del Sud, delle valli dell’Irpinia dove Sandro Abruzzese è nato, dell’Appennino meridionale, che appare invaso dal sole, “colpa della potente luce d’agosto”.

Nelle sue asperità si nascondono antiche speranze di un’Italia diversa, un antico coraggio, quello di Gaetano Salvemini, e una immensa, malinconica dolcezza, quella di Carlo Levi e Rocco Scotellaro che Mezzogiorno padano cita direttamente e indirettamente attraverso uno stile rigoroso ed elegante, una lingua fiera e commossa.

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Roberta Bergamaschi è insegnante di lingua straniera, scrittrice e autrice di manuali di lingua e letteratura per gli studenti delle scuole superiori.

foto Abruzzese

Sandro Abruzzese è nato in Irpinia e vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un Istituto d’Istruzione Superiore. Blogger, fondatore del progetto “Racconti viandanti”, attraverso cui promuove incontri sul tema dell’erranza, collabora con la rivista online Erodoto108. Il viaggio e lo sradicamento sono tematiche che nel suo lavoro si intrecciano alla questione nazionale, meridionale e settentrionale.

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Foto in evidenza di Lucia Cupertino

Foto di Sandro Abruzzese a cura dell’autore

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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