Quando in una parte del mondo si verificano eventi ‘spartiacque”‘ è importante che se ne colgano i segni e che si aiuti quello spazio, che “inferno non è” per dirla con Calvino, per quanto piccolo esso possa apparire, innaffiandolo, curandolo per aiutarlo a crescere e sperare che ‘sconfini’ in altre parti del mondo seminando cambiamento. I fatti di Ayala e la risposta popolare in Messico a un anno da quella tragica notte costituiscono un tale spartiacque e siamo lieti, in questo numero zero de “La macchina sognante”, di accogliere poesie, saggi, reportage e immagini che ci aiutino a capire la portata del fenomeno, le ricadute letterarie, etc. per fare in modo che anche noi possiamo aiutare a coltivare. In questa sede ci preme ricordare il ruolo della letteratura nel sostenere la resistenza, compresa la militanza del noto poeta messicano Javier Sicilia, divenuto organizzatore dal basso dopo la morte del figlio ucciso, insieme ad altri 5 giovani, dai cartelli per la sua attività giornalistica di denuncia http://www.aduc.it/notizia/narcoguerra+famoso+poeta+contro+narcos_122517.php . Ricordiamo anche l’articolo scritto dalla redazione nel numero 43 della rivista Sagarana, dell’aprile 2011, in occasione dell’omicidio o feminicidio a Ciudad Juarez della poeta Susana Chavez, http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=292 accompagnato da 5 sue poesie nella traduzione di Silvia Campilongo http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=319. L’articolo di Sagarana si conclude con un riferimento alla trasfigurazione letteraria della città di confine, Ciudad Juarez, “Un altro autore che è rimasto affascinato dalla città e ne ha fatto un uso paradigmatico nel suo romanzo postumo 2666 è lo scrittore di origine cilena Roberto Bolaño che ha trascorso lunghi anni in Messico. Seguendo l’esempio di Conrad di Cuore di tenebra e del regista Fred Ford Coppola in Apocalipse Now, Roberto Bolaño ha cercato di descrivere l’orrore nascosto dell’epoca della globalizzazione partendo dalla loro manifestazione paradigmatica nella città di Santa Teresa (che adombra la Ciudad Juarez di oggi il Congo di Conrad e il Vietnam di Coppola). Bolaño stesso indicò che il suo romanzo aveva un centro fisico e un centro occulto: il primo è Ciudad Juarez dove convergono tutte le storie mentre del secondo lo scrittore ha solo lasciato piste. Tra gli altri libri sull’argomento, “Huesos en el desierto” (“Ossa nel deserto”) di Sergio González Rodríguez del 2006. Anche il cinema ha cercato di trattare il tema della città forse in maniera più naturalistica con il film Bordertown (2007) con Jennifer Lopez e Antonio Banderas, sostenuto dalla campagna di Amnesty International contro i delitti della città messicana.
Quest’immagine descrive meglio di tante parole l’ottimo risultato raggiunto dalle mobilitazioni lanciate dai familiari delle vittime a un anno dalla strage di Iguala e dalla sparizione forzata dei 43 normalisti di Ayotzinapa. Un risultato non scontato, considerato il costante sforzo messo in atto in questi mesi da governo e disinformazione main-stream per spegnere il fuoco dell’indignazione popolare attraverso depistaggi, insabbiamenti e criminalizzazioni.
Sotto un cielo plumbeo ed una pioggia insistente, un corteo moltitudinario ha sfilato sabato per oltre sei ore lungo le strade della capitale a sostegno delle esigenze del comitato di genitori e compagni degli studenti della Normale Isidro Burgos, il quale, oltre a verità, giustizia e restituzione in vita dei desaparecidos, esige anche il giusto castigo per le autorità, le quali hanno cercato di ingannare il Paese con la costruzione di una verità ufficiale risultata poi essere nient’altro che una macchinazione che aveva l’unico scopo di chiudere il caso e frenare la protesta.
Aperta dai familiari delle vittime e caratterizzata da un’importante presenza giovanile, la manifestazione è partita dopo mezzogiorno dalla residenza presidenziale de Los Pinos ed ha visto la partecipazione di oltre centomila persone giunte nel Districto Federal da tutta la Repubblica. Centinaia di organizzazioni hanno contribuito al successo della mobilitazione: dai sindacati di docenti, elettricisti e minatori, agli studenti universitari e medi, passando per storiche realtà di lotta come il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di San Salvador Atenco o le diverse comunità aderenti al Congreso Nacional Indígena. Dall’imponente spezzone delle scuole normali rurali, a quello rumoroso e battagliero dei collettivi femministi, dagli aderenti alla Sexta zapatista alle realtà LGBT fino ad arrivare alle comunità religiose popolari. Importante, infine, la partecipazione di singoli non organizzati e famiglie, nonché l’attivismo di artisti e musicisti, i quali hanno accompagnato la protesta con canzoni, balli, poesie e performance di vario tipo.
Durante gli interventi finali, i portavoce del comitato hanno ringraziato le persone solidali in Messico e nel mondo, sottolineando che la battaglia iniziata ad Ayotzinapa deve trasformarsi in una lotta per la trasformazione del Paese. Come sostiene Vidulfo Rosales, avvocato dei familiari, le mobilitazioni nell’ambito della Giornata dell’Indignazione non sono servite solo per commemorare i 6 morti della strage e per denunciare le responsabilità delle autorità, “ma anche per chiedere giustizia per gli oltre 25 mila desaparecidos del Paese” e sostenere le comunità che si battono per difendere terra e territorio contro mega-progetti e grandi opere.