TESTI TRATTI DA CORPOREA
SCHIENA
Di notte
ti volti di scatto,
resto faccia a faccia
con la tua schiena ad arco,
le ossa aguzze
che sporgono un poco,
un vestito curvo
che silente
respira.
Guardo in silenzio
la parte di te
che temo mi donerai
il giorno in cui sarò vuota,
quando avrò sapore di noia
e sarò un luogo
in cui non avrai
più voglia di perderti.
Temo mi mostrerai l’’arco
senza che abbia forza
di esserne freccia,
nota di violino
o corda tesa.
Provo a seguire il contorno,
a dormirti accanto
con la mia figura adesa
cercando un incastro per sentire
non troppo,
non troppo poco.
Quando ti volti
e la schiena scompare,
quello spazio diventa confine,
le mie mani lo cercano,
diventano barche,
attraversano mari distanti
tra le lenzuola,
mi riportano a riva.
MANI
Quando non avevi più nulla
per togliermi la fame
aprivi le mani sul bordo del corpo,
i palmi bianchi aperti,
le dita curve, arrese.
Non potevi tollerare
di non avere nulla da darmi,
di abbandonare i miei vuoti
come perle selvatiche
alla solitudine delle conchiglie.
Percorrevo le tue dita aperte
succhiando ogni goccia
di ciò che avevi raccolto per me
e quando le tue mani erano quasi finite
dal pollice prendevo la rincorsa,
mi immergevo di nuovo nel mondo.
BANDIERE
Come anime stanche
ci prendiamo la mano.
Non pensavamo
che qui
fosse il luogo dove restare.
Eppure lo abbiamo arredato
di vernice fresca
di intenzioni migliori
di ieri.
Pensavamo alla terra,
non di naufragare soli
nell’’acqua di luglio,
la stessa bandiera molle,
sul fondo.
Le onde si allungano,
il tempo raccoglie
i nostri nomi scritti
a mano sulla sabbia.
Mentre scivoliamo nell’’acqua
mi chiedi perché
negli abissi
non sono andata prima,
se volevo tenerti al riparo
o coprirti di spuma,
nudo come sono
le conchiglie.
SEGRETE
Li in quello spazio
che ti assomiglia
dal quale non si esce,
volgi lo sguardo alla luna
ascolti arrivare dall’alto,
le mie parole mancanti.
Quelle amare rubate di notte,
quelle acide che chiedono scusa,
quelle taglienti che accartocciavi
perché segnavano troppo le guance.
Da dove mi trovo,
dove tu non puoi raggiungermi,
conservo ogni notte il pensiero di te
che sei scelta
da un mondo che morde,
e ti chiede la pelle
in prestito.
Restiamo nelle segrete
a bagnarci di pioggia e di sale
finché il tempo non torna clemente,
aspettiamo un nuovo pensiero,
un pizzico di mani che scaldi,
un vestito nuovo,
la tua corazza d’argento.
Teniamo in riserva parole di seta
per quando saranno mature,
come una stoffa pronta
per nuovi guanti da consumare.
FORTEZZE
Quando mi guardo intorno
e vedo meteore,
feriti zoppicanti,
parole che tagliano i ponti,
donne e uomini che bruciano,
ti ringrazio per la fortezza
che condividi con me
che abitiamo semplice
imperfetta,
adagiata sui fiumi che siamo
e che non sono mai uguali.
Siamo parte della guerra del mondo
che si staglia sui nostri fianchi
e che urla senza voce
nei corpi che non sempre si sfiorano.
Vorrei darti un balsamo
quando non vorrai più correre
e aspettare sulla riva
le mie ferite fresche
e le tue che hai dimenticato
sul fondo del mare.
FANTASMI
Vorrei che l’idea di te
diventasse reale
quando cado nel dubbio
che tu non sia altro
che una forma immaginata,
un bisogno invisibile
generato dalla solitudine
nella camera oscura
dei miei pensieri.
Vorrei strapparmi l’udito
ricordare solo l’odore
mentre la voce del mondo
non dà tregua ai miei vuoti,
alle scansioni del tempo
che ci rendono piccoli,
estranei.
Vorrei restassi
quando sono ancora intera
quando ancora
ho radici sufficienti,
perché la vita
mi taglia le spine
e lega i miei pezzi indifesi,
stretti al centro
come i mazzi di fiori.
Quando sarai di nuovo reale
traccia con le mie dita
il tuo volto di complice,
e perdonami
perché non so aspettarti,
temo che il vuoto
ci renda sottili,
due nomi rannicchiati
in fondo alla pagina,
come un punto di inchiostro
sfocato.
PASSANTI
Non mi vedo
quando il liquido ingombra le strade
e dello scorrere dei corpi,
rimane solo
una traccia opaca.
Siete passanti
raccolte di storie non rilegate
cascate di volti e di odori
che raramente conservo con me.
Se potessi cucirmi la folla alla pelle
scivolerei nella curva delle fronti
su ogni collo inclinato
cadrei nelle dita impazienti
che cercano casa tra i capelli slegati.
Vorrei attraversarvi
senza rumore
lasciare una piccola parte di me
alla fame delle piazze
ai luoghi aperti che si riempiono
e si svuotano di noi
ai miei movimenti incauti
al vostro scivolare di barche.
Illustrazione di Valentina Benedetti
TESTI INEDITI
ONDA
Saranno le forme
che ti cambiano addosso
a renderti un’onda sconosciuta
o un incanto in cui inciampo,
senza rendermi conto che io come te
mi disfo di continuo e non torno mai indietro
con le stesse mete addosso.
Ma ti desidero immobile
nella marea che attraversiamo in due,
in cui ci teniamo per mano
per riconoscerci ad ogni passaggio,
i piedi a balbettare sulla riva,
il nostro concerto tentato del mondo.
SOTTRAZIONE
Dentro avevo una stanza vuota,
le ferite aperte sul davanzale
le lancette a mordere i polsi,
il mio volto disteso
in una pozzanghera colma.
Non potevo occuparmi di te.
Ti abbracciavo di notte,
con i piedi allacciati alla terra,
ma dentro ero liquida
come il mare ad agosto,
affollata di castelli fragili,
le biglie nei solchi.
Non potevi mancarmi.
Mi avevano detto che si muore
stesi sul letto con i pensieri all’aria,
meglio accendere il corpo
gettarlo in un fiume di colpa,
farlo di roccia perché non pianga.
Non volevo cadesse.
Di giorno diventavo di vento
e quando provavi a sfiorarmi
ti dicevo sono vuota,
sei piccolo come un ago,
non possiamo passarci attraverso.
Oggi che sono qui,
nella misura in cui mi trovo,
ricordami che siamo fatti di carne e di limiti.
Riportami alla differenza
nata in grembo a questa distanza,
ripetimi che è madre buona
del valore di tutte le cose.
MOLTIPLICAZIONE
Era sera e moltiplicavo
i pensieri tra le dita
come fossero fiocchi di neve.
Non sono mai abbastanza
le scuse e le ragioni
per aprire la finestra
e danzare nel freddo.
Abbiamo paura,
fame di caldo e di rifugi,
ma i crepacci a volte ci chiamano
chiedono di essere nudi
una volta di troppo.
Ti guardo mentre prendi la rincorsa
e ti lanci nel bianco,
non ti ho mai trovato così bello
se non quando mi dicevi
sono caduto.
SASSO CARTA FORBICE
SASSO
Copriti prima che arrivi,
non lasciare la pelle nuda,
nessun indizio che tolga
la maschera dell’eroe.
Del padre. Dell’uomo buono.
Fai come il sasso che nei giochi
perde solo da chi lo cattura
e dal vero si fa cambiare
dal tempo, per inerzia.
Resta coerente, perché il rischio
è di tornare indietro nel tempo
il piccolo che prende la colpa.
CARTA
Il mostro non si espone,
si tiene fermo con l’involucro,
e sopra si mettono i fiocchi dorati
per farlo mansueto.
La tua armatura di carta si strappa.
E mentre continui a fare strati,
perché l’amore non possa fuggire
non lo senti che il taglio
ti farebbe leggera?
Ti aspetto mentre scrivi incerta
la tua dichiarazione di indipendenza,
per farti materia, né coperta, né metà,
un luogo da festeggiare vuoto.
Aspetto tu possa ascoltare
il tuo nome arrivare dal punto
più basso e quando sale alla gola,
cantarti.
FORBICE
La tua ‘immagine è nitida,
nessuna crepa ai bordi,
perché netto
è il nome che hai scelto
per non spogliare le sfumature.
Il taglio è fatto per semplificare,
un solo attimo di dolore,
non si può portare lo strascico
come le spose.
Il finale senza frangia,
la stoffa soffiata con l’amido
che non si ribella più.
E io che non so riparare,
continuo a fare coriandoli,
il mio mosaico di sbagli
sfiorati da un paio di lame d’argento.
VENDEMMIA
È un dono ritrovarsi maturi
senza crepe aperte
a godere dei frutti
che ci crescono addosso.
Il succo è figlio dei giorni
in cui li abbiamo lasciati al caso
e ora, scorre denso come miele.
Ti guardo mentre ti spuntano
dalle guance, ne mordo metà
per lasciare in vista la mancanza,
il punto in cui non possiamo colmarci.
Ti ringrazio perché non mi credi ladra,
affamata, in cerca di qualcosa
che non posso avere tra le mani.
Quando un frutto ci cade sul ventre,
lo spremiamo, come si fa col vino nuovo
per brindare al tempo e al vuoto
che resta appeso ai rami spezzati.
LE PAROLE MI MANCANO
A volte le parole mi mancano,
lasciano un solco
alto quanto me
che prosegue dalla gola
fino alla punta delle radici.
Non ho spazio per condurle tra le mani,
restano sul capo e volteggiano,
non si fanno nude, non fanno materia.
Mi mancano a tal punto
che non vedo l’ora di essere sola
a fare del silenzio un tempio
nel quale assistere a riti di separazione,
tagliare la pelle e ricomporsi piano.
Faccio sgomberi di me per accoglierle,
tolgo scavo mi rendo sottile
una superficie piccola
in cui possano tornare
a scivolarmi dentro.
BIOGRAFIA:
Giulia Berra è una scrittrice e arteterapeuta che vive e lavora a Bologna.
Laureata in Psicologia nella facoltà di Lettere e Filosofia e in Scienze della Formazione all’Università di Bologna si specializza come Arte terapeuta presso la scuola Artherapy italiana. Attualmente si sta specializzando come Psicologa clinica.
Lavora con adulti e bambini presso il suo studio e collabora con Enti che sostengono progetti a favore di persone con fragilità. Nel suo lavoro utilizza i materiali artistici come strumento espressivo per favorire il processo creativo e la relazione con sé.
La sua scrittura è fortemente intrecciata con la pratica lavorativa. Viene utilizzata per indagare le possibili sfumature del mondo interiore e ciò che accade con l’incontro con l’altro inteso come luogo significativo.
Come scrittrice ha autoprodotto nel 2015 il libro Contrappunto insieme alla pittrice Ambra Gurrieri e nel 2020 il libro Corporea con l’editore Controluna Edizioni.