I lettori di LMS avevano già avuto modo di apprezzare la poesia di Iuri Lombari col suo precedente lavoro Il Sarto di San Valentino (Ensemble 2018). Artista poliedrico, saggista, romanziere, poeta e drammaturgo, l’autore torna ora con Dizionario delle notti, opera dedicata in apertura “A Gabriele, che la poesia ti sia perpetua”. Si tratta della dedica al giovane poeta Gabriele Galloni, che ha lasciato un grande vuoto con la sua improvvisa scomparsa il 6 settembre 2020, a 25 anni. Gabriele era nato a Roma nel 1995. Le sue pubblicazioni sono state le raccolte poetiche “Slittamenti” (Augh!, 2017), “In che luce cadranno” (RP, 2018), “Creatura breve” (Ensemble, 2018), “L’estate del mondo” (Marco Saya, 2019), la raccolta di racconti “Sonno giapponese” (Italic Pequod, 2019). Era co-direttore di «Inverso – Giornale di poesia» e autore e ideatore, per la rivista «Pangea», della rubrica “Cronache dalla Fine: dodici conversazioni con altrettanti malati terminali.”
Credo che Iuri sarà d’accordo con la scelta di pubblicare integralmente un testo di Gabriele Galloni in apertura di queste note:
È la notte di san Lorenzo. Prima
che cadano le stelle scavalchiamo
il muretto del centro sportivo.
L’acqua della piscina è ancora mossa;
imita nei suoi guizzi le vicine
luci del campo da calcio; riflette
i nostri visi oltre il bordo, curiosi
del fondale laccato.
“Guarda”, mi dici alzando la tua Tennent’s
verso la Luna, “è come se a momenti
tutti i passati a noi qui ritornassero;
l’acqua si muove, si sta preparando
a ridarceli tutti”. Getti via
la bottiglia ormai vuota. Ci sediamo.
Ignoravamo che una volta nudi
saremmo nudi rimasti per sempre.
C’è qualcuno vicino a noi, ma l’ombra
lo nasconde. Sappiamo a cosa i corpi
servono gli uni agli altri, ché vent’anni
sono bastati a questo.
Abbiamo smesso di parlare; adesso
ascoltiamo soltanto.
Le presenze
non ci temono più; così continuano
i loro giochi a bassa voce, quasi
chiedessero a noi di imitarle.
da L’estate del mondo (Marco Saya Edizioni, 2019) – Gabriele Galloni,
Questi versi, più di tante parole, possono farci comprendere la sincerità di questa dedica di apertura e l’affettuosa vicinanza umana e poetica tra i due.
Nel Vocabolario ci immergiamo profondamente, grazie alla parola essenziale e scavata di Lombardi, nelle notti romane e fiorentine, soprattutto ma non solo, che ritornano nel vissuto del poeta. Non troveremo definitorie condanne, facili assoluzioni, collocazione precisa di tempi (il passato, anche il più remoto è presente nei tagli aperti sulla pelle che ancora bruciano), ma un percorso umano travagliato e complesso, prima ancora che poetico, di una ricerca di senso del vivere alla fine di un tunnel buio di quotidiana ansa e incompiutezza.
I versi del poeta non hanno intenti consolatori, non c’è la ricerca di una falsa commiserazione, piuttosto la rivendicazione di una ricerca umana, con tutti i suoi sbagli, le sue intuizioni, le sue illuminazioni improvvise che lo fanno sentire vicino a tanti di noi nella tragicità di un presente che spesso ci stritola prima di poter avvistare una fiammella alla fine del tunnel.
Dalla prima Sezione AL PRINCIPIO DELLA NOTTE
L’abbiamo fatto mille volte contro
il muro, in piedi, felici ondeggiando:
è una questione di equilibrio il tenersi
in allerta tra i fusti degli alberi bui
– mi davo a te come un bimbo alla fiaba?
Dimmi adesso a cosa pensi?
Luccica una scia nell’incurvatura della notte;
forse è solo la cometa annunciatrice:
il redentore diserta il suo arrivo.
===
Si era solo abbacinato alla luce
della via lattea scesa in terra;
un chiarore lattiginoso lascia
l’insidia della strada addormentata;
lo stipite regge il cielo in alto,
in seno alla nave inabissata e piena
di quell’aria del poco fuori: il canto
dei primi grilli al Pincio o ai Fori.
====
L’aria si increspa sotto i secchi colpi
della luna bianca affacciata al nulla,
lungo questo filo di vento nasce
qualcuno dal passaporto diverso
ogni uscita è un’entrata di esili quanti.
===
Custodisci in te il seme della febbre
l’impazienza del morbo che divora
stesi su di un letto pieno di rasoi
il corpo sazio di pene e d’amore;
al margine del cielo di Scirocco
che ride gemme l’acume del suolo.
===
Isola Tiberina
Nel tuo terzo giorno sono arrivati,
in nugoli, i gabbiani del tirreno
per divorare gli esili cadaveri
dei remoti corpi abbandonati
lungo le strade ombreggiate
che della vecchia Roma hanno
il nome sbiadito dell’infinito
Nell’attesa bruciavi nel pomeriggio,
quasi meridiano, sull’isola che
il fiume divide per giorni e notti
sotto questa colata di sole
color del vino sigillato nella plancia
polverosa della nave.
Penso comunque che siamo il poi,
inghiottiti dal tunnel del cielo;
roridi di penombra meridionale,
nell’ancestrale giorno steso
sulle acque cui provi a camminare,
agli occhi asciutti delle botteghe
di Trastevere.
Noi a nulla apparteniamo e dell’età
industriale siamo comunque il dopo.
===
Estate a Ventotene
La notte ha raccolto le sdraio
– un diluvio rupestre si è spalancato
sul limbo a pelo dell’acqua –
capovolto le sagome degli alberi:
le incomprensioni restano inevase.
– Solo ieri sapevi gonfiarti di vento,
un rigo appena nel sole meridionale.
Adesso siamo nel centro dell’universo
e niente sappiamo del nostro nome;
divelte le stamberghe logore di salsedine
sul litorale morso di scogli;
– là dentro si approvano amori giornalieri.
Mi attengo al cerimonioso scroscio
come alla parola di Cristo
– nel ricordo di un marzo di lampeggi.
Non è possibile ogni appello
in questo tempo: non siamo pervenuti.
===
Mi sono sporto sul cucchiaio del tempo,
facendo prove per un congedo;
battere l’aldilà confutando
la scienza dell’essere tante cose:
perso nel labirinto di spirali
mi viene da chiederti: sei felice?
Presumo che nel dipartire
si possono aprire intere cattedrali:
potremmo così scorgerci senza
tanti preludi: comprendere di noi
le agghiaccianti miserie seminate.
===
Dalla seconda Sezione EPIGRAMMI ROMANI
A Antonio Merola
L’uomo ha inventato Dio e a lui somiglia
nel giorno del giudizio universale
costretti a riprendersi il proprio corpo,
la smania di disegnargli il volto appena
impresso sulla lettiga sudata.
A noi quale Veronica c’è dato
conoscere? La portantina non più
viene a soccorrere il nostro sonno
contato, la nostra fratellanza;
la vita ci può sorprendere solo
quali siamo: così pieni di vita.
===
Dalla terza Sezione UN ATTIMO PRIMA DEL’ALBA
Cartolina per Gionny
A maggio il sole asciuga i muri a secco,
scaccia l’ombra dalla piazza;
certi suonatori d’ottoni ammaccati
infuocano la sera chiara a colpi di note
li riconosci?
Dall’attico di via Cavour si sentivano melodiare
ti perdevi
tra gli oleandri odorosi sul terrazzo
mi sei mancato.
Non volevo passare neppure un giorno dai miei,
tuo fratello chiamava spesso da Perugia
temeva che facessimo l’amore:
eravamo noi (in parte lo siamo anche adesso)
gli apostolici cantori del disordine civile,
gli angeli caduti dal cielo perché scacciati.
Ora tra gli allori che più non vedo c‘è di nuovo
maggio a riscaldare le gioie di allora.
Le lucciole nei campi hanno una coscienza,
attentano al parlamento della tua bellezza muta;
ad intermittenza fan luce tra le stoppie gialle e desolate;
la notte alla fine è la dissolvenza del tuo film
sei tu il ciliegio che butta i frutti.
===
Dalla quarta Sezione NOTTI RUPESTRI
Rito Bizantino
I
Non so cosa deforma il globo
in quest’aria di pioggia
rupestre a grappolo in seno
alla cattedrale.
Umile corbezzolo sul ciglio della forra
– ricordo ancora le case bianche,
quell’odore di una perpetua festa –
A frotte giorni di giorni si contendono
giorni;
sui rami verdi del mio tronco solitari
s’annidano attese di migranti.
Sulla strada alla controra mi assale
la vertigine di un solitario
stare al mondo.
II
Le cattedrali delle ormai metropoli
consumano cerimonie eucaristiche celebrative;
è un fingersi testimoni dritti
come muri
consumando pane azzimo
per la comunione dei chierichetti.
Ti so già al piano da tempo
scorta dietro gli scuri del vecchio
lutto ancora avvenire.
– Nel gergo bizantino anche la notte
si nega all’evidenza –
la luna lievita i sentieri persi nel nulla.
Da tempo la sua casa è l’aria,
i preti dell’ortodossia sono solo
eretici per molti cristiani.
Dovremmo così dissentire ai più
questa lacerazione, quest’ulcera
d’acqua dolce che accoglie battesimi
nella processione di attentatrici
al fascino.
Abbiamo tra noi privata la nostra
megera: quel tuo ridere senza suono
nella epifania del pianto.
III
Questo silenzio tra noi ha cucito di assi
e fughe sottili la barca della quiescenza:
deposto il corpo di ciò che eravamo
sull’amaca di legno non ci resta che andare,
lasciarsi cullare dalle onde; foggiare
in noi l’attitudine dei velieri.
Ma quest’amaca è solo una culla d’erba;
ad ogni stelo hai appeso la resa:
sottrarre è un atto d’amore quanto dare.
IV
Mi eclisso nell’essere scorto da altri universi
rivelo alla moltitudine le mie bassezze,
gli abissi che luglio trascina con il velo,
quando l’alta pressione si increspa,
sul manto sporco di un accenno di esterno.
I lampi divorano muri invalicabili:
mi sorprendi dicendo, in un turbinio
di incontri che non sono: «Ora vedi chiaro
con l’iride ingenuo di un ragazzo al mattino».
V
C’è qualcosa tra il sogno e la terra che avanza,
intendo il globo, il riflesso delle acque sui soffitti;
oltre alla terra, oltre il fiume alla foce
dove la corrente tradisce il veliero;
dissemina lacrime d’erba sui margini delle spiagge,
anima folle sole lungo i canali del riflusso,
tra poche case, nell’angiporto degli ambulanti;
dove per pochi soldi al banco dei pegni
qualcuno punta alla luna messa all’asta.
Non avrei mai creduto che ti sentissi sola;
avrei comprato le Americhe, gli oceani,
solcato acque pur di vederti felice;
la società si intromette sempre;
quando non ci cambia ci estranea:
così il noi è cannibalizzato.
VI
Di questa estate la cosa più bella
è quando spegni la luce e ti affidi
nuda al buio: non è chiaro quanto
mi cerchi come uno scoglio cui aggrapparti:
come il mare vado a intermittenze.
Non è oltraggiare Dio la soluzione;
soffro da sempre il gracidare dello stato;
di lui patisco troppo l’intromissione.
Di questa estate conteremo i caduti
dell’eccidio dei grilli parlanti.
Biografia: Iuri Lombardi, Firenze 1979, dove vive e lavora. Poeta, scrittore, saggista, drammaturgo. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: i romanzi Briganti e Saltimbanchi (Siris, 1997), Contando i nostri passi (Romano, 2009), La sensualità dell’erba (Biondi, 2012); le raccolte di racconti Il grande bluff (Lettere Animate, 2013), La camicia di Sardanapalo (Talos, 2013), I racconti (Poeti Kanten, 2016). Per la saggistica: l’apostolo dell’eresia; per la saggistica: L’apostolo dell’eresia (Faligi, 2015). Per il teatro: La spogliazione, Soqquadro (Poeti Kanten, 2016). Per la poesia: Black-out (Poetikanten edizioni, 2016), Il Sarto di San Valentino (Ensemble, 2018), Dizionario delle notti (Arcipelago Itaca 2020).