abito una ferita sacra
abito antenati immaginari
abito un volere oscuro
abito un lungo silenzio
abito una sete irrimediabile
abito un viaggio di mille anni
abito una guerra di trecent’anni
abito un culto abbandonato
tra bulbo e derivato abito lo spazio trascurato
abito del basalto non una colata
ma della lava il mascheretto
che risale la valle e va spedito
e brucia tutte le moschee
m’adatto quanto posso a questa manifestazione
d’una versione del paradiso fallita assurdamente
— è ben peggiore d’un inferno —
abito di quando in quando una delle mie piaghe
ogni minuto cambio appartamento
e la quiete mi sgomenta
vortice di fuoco
ascidio senza pari di polveri
di mondi dispersi
vulcano che ha già sputato le interiora d’acqua viva
io resto coi miei pani di parole e i miei minerali
segreti
abito quindi un pensiero vasto
ma il più delle volte preferisco relegarmi
nella più piccola delle mie idee
oppure abito una formula magica
le prime parole soltanto
che il resto è dimenticato
abito l’aggrumarsi
abito il disfarsi
abito il lembo d’un gran disastro
abito più spesso la mammella più arida
del picco più scarno —la lupa di queste nubi—
abito l’areola delle cactacee
abito un gregge di capre che s’attacca al capezzolo
dell’argania più spoglia
a dire il vero non so più il mio indirizzo esatto
batiale o abissale
abito la tana dei polpi
mi batto con un polpo per una tana da polpo
fratello non insista
mucchio di varech
che m’avvinghio come cuscuta
o mi dispiego come porana
è lo stesso
e che il flutto travolga
e che salassi il sole
e che flagelli il vento
gobba tonda del mio nulla
la pressione atmosferica o meglio quella storica
accresce i miei mali a dismisura
anche se rende sontuose alcune delle mie parole
Traduzione dal francese di Giovanna Zunica.
Testo originale tratto da Moi, laminaire, Paris, Éditions du Seuil, prima edizione 1982.
pubblicato in precedenza nella rivista Sagarana n. 45, ottobre 2011.
In lingua originale:
CALENDRIER LAGUNAIRE
j’habite une blessure sacrée
j’habite des ancêtres imaginaires
j’habite un vouloir obscur
j’habite un long silence
j’habite une soif irrémédiable
j’habite un voyage de mille ans
j’habite une guerre de trois cents ans
j’habite un culte désaffecté
entre bulbe et caïeu j’habite l’espace inexploité
j’habite du basalte non une coulée
mais de la lave le mascaret
qui remonte la valleuse à tout allure
et brûle toutes les mosquées
je m’accommode de mon mieux de cet avatar
d’une version du paradis absurdement ratée
— c’est bien pire qu’un enfer —
j’habite de temps en temps une de mes plaies
chaque minute je change d’appartement
et tout paix m’effraie
tourbillon de feu
ascidie comme nulle autre pour poussières
de mondes égarés
ayant craché volcan mes entrailles d’eau vive
je reste avec mes pains de mots et mes minerais
secrets
j’habite donc une vaste pensée
mais le plus souvent je préfère me confiner
dans la plus petite de mes idées
ou bien j’habite une formule magique
les seuls premières mots
tout le reste étant oublié
j’habite l’embâcle
j’habite la débâcle
j’habite le pan d’un grand désastre
j’habite le plus souvent le pis le plus sec
du piton le plus efflanqué — la louve de ces nouages —
j’habite l’auréole des cactacées
j’habite un troupeau de chèvres tirant sur la tétine
de l’arganier le plus désolé
à vrai dire je ne sais plus mon adresse exacte
bathyale ou abyssale
j’habite le trou des poulpes
je me bats avec un poulpe pour un trou de poulpe
frère n’insistez pas
vrac de varech
m’accrochant en cuscute
ou me déployant en porana
c’est tout un
et que le flot roule
et que ventouse le soleil
et que flagelle le vent
ronde bosse de mon néant
la pression atmosphérique ou plutôt l’historique
agrandit démesurément mes maux
même si elle rend somptueux certains de mes mots
Aimé Césaire (1913-2008), poeta, drammaturgo e saggista martinicano, è una figura di spicco della cultura anticolonialista di espressione francese. Nel 1935, assieme all’amico guyanese Léon Gontran Damas, ai senegalesi Léopold Sédar Senghor e Birago Diop e ad altri intellettuali delle colonie francesi, fonda a Parigi la rivista L’Étudiant noir, sulle cui pagine emergerà il concetto di négritude, presa di coscienza e affermazione di un’identità nera. La paternità del termine è attribuita proprio a Césaire. Dopo aver completato gli studi all’École normale supérieure, rientra alla Martinica, dove si dedica all’insegnamento e poi alla politica, continuando a scrivere. Nel 1941 fonda, con altri intellettuali della Martinica, la rivista culturale Tropiques. La produzione letteraria di Aimé Césaire comprende diversi saggi, raccolte di poesia e testi teatrali. Tra le opere più note, il Cahier d’un retour au pays natal (1939), opera poetica in versi liberi, testo fondamentale della négritude; il Discours sur le colonialisme (1955), pamphlet lucido e duro sul colonialismo; Une saison au Congo (1966), opera per il teatro, che mette in scena le responsabilità dell’Occidente nella transizione sanguinosa verso l’indipendenza della Prima Repubblica del Congo; Moi, laminaire (1982), raccolta matura di componimenti poetici dalla quale è tratto il “calendrier lagunaire” qui pubblicato in traduzione. Gli ultimi tre versi del calendrier furono scelti dallo stesso Césaire come epitaffio per la sua tomba.
Foto in evidenza di Melina Piccolo
Foto dell’autore, dal sito New Europe, dal post dedicato al centesimo anniversario della nascita del poeta.
