Bisogni fisiologici, racconto di Monica Dini

taxy alluvione

Bisogni fisiologici

 

È stato all’improvviso.

La chiamano bomba d’acqua.

Una rivincita sui mesi cocenti trascorsi.

Piove ancora ma non c’è paragone. Il peggio è già capitato, il fiume è straripato portando fango e ranocchi morti nelle cassette della posta, anche altri schifi ma tutti si sforzano di non pensarci mentre ci mettono le mani e i piedi dentro cercando. Per fortuna qualche casa si è salvata grazie alla posizione. Poche. In una di queste abita da sola una donna di mezz’età che, in giardino, con gli stivali fino alla coscia, sta sotto l’ombrello a guardare.

Lontano, nel fiume occupato ormai da un lago, galleggia un’auto rovesciata. Nella piazzetta non c’è più la fontana, ci sono alberi attorcigliati, hanno fatto una diga coprendo i cartelloni elettorali. Davanti alla chiesa la melma soffoca le siepi del giardino, ha cancellato il parcheggio. Un vecchio Gilera è rimasto in bilico sul muretto di recinzione della canonica.

Vicino, una bottiglia di plastica bianca vortica in un gorgo. L’erba è pettinata nel verso in cui scorreva l’onda di piena.

Ovunque, confini alterati dal fango.

Nell’aria scura sirene e grida e tuoni.

All’orizzonte lampi. Il tempo non è guarito.

Un fuoristrada della Protezione Civile avanza sullo stradello.

Non ho bisogno di niente. Pensa la donna.

Scende un tizio in tuta arancione, sbuffa prima di domandare. La scuola e il centro sociale sono strapieni, dice. Vuol sapere se può ospitare tre persone. La guarda accigliato mentre aspetta la risposta. Scendono una bionda non più giovane, un vecchio sudicio, un uomo con un cane al guinzaglio. È nero. I maschi sono assai conosciuti nel quartiere, il vecchio è Uli il barbone che abita sotto ai Portici, l’uomo col cane è Mario l’accalappiacani comunale, la donna mai vista prima si presenta come Cosmina e non parla bene l’italiano.

«Quattro» dice la donna con gli stivali che non si è presentata «sono quattro. Anche il cane conta.»

L’uomo in arancione se ne va senza ribattere.

Il cane e il barbone puzzano. La padrona di casa si tocca il naso.

Non c’è limite alla sfacciataggine, pensa.

Per fortuna ha delle patate in casa, ne ha tante di quelle. Le farò fritte, pensa. Non c’è stato tempo per fare la spesa, l’onda di fango e ranocchi è stata più svelta. Le patate andranno bene.

Indica agli invasori il bagno, le camere. Possono fare la doccia, sarebbe meglio che la facessero. Cercherà dei vestiti, deve esserci ancora qualche pantalone da uomo nell’armadio.

Non vogliamo disturbare, dice nel suo italiano la bionda.

Vanno bene i divani, dice l’accalappiacani.

Il fango rappreso sfoglia dalle scarpe, dai vestiti, si rigenera sul pavimento bagnato. Il cane ne ha grumi sul pelo ma scodinzola e si accomoda sul tappeto col muso appoggiato sulle zampe anteriori.

La donna padrona di casa sbianca all’improvviso. Non sappiamo se qualcuno se ne accorge. Deve andare in bagno … ha un dolore acuto al ventre, rabbrividisce ma più forte è la vergogna che la immaginino in quella posizione. Che sentano il puzzo che rimane. Aspetta. Guarda gli invasori assestarsi, hanno scelto ognuno un angolo. Distanti, obbligati alla promiscuità, rimangono silenziosi. Indugia, rabbrividisce. Va a prendere la legna per accendere il fuoco.

Piove più forte.

Cosmina scoppia a piangere ma non si capisce da questo che non è italiana. Singhiozza come tutti nel mondo e accarezza il cane nero.

«Proprio adesso che avevo fatto giardino, le conche. Avevo attaccato al frigo sai … con le calamite le foto dei miei figli. Avevo un tappeto e le tende alla finestra. Avevo qualcosa come una casa di … Romania. Lo so che lì non era casa mia ma era casa un poco … dove abito per tanto tempo deve essere così un poco.»

L’accalappiacani si avvicina e le prende la mano, le dice di non piangere ma non funziona.

«Non piangere, non serve. Dove eri quando è iniziato il disastro?»

Cosmina tira su col naso e si pulisce alla manica.

«Ero a casa del vecchio Pardini in via di Mezzo, io e lui soli dentro quel casermone buio. Avevo messo la tapparella alla porta, ma ….» non riesce a finire.

Mario l’accalappiacani le accarezza la testa e il cane si avvicina, lo tocca con una zampa.

«Un cane ruffiano.» dice il barbone.

La padrona di casa appoggia dei fazzolettini di carta sul tavolo da fumo. Si ferma un po’ piegata, aspetta che passi un crampo all’intestino. Poi monda le patate.

«Non piangere, non piangere, raccontaci com’è andata e dov’è adesso il vecchio.»

«E’ successo che è saltato quel tappo, quello dello scarico della doccia e l’acqua ha cominciato a salire e c’era un puzzo … era fogna, non era acqua. Mi capisci … è venuta dal dentro. Ho gridato dalla finestra e sono arrivati quelli della Protezione. Hanno portato via il vecchio … poveretto …»

La proprietaria sta male ma è abituata a fare da sé. Accende il fuoco nel camino, il fumo si allarga e poi sale. Una fiamma blu esce da un buco nella corteccia, fischia. Il cane striscia più vicino al calore. Anche Uli il barbone si avvicina.

«Tutto perduto, avevo messo i merletti, i pizzi che aveva fatto con l’uncinetto la sua moglie. È morta … non l’ho conosciuta. Avevo fatto un tavolo basso con sopra quelli … come alla mia casa … tutto perduto.»

«L’importante è che stai bene, pare ci siano persone disperse, cosa vuoi che importi dei merletti. Hai chiamato la tua famiglia?» dice Mario.

«Sì ho parlato con mio figlio grande … avevo messo anche il sale in ciotola … per scacciare guai.»

Il cane si allunga in mezzo a Mario e a Cosmina. Tutti e due l’accarezzano.

«Povero e nero Jack! E tu da dove vieni? Dove ce l’hai la casa e la famiglia?» dice Mario.

«Tutto perduto …» risponde il barbone e sorride strizzando l’occhio al cane.

«Non credevo ne sapessi il nome.» dice Cosmina.

«Non lo so … ma ha la faccia da Jack, credo che potrebbe essere un Jack.»

«Vero … una bella faccia da Jack e io?» chiede Uli «Accalappiacani io che faccia ho secondo te?»

Adesso tuona forte e grandina. Le fiamme nel camino svettano decise.

«Tu hai la faccia da Uli, ti conosciamo tutti. Dormi ai Portici, di giorno si vedono le tue coperte piegate in un angolo. Tu sei Uli quello che divide il pane con i piccioni e taglia le siepi al farmacista. È facile. Tutti sanno chi sei ma io riconoscerei il tuo posto ovunque perché tieni un vasetto con i fiori secchi sopra una cassetta di legno.»

«I fiori … gli ultimi erano di Achillea Millefoglie … Achillea Millefolium. Eh già … sono Uli l’homeless, patrono dei piccioni …»

La padrona di casa non ce la fa più, il ventre è teso, i crampi sono sempre più frequenti, ma le patate sono pronte. Croccanti patate di montagna. Le scola dall’olio e le dispone in un vassoio sopra la carta assorbente. Prende il tavolo da fumo lo mette in mezzo agli invasori, apparecchia con una tovaglietta fiorita. Le patate fumano e profumano. Il cane nero si alza e annusa l’aria. Tutti si avvicinano, Cosmina sorride e strizza gli occhi, spurga una lacrima residua.

«Buone! Io ho tanta fame. Grazie signora.» dice Cosmina.

«Grazie … sì grazie infinite.» dice Mario.

«Ma lei signora … lei signora … lei signora si fermi, si lasci guardare. Lei che faccia ha? » chiede Uli interrogando gli altri.

Tutti adesso la guardano mentre mangiano le patate. Tutti adesso si accorgono di non saperne il nome. Lei sta piegata in avanti per sentire meno dolore, la pancia brontola, la pioggia batte contro i vetri compressa dal vento. Il fuoco scoppietta. Il cane lecca la mano al barbone. La donna prende una patata la alza tenendola fra le dita, la studia strizzando un occhio contro la luce della lampada poi si decide.

«Io ho la faccia da Giulia, sono Giulia e sto per farmela addosso.»

Prende un’altra patata guarda la mano lercia di Uli che pesca nel vassoio e pensa che in effetti fa schifo, ma la sua casa è sicura, è grande, può ospitare tanta gente.

Va verso il bagno.

Tutti in fondo devono cacare.

Inedito, per gentile concessione dell’autrice.

 

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Monica Dini vive e lavora a Camaiore paese della campagna toscana. Ha pubblicato le raccolte di racconti brevi: Sulle Corde (2006 Società Speleologica Italiana) e Leggerezze (2008 Besa) e una sorta di diario: Lezzo – i giorni dell’ospizio (2015 Tralerighe Libri). Ha collaborato con la rivista on-line Sagarana diretta dal Prof. Julio Monteiro Martins. È stata più volte ospite della rivista on-line El-Ghibli diretta dal Prof. Pap Khouma, del sito Nuove Tendenze della Dott.ssa Oriana Rispoli, dello Stralunario di Alessandro Trasciatti. E’ membro della redazione della rivista Prospektiva di Andrea Giannasi.

 

 

 

 

 

 

Foto dell’autrice a cura di Monica Dini.

Immagine in evidenza: Foto di Aritra Sanyal.

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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