Cara catastrofe, di Felicia Buonomo (Miraggi Edizioni marzo 2020) note di lettura di Bartolomeo Bellanova

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Il titolo della prima raccolta poetica edita di Felicia Buonomo, giornalista, video reporter e animatrice culturale ospitata sul numero 18 di LMS per il suo video reportage dal Benin (“I bambini spaccapietre – l’infanzia negata in Benin”),  è un potente ossimoro mutuato da quello di una canzone del giovane cantautore veronese Vasco Brondi (classe 1984), cresciuto artisticamente tra Bologna e Ferrara.

Cara catastrofe fa parte del suo secondo album uscito a fine 2010, Per ora noi la chiameremo felicità. Nel video compare una giovane ragazza con cuffie musicali in mezzo al traffico di una metropoli qualsiasi, i fari di un sabato sera qualsiasi, in cui i ragazzi si trovano, si perdono e si ritrovano con tutte le loro amarezze che stringono la gola, che sono anche quelle di Felicia. Di seguito un passaggio del testo scritto da Vasco Brondi che introduce al meglio la lettura dei testi di Felicia: “Sventoleremo le nostre radiografie per non fraintenderci / Ci disegneremo addosso dei giubbotti antiproiettile / Costruiremo dei monumenti assurdi per i nostri amici scomparsi /  E vieni a vedere l’avanzata dei deserti, tutte le sere a bere / Per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge / Vedrai che scopriremo delle altre Americhe io e te / Che licenzieranno altra gente dal call center / Che ci fregano sempre /Che ci fregano sempre / Che ci fregano sempre / Che ci fregano sempre / Cara catastrofe le impronte digitali / E di notte le pattuglie che inseguono le falene / Le comete come te / […] /  E per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge / Adesso che sei forte / Che se piangi ti si arrugginiscono le guance …”.

La prima sezione della raccolta si compone di dodici testi con lo stesso primo verso, “cara catastrofe”, in cui l’autrice tesse idealmente un dialogo fitto con il musicista e con la catastrofe stessa a cui dedica i suoi componimenti, a cui confessa le sue sensazioni di inadeguatezza di fronte alla vita e a quelli “che ci fregano sempre”.

 

Cara Catastrofe,

guardarti è come entrare in scena,

senza aver mai provato la parte.

Improvviso, inciampo,

goffamente mi rialzo.

E di nuovo inciampo.

Nei tuoi occhi, il mio sold out.

Non c’è spazio per replicare.

E io continuo a improvvisare.

 

Cara Catastrofe,

non chiedermi cosa penso

se ho un ramo di mano sulla fronte.

Reggo le foglie dei miei tormenti

su cui ti adagi leggera.

 

Cara Catastrofe,

appena posso esco a cercare:

un poeta sconfitto

un tentativo

una montagna magica

un fabbricante di strofe

un diamante nascosto

un muro dove inchiodare una farfalla

il cane escluso

un amore facile.

E se ci tieni tanto:

baciami ogni volta che voglio.

Nella seconda Sezione, “Il corpo”, e nella terza “Sinceramente tua”  la parola di Felicia si fa visiva e, a tratti, olfattiva, nelle descrizioni precise e dure di violenze subite, accettate, urlate e inferte da un rapporto d’amore tossico nel quali veniamo precipitati anima e corpo. La poetessa non indulge nel vittimismo, non si abbassa mai a chiedere al lettore una troppo scontata comprensione del suo dolore, la sua è una lotta senza quartiere, a tratti anche contro se stessa quando piega la testa di fronte alla malvagità del suo uomo.

Sono versi chirurgici quelli di Felicia in cui la parola scritta è quella necessaria, nessuna di più, nessuna di meno, da cui non possiamo uscire senza lividi, senza essere toccati nel profondo dal suo incrollabile amore per l’amore, nonostante i tanti dolori quotidiani. Alla fine della lettura non potremo evitare di fare i conti con noi stessi: carnefici, vittime o più facilmente entrambi e ci porteremo dentro a lungo i versi di Cara catastrofe. I testi di Felicia non sono finzioni o giochi letterari, ma è la vita messa a nudo, condivisa con chi sente l’urgenza di partecipare a questo rito collettivo di cura e di amore che è la poesia.

 

Ti ho trovato

nelle pieghe delle mie clavicole,

parte visibile di un corpo

smunto dalla tristezza.

Ero stesa sulle mie paure,

con gli occhi aperti al dolore

e le braccia molli della resa.

Amarti – continuo a pensare –

è il ristoro

dall’oppressione

del mostro che ti abita.

 

Ti devo il tormento di una tempesta,

una rosa inchiodata al muro,

il tintinnare di parole taglienti,

la solitudine della mia tristezza

mentre ti guardo e ti domando

della bellezza dei fiori.

Vorrei sapere dove cercarti

quando un giorno

prenderò quel treno

per non tornare.

 

C’è uno spazio nella linea del mio sguardo

che aderisce al tuo passo spavaldo.

Arriverai, lo so. Accompagnato

dalla mia incredulità,

che si riprende indietro la sua favola

lacera di insulti di realtà.

E sei tornato, con lo stesso sorriso

di quando hai capito di desiderarmi.

Strano meccanismo attiva il cuore:

brilla negli occhi senza distinguere

tra l’amore e il male.

Accorcia il tempo, come la fune

che mi hai stretto al collo.

Ho sempre pensato che sarei

morta di crepacuore.

Ora so che sarà per soffocamento.

Alza il bicchiere in brindisi anche per me.

Tu che sei così esperto nella pratica

dello stordimento da sostanza alcolica.

Brinda al Dio che tutto ti perdona.

Anche lo scempio a cui mi costringi,

mentre mi rinchiudi in questa stanza

sudicia, maleodorante, dove si consuma

lo stillicidio dei tuoi insulti.

Brinda al Dio tuo complice.

Che per tutto mi punisce.

 

Sorrido a un bambino. Provo ribrezzo

per la mia gentilezza di restituzione.

Come quando da bambina

guardavo fuori dalla finestra

e maledivo la luce sul verde.

Persino allora rinnegavo

il ciclo biologico del tempo.

Ho smesso solo nel periodo

dell’adolescenza rubata.

Non avevo tempo per maledire,

gioire, inghiottire

semi di felicità dovuta.

Sono colpevole come allora,

ancora senza tempo,

senza semi. In assenza.

 

Ho camminato su chilometri

di foglie cadute, per arrivare

alla bocca del tuo stomaco,

che tutto divora e nulla digerisce.

Mi accogli con il disgusto della sazietà,

io come un incubo riuscito.

E a quelli che domandano, io rispondo:

di te mi divora

la fame non appagata.

 

Ho studiato l’anatomia per capire

l’esatta distanza che ci separa.

Tu sei come l’alluce

che definisce la misura esatta

delle scarpe da indossare.

Io il mellino,

che – con strana facilità –

inciampa con frequenza

nel dolore dell’urto.

Parte di un tutto

che definisce il passo,

non ci tocchiamo mai.

 

Ho cercato una scusa

per dirti addio,

per poi disertare

a ogni evento.

La scadenza si avvicina.

Indosserò

un abito di ferro colorato,

lacrime di ruggine

e carezze solide,

per svanire nel miraggio

che ci tiene stretti

a una falsa idea di felicità.

Felicia-Buonomo

Felicia Buonomo è nata a Desio (MB) nel 1980. Dopo la laurea in Economia Internazionale, nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Nel 2011 vince il “Premio Tv per il giornalismo investigativo Roberto Morrione – Premio Ilaria Alpi”,  con l’inchiesta “Mani Pulite 2.0”. Alcuni dei suoi video-reportage esteri sono stati trasmessi da Rai 3 e RaiNews24. Parallelamente all’attività giornalistica, porta avanti un progetto di street poetry sotto lo pseudonimo di Fuoco Armato. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog letterari, quali La rosa in più, Versante Ripido, ClanDestino Rivista, Atelier poesia, Inverso, La macchina sognante, Patria Letteratura e altrove. Un suo testo poetico è stato tradotto in spagnolo dal Centro Cultural Tina Modotti. È finalista al Premio internazionale di poesia Don Luigi Liegro. Scrive di poesia su Carteggi Letterari – critica e dintorni. Cura una rubrica dedicata alla poesia su “Book Advisor”. Pubblica il saggio “Pasolini profeta” (Mucchi Editore, 2011), il libro-reportage “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin” (Aut Aut Edizioni, 2020) e la raccolta poetica Cara catastrofe (Miraggi Edizioni, 2020). Dirige la collana di poesia “Récit” per Aut Aut Edizioni.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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