La truffa dei migranti
di Alessandro Ghebreigziabiher
Tempesta editore, 2015
Questo romanzo è un’opera unica e straordinaria, unica per l’originalità che impregna l’intreccio delle storie fra loro. Storie che partono come quotidiane fino ad elevarsi a straordinarie per la ricchezza di umanità vissuta e descritta.
Il titolo mi sembra provocatorio, poiché “ la truffa dei migranti” si risolve in una pozione magica che fa sparire il colore della pelle della famiglia migrante. Questa pozione ci accompagnerà in tutto il romanzo ed è anche l’incipit di un clima che via via si avvera sempre più fino a trasformare le relazioni umane dei protagonisti da tragiche a più vivibili, da paurose a sostenibili, diffondendo un clima di umana comprensione, talvolta anche inaspettata.
Mi ha colpito anche il linguaggio dell’autore, le parole infatti sono spesso collocate fra la loro sonorità e i fatti che producono o il contesto che modificano. Lo stesso fraseggio lascia pensare più ad un copione teatrale che ad una narrazione. Questo consente all’autore di introdurre il lettore in una scena che non è direttamente descritta, ma più frequentemente evocata, come se ciascun lettore potesse immaginare il proprio palcoscenico in cui si svolge l’accadimento.
Il prologo ci introduce alla nostra condizione di lettori:
“Gli occhi di Ahmed…
Oh… gli occhi di Ahmed.
Mi potrei perdere, lì dentro.
Lo vorrei.
Davvero.
Se vedeste quel che vedo io, la pensereste come me.
Se vedeste quel che vede lui, vorreste essere lui.
Senza scherzi, eh?
Con tutte le magagne del caso.
E non serve il sottoscritto per convincervi di quanto sia capiente la valigia che le contiene.
Perché in fondo la vita è guardare. (…)
Guardare è immaginare.
Che sia quel che l’occhio effettivamente intercetti o piuttosto quel che presuma di aver visto, visione o delirio, realtà tangibile o illusione, ciò che conta è quel che la mente proietta sul nostro schermo personale.
Il nostro magico monitor a infinite dimensioni e altrettanti pollici.
Non v’è differenza.
Non ce ne è mai stata.
E mai ce ne sarà.
Questa è la più grande fortuna di chi racconta storie.
E di chi le ascolta.
Con speranza nel cuore.”
Poco dopo Ramakeele esporrà il suo piano che:
“Ci permetterà di salvarci, tutti. Dalla fame e dalla sete, dalla guerra e dall’odio. Soprattutto dalla stupidità del cuore e dalla cecità dell’immaginazione”
Fu esattamente in quell’istante che Ahmed si voltò e vide entrare nella stanza i grandi.
C’erano mamma e papà, i genitori degli altri bambini, lo zio più simpatico e quello più odioso. C’era tutto il mondo, il suo, ad ascoltare.
Ramakeele sembrava non accorgersi che il pubblico fosse notevolmente cresciuto, sia di numero che d’età. Non battè ciglio e la voce non accennò a variazioni di tono alcuna. Che dire, fu evidente che non fosse una novizia delle scene.
‘Il mio piano cambierà la nostra vita perché la salverà e questa è l’unica cosa che davvero conti. Sopravvivere. Vale la pena, sopravvivere. Lo dico davvero. Possiamo ancora farlo. Insieme, solo insieme, però.’
Tutta la famiglia si prepara al viaggio, è interessante la rappresentazione dei pericoli che i migranti possono incontrare, ci sono adulti e bambini che insieme celebrano il rito della partenza:
“ ‘Bevete la pozione’ dice la vecchia ai presenti dopo aver dato un sorso lei stessa alla capiente coppa, tutti seduti in terra, uniti in un indissolubile cerchio.
‘Ma è solo acqua’ osserva Bikila dopo aver obbedito
‘Sbagliato-si affretta a contraddirlo lei- l’acqua non è mai solo acqua e lo vedrai’ (…)
“La coppa compie il giro abbastanza rapidamente, rallenta nelle mani di Tinochika, che esita perplesso prima di bere, ma poi riprende la velocità iniziale e torna nelle mani di Ramakeele.
‘Ora chiudete gli occhi’ fa quest’ultima abbassando le palpebre.
‘L’acqua quell’acqua è magica. Sentitela correre dentro di voi, abbandonate la prigione del cranio e tuffatevi, bagnatevi e rinfrescatevi, mostratele i vostri segreti, accoglietela come si è donata a voi, con fiducia, con cieca fiducia. Noi sopravvivremo, perché non offenderemo l’occhio. Lo inganneremo, sì. Lo tranquillizzeremo, certo. E ci nasconderemo a lui, lo ammetto. Ma sopravvivremo. Vedrete quel che siete nell’immagine riflessa, nello sguardo dell’ospite e soprattutto nella sua indotta ospitalità. Vedrete quel che eravate solo in chi sa e rammenta. Noi, unicamente noi. Gli altri, tutti gli altri, vedranno quel che vorranno vedere. E magari, sebbene distratti da una maschera, riusciranno ad apprezzare l’essenziale.’”
Sono parole che preparano la partenza e descrivono la consapevolezza necessaria per sostenere difficoltà e trasformazioni. del viaggio E sono parole molto diverse da quelle che ci trasmettono continuamente i media sui migranti. Così si snodano riflessioni e interrogativi sull’esperienza che stanno vivendo,
“ ‘come fa’’-chiese Kereeditsa ‘a far cosa?’ rispose Ramekeele seduta accanto alla prima, fissando entrambe l’uomo della nave (…)Per i più il cosiddetto scafista.
‘A far questo, a portare noi e tornare indietro e poi portare altri e altri ancora, a meno che non anneghi o peggio’
‘peggio arrivare e poi morire dopo, molto dopo, non prima di aver sofferto inutilmente’
‘La sofferenza non è mai inutile’ osservò la vecchia
‘Solo noi possiamo darle un senso o meno’
‘Sarà ma quell’uomo, come fa a vivere così?’.
Anche i personaggi del romanzo si interrogano sui migranti, proprio come noi, e forse ci è più difficile considerare ciò che l’autore racconta di Ramakeele che è guida per tutto il gruppo, che segnala il da farsi e la posizione da tenere, come quando afferma:”La sofferenza non è mai inutile, solo noi possiamo darle un senso o meno”. Interessante è poi la preparazione di tutto il gruppo e delle diverse trasformazioni che affronteranno i componenti una volta stabilitisi nell’appartamento del condominio, dai nomi in italiano alle notizie sulla loro vita precedente, alle regole sull’educazione per i bambini che vanno a scuola, a quelle sul lavoro.
Ci sarà anche il primo giorno di lavoro per le due donne del nucleo Ramakeele e Kereeditse
“ la mattina del primo giorno di lavoro nella nuova casa della vecchia gente Chiara, alias Kereeditse, spaccò il minuto (…) Aveva seguito il consiglio di Bikila il quale osserva che l’inizio di un rapporto è fondamentale”. Lì autore ci descrive anche il clima della famiglia ospitante:
“ In casa Fiori erano tutti molto agitati tranne Matteo. La sera precedente ne avevano riparlato, nonostante la proposta di Teresa fosse stata accolta subito con favore. Trovarsi al lavoro, a scuola o in qualsiasi altro luogo e al contempo sapere Matteo al sicuro, era importante, ma con l’idea di Teresa era un’altra immagine confortante. Il ragazzo speciale non era solo. Sarebbe stata la prima volta che un estraneo avrebbe riempito quel vuoto in loro vece e la sera prima Sara aveva sollevato qualche dubbio comprensibile in effetti.”
Continuando la lettura si entra sempre più nelle vicende riguardanti gli incontri fra migranti e residenti. Il condominio che abitano si trasforma in un contenitore di umanità a volte dolente, altre volte sorridente e comunque sempre reale grazie alla concretezza delle preoccupazioni vissute.
Le relazioni si fanno più frequenti e intense e producono cambiamenti dapprima impercettibili poi sempre più nitidi.
“ Il ragazzo aveva dimenticato per quasi un intero giorno, aveva rimosso il significato del vedere, a casa Mariti.
Quelli.
‘Di chi stai parlando?’ mentì Tommaso
‘ I negri, i negri che stanno di fronte.’
Pazzo.
Meglio pazzo che qualsiasi altra spiegazione.
Il paradiso è in una parola.
Come l’inferno.
Negri
‘Ma sono solo dei bambini, papà…’
La pozione magica comincia a non funzionare più, il papà di Tommaso usa la parola negri e il clima cambia, c’è sospetto, contrapposizione…si vede in un altro modo. Sono molti i perché che ci suscita questo libro, per esempio chissà cosa vediamo noi quando i nostri occhi incontrano le foto dei migranti?…Ora non posso accennare alla conclusione e al ritmo accelerato che percorre la seconda parte del romanzo perché la sorpresa è tale da richiedere il rispetto per la curiosità dei lettori, a cui auguro piacevole lettura!