[…] Una musica leggera proveniva dal vicino di casa, ormai era diventata un’abitudine piacevole per molti inquilini nei palazzi accanto. L’uomo del terzo piano si esercitava ogni mattina con il suo pianoforte, e in tutto il quartiere, non si udiva altro che questa sinfonia malinconica. Il fruscio del vento aveva scosso le foglie degli alberi che danzavano lentamente una accanto all’altra, indisturbate, senza paura di essere osservate. Persino il rumore di alcuni cristalli appesi nella finestra di fronte, creava per un istante la sensazione di essere in una sala da ballo, con luci soffuse e tenui. Era come assistere a un concerto all’interno di un teatro, mentre un direttore d’orchestra eseguiva, con movimenti delicati e sinuosi insieme alla sua bacchetta magica, il ritmo dell’opera suonata dai musicisti. In soggiorno, all’interno di un grande appartamento, l’aria che circolava sembrava fresca. Le finestre quasi tutte spalancate e i raggi di luce che vi penetravano all’interno, illuminavano in modo sorprendente l’appartamento, che fino a pochi attimi prima giaceva nel buio più completo. Persino un gatto non sarebbe stato in grado di addentrarsi lì dentro e riuscire a muoversi con destrezza. Nel camino c’erano ancora tracce di un fuoco appena spento. L’ultimo granello di cenere incandescente aveva esalato la sua fiamma più viva nelle prime ore di luce, e ora, non era rimasto che un ricordo lontano di una notte appena trascorsa.
La casa era rimasta disabitata per tutta l’intera giornata.
Appena passate le cinque del pomeriggio, già si cominciava a percepire un profumo di mele che proveniva dalla cucina. Norah stava sfornando lo strudel e senza accorgersene, stava tirando fuori dal forno la teglia a mani nude. All’improvviso si accorse dell’errore e la gettò a terra. Corse subito a sciacquarsi le mani, ancora doloranti. Fece scorrere l’acqua fredda con un getto violento, ma la sensazione di sollievo pareva volesse ritardare. Rimase in quella posizione per circa cinque minuti, quando finalmente, quella corrente gelida riuscì a riparare il danno. Che cosa stavo pensando in quel momento? Si chiese, mentre con un panno, avvolgeva la mano ancora un po’ sensibile. Non le era mai successo di compiere un errore del genere. Era un gesto automatico che poteva eseguire anche a occhi chiusi. E invece no, in quel momento aveva la testa da qualche altra parte. Tornata in cucina, ripulì il pavimento. Non aveva più voglia di preparare un’altra torta. Si era alzata molto presto, era uscita da casa ancora prima che il sole sorgesse, aveva passeggiato e letto un libro al parco, e poi, accortasi dell’orario, era rincasata. Quell’episodio non poteva rimanere isolato. Ora, aveva capito che evitare i suoi pensieri l’avrebbero condotta nel baratro più profondo e che prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa di più grave, o peggio, avrebbe rischiato l’incolumità di sua nipote o qualcun altro. Andò in soggiorno e prese dallo scaffale più alto della libreria un album di fotografie. La copertina era scolorita dal tempo, ma i bordi avevano resistito. Ormai non ricordava nemmeno più quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva sfogliato. Prese la sua tazza di caffè e una volta seduta sul divano, iniziò a scorrere quelle pagine. Ogni foto che guardava, la trasportava in diversi momenti della sua vita. C’erano alcune di Marco, certe sbiadite, altre ancora in perfette condizioni. Alcune in bianco e nero. C’erano immagini di sua figlia Eleonora ancora in fasce, divertita assieme al suo papà. Altre di Perla: una in particolare in una grande tavolata, con tutti i parenti di Giovanni. Foto con visi felici, spensierati.
Fissavano l’obiettivo aspettando che il click della macchina fotografica risuonasse, in modo che potessero tornare a fare quello che era stato interrotto. Altre invece, ritraevano momenti spontanei, come se non ci fosse stato nessuno davanti all’obiettivo e, nascosto dietro un albero, qualcuno aveva catturato un momento di vita senza il permesso dei soggetti ripresi. Un sorriso sulle labbra di Norah l’aveva accompagnata per tutto il tempo, pagina dopo pagina, foto dopo foto. Era come se lei ora, fosse la spettatrice di un’altra dimensione di quei momenti ritratti e tutti fossero rivolti a lei, mostrandole uno sguardo d’affetto, come a rassicurarla che ci sarebbero stati altri giorni come quelli.
[…ˆ2 Settembre, 1955
La Terra non è al centro dell’universo come molti studiosi sostenevano in passato. Gira attorno al sole, ruotando continuamente su stessa ed è noto a tutti che questo ciclo dura almeno ventiquattro ore. Per percorrere invece quell’orbita intorno al sole, il nostro pianeta ci impiega ben 365 giorni. Un’infinità di tempo. Ogni instante è trascorso allo stesso modo e alla stessa velocità. Nulla cambia. Venere, Giove, Marte, il sistema solare intero fanno parte di un grande ingranaggio meccanico, come quello di un orologio, che continua a svolgere la propria funzione senza mai cambiare un solo movimento. Lo spazio è un enorme buco nero, pieno di stelle, meteore e luci. Noi che osserviamo da quaggiù, ci domandiamo spesso cosa ci sia oltre quella parete oscura che ci separa da qualcos’altro, di cui non sappiamo granché. Da sopra invece, sono quasi certa che chi osserva avrà chiaro e distinto cosa accada qui. E pare che le nostre vite non siano poi così diverse da quegli ingranaggi. Con la differenza, però, che possediamo il libero arbitrio. Siamo in grado di muoverci come più ci aggrada: se non vogliamo andare a destra, svolteremo a sinistra; se siamo stanchi del nostro vecchio materasso, lo getteremo e ne acquisteremo uno nuovo; se il drink che ci hanno appena servito non è di nostro gusto, ne ordineremo un altro. E con le persone ci comportiamo in modo analogo. Se qualcuno non ci interessa più, lo trattiamo come un pezzo di carne, pronto per essere cucinato e servito. Dapprima lo idolatriamo unicamente per i nostri scopi e in seguito, siamo pronti a sbarazzarcene o perché quell’ingranaggio è rotto, difettoso oppure deteriorato. Non possiamo aggiustarlo, non siamo in grado di farlo. Il nostro ego è più importante dei sentimenti altrui. Perciò, una volta raggiunto il fine, ce ne liberiamo all’istante, gettando le loro ossa tra i rifiuti abbandonati di una città. L’uomo è un attore spietato, che conosce ogni ruolo alla perfezione e indossa maschere di qualsiasi specie, colore e forma. Ha paura di mostrare la sua vera natura e questa fragilità, scatena un’inversione di marcia. Le lancette di quell’orologio non vanno più in avanti, lentamente, in modo preciso e scandito dai secondi prestabiliti. Si muovono senza senso e a volte non funzionano nemmeno più. Come una macchina che corre a tutta velocità su una superstrada della California e poi tutto a un tratto si spegne, trovandoci soli, senza benzina e in mezzo al nulla. Esatto, l’essere umano rappresenta il Nulla. Forse l’uomo è ancora in tempo per imparare ad aggiustare le cose. Oppure, è già troppo tardi…
Per maggiori informazioni su Amira Dridi, leggere la seguente intervista apparsa su Bologna Today http://www.bolognatoday.it/cronaca/amira-libro-raccolta-fondi-le-sue-mani-anni-50-bologna.html
Immagine in evidenza: Foto di Aritra Sanyal.