OFELIA E GLI SBIRRI RAFFAELLITI – POESIE DI JONATHAN RIZZO

6. Premio Pino Pascali, Fabrizio Plessi, 2014_ph Michele Roppo
ANCORA ESSERE UMANO
La fila scorre lentamente
il mutismo serpeggia tra le gente
pezzi di legno in fiamme le vetrine spente,
la polizia ovunque,
i tossici con la mano questuante
vuota fra l’umanità latente.
Il cielo plumbeo quasi cadente.
Nelle case televisioni accese accarezzano menti lente.
Le strade grigio asfalto desolante.
L’ultimo uomo morente
ruba l’istante,
fermo immagine, brindisi lacrimevole scheggiato sofferente.
Non ci sono spine fra le rime
nelle rose divise
dalle nostre sciocchezze noiose,
povere umane minute cose.
La fila scorre lentamente
come la vita brace a cui rifiuto di prendere fuoco nella parte.
Mi siedo in mezzo al giardino serenamente,
cintura e bretelle
tra l’erba e le nuvole
briciole sorelle teneramente.
Le pantere mi circondano iene.
Pericolo pubblico numero zero
all’ordine civile,
l’ultimo scemo che si crede ancora un essere umano.

 

LA STAGIONE DEL LIMONE

Caldo profumo dal violino delle cicale.

Dolce sudore tagliente l’afa
ricorda l’estate
circonda l’oasi d’ambra,
ombra a firma gialla
tra i rami foglia
e l’agrumeto in festa.

L’umanità ha perso un anno della sua vita,
pulviscolo nell’universo.

Leggi della biochimica impallidiscono
in controluce alla ragnatela lucida
nella fisica che cigola
al vento scirocco
Mediterraneo figlio.

Giallo, intenso giallo nelle mani,
pepita rugosa, perla della terra.

Un uomo ricco s’addormenta
sotto una montagna d’oro.

Le tasche vuote nelle scarpe scalze.

I limoni crescono grandi in questa stagione.

Sogna la libertà vestita in giallo
roteante la sua gonna leggera
fidanzata da balera.

Sogna e russa rugosa.

La nuova estate è alle porte,
ed i limoni crescono bene questa stagione.

===

Le ombre sul mare

La barca
come ricordo dell’anima
rimane
abbandonata sul mare.

La luna specchio
di lontane lampare
in leggere tessute vele
e piccole perdute stelle
eco a luci lontane.

Ad affogare
in tenue pioggerelle
vibrano fiammelle,
lacrime od onde.

L’uomo ed il mare,
io e Baudelaire
il silenzio che urla
senza fiatare
e poi sfiora
la pelle col sale.

Ma non puoi toccare
le ombre sul mare.

===

 

OFELIA

Solo scarafaggi e farfalle
per le strade denudate,
poliziotti e tossici.

Non ho documenti in regola
da mostrarti, blatta succhia sangue.

Spesso inciampo nelle ali colorate dal buco facile.

“Hai un Euro per il parcheggio?”,
chiede ogni volta che incontra
qualche persona còlta per il corso.

Difficile parcheggiarsi le vene di questi tempi.

Aspiro fuori dalle tasche gli ultimi due pezzi
di lanuggine da 50 rubacchiati negli angoli
di qualche casa per bene di cui avrò
già perso le chiavi
a cercarle domani.

Li regalo con sorriso divertito
come fosse legatura di un fiocco ingiallito.

Dieci metri dopo ripete la stessa scena a memoria,
copione scarno
al mio ricordo stelo appassito
tra le sue dita, tessuto infeltrito.

I colori delle ali s’incendiano
in un piccolo fuoco vuoto
come buco sul braccio incrostato
al riparo da un parcheggio lungo fiume
in cui farsi trascinare strenuo dorso.

Mia dolce Ofelia
dall’ago scheggiato,
quelli sbirri raffaelliti
non s’interessano dei tuoi spiccioli foracchiati.

A loro basta azzoppare il cavallo
di chi nuda passeggi contro il lume soleggiato.

In una catastrofe nucleare
il succo di scarafaggio
è l’unico a mantenere
il suo tradizionale sapore.

Malinconico cammino fino al capolinea d’orizzonte
e poi niente,
per oggi ho concluso
la mia piccola ribellione.

Due monete di finto oro
seminate per Ofelia
nel terreno paralinfatico dell’ultimo viaggio,
quello senza senso oltre
il ponte dove
le giacche blu non hanno
giurisdizione.

Neanche fantasmi annoiati
sprecano loro talenti
con questa nostra lenta sciarada
da mestieranti
stesi davanti
ai letti correnti.

La fine, il suo fiume nelle vene
trascinandola via a prezzo equo,
questo mio triste spento
sorriso
a basso costo.

===

E LA PRIMAVERA TRIONFAVA

Le persone corrono,
le stagioni passeggiano.

Azzoppati a guardarsi piedi infagottati
negli specchi vitrei occhi d’uomini in frantumi.

Fermi per un turno
a tirare i dadi in prigione
contro il muro.

Giocatore raro, non perde mai una mano.

La tartaruga più antica del mondo
fresca come il segreto del tempo
si rigenera in fiore
nel farsi seme giallo
sul terreno smosso
e senza chiedere il permesso
al parassita intossicato,
pedone dal sole a scacchi,
ad ogni batter di ciglia
rende il mondo un piccolo vicolo ad imbuto
nel giallo che si fa intenso schizzo per i matti.

Solo iettatori prìncipi sugli scudi
di quei giorni scuri
privi di princìpi di cui discuti
se te ne curi,
nei loro occhiali neri
rimanevano immuni
alla primavera che trionfava col fare dei puri
nei suoi sorrisi leggeri,
nei suoi profumi sicuri.

Non è chiesto al mondo di essere dei duri,
indi per cui sorridi sciocco che dissimuli la testardia dei muli
spacciando per fiori i tuoi inciampi insicuri.

Lo vedi il cielo che non ha bisogno di te?

Il profumo del mare ad un passo
non ti può spaventare,
richiamo alto nel piano basso
del paio bianco di gabbiano benedizione alare.

Le chiese chiuse sotto le campane vuote
fanno delle nostre preghiere
suore sole dalle mute parole.

Strade deserte di uomini anime perse
e cinguettii corrosivi sui rami arcobaleni.

Abbiamo chiuso gli occhi,
abbiamo ascoltato,
abbiamo solo sognato.

Le persone rallentano,
le stagioni le oltrepassano,
e già il dolce tepore va sbocciando
mentre la primavera trionfava.

==

GLI ULTIMI SONO LIBERI

L’importante è suonare la chitarra alla finestra.

Il brivido di una diretta
dalla pelle sbiadita
con amici e parenti in contemporanea
ad annullarsi negli specchi riflessi.

Uno vale uno,
lo zero è un cerchio perfetto,
ma dove dormirà stanotte
e quelle a venire
il mio amico barbone,
il figlio del meno
con le stelle in mano
senza tetto ai piedi
da cui farsi opprimere
mentre giro il gioco di chiavi
e mi metto al sicuro
dal contagio più scuro,
la peste nera da cui mi curo
isolandomi da ogni uomo,
esiliandomi dall’amore vero.

Il tuo ossimoro da cane pulcioso libero in volo.

Puro,
io in prigione e tu figlio del suolo.

Per quante precauzioni m’imponiate
la mia invidia in fiamme sogna
di stringere al petto
la sua pustolosa carne
senza domicilio, carte né scarpe.

Invece di starmene
al sicuro in panciolle dandogli le spalle
come voi brava gente
a rimuginare fieno nelle stalle,
protetti dal ricordo benedetto delle stelle.

==

LA TREGUA

Terso cielo benedetto,
calamita degli occhi tornati
a cercare angeli sfuggenti,
ma dalla scia ancestrale
riconosciuta primavera.

Calamità benigna,
la cattività vi ha reso tutti più buoni.

So che non durerà la tregua,
ma stanotte mentendo
mi addormento nel silenzio sorridendo.

Zucchero a velo sul conto salato.

Domani,
domani pagherò.

Quante ombre formarsi
nel contorcersi dei desideri.

Nel rogo delle paure
riesco a leggere immobile
la lezione da imparare
sul fiore sbocciato pel cadavere
dell’ultimo amore instabile.

La tregua
nel ricordo di quel suo profumo biondo
incendio a queste parole,
ebbrezza rimasta sfumatura scolorita
tra la punteggiatura giallastra
della pagina voltata.

C’est nuit Zen, Amen.

Companero foto 2

JONATHAN RIZZO Parole e voce, corpo ed anima. Un animale apolide. Radici nel salmastro mediterraneo del Principato elbano, studi storici nel Granducato toscano e palestra di vita sui boulevard parigini. Un gran bastardo senza casa, col cuore lasciato in ostaggio in un paradiso perduto chissà dove nella tradizione dei portatori di luce. Ospite con disonore della nuova antologia di poeti fiorentini, “Affluenti”, edizioni Ensemble Roma 2016, ed autore unico dei romanzi folli “L’Illusione parigina” edizioni Porto Seguro Firenze, 2016; ed “Eternamente Errando Errando” edizioni LaSignoria Firenze, 2017. Ed infine uscito nell’autunno del 2018 la silloge poetica “La Giovinezza” per l’edizioni Ensemble di Roma. Nel 2019 vince il premio poetico “Le Parole nel Cassetto” edito dal caffè letterario de Le Murate di Firenze.  Poeta senza casa, lo potreste trovare in qualche bettola a leggere le sue poesie disperate con l’accompagnamento musicale dei soliti galeotti delle 7 note col progetto di poesia e musica “Jhonnysbar (Nuova gestione)”.

Bucolico Bukowski - foto 1

 Foto in evidenza: Premio Pino Pascali, Fabrizio Plessi, 2014, foto di Michele Roppo, Fondazione Pino Pascali

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

Pagina archivio del macchinista