Parlare di maschere teatrali in un ambiente carcerario è quantomeno emblematico e inusuale. É accaduto alla Casa di Reclusione di Padova di proporre, per due anni consecutivi, una problematica culturale nell’ambito del Progetto Carcere promosso dal Settore agli Interventi Sociali che normalmente é di appannaggio del mondo del teatro a della cultura: “La maschera ed il teatro”. Sperimentazione questa che ha condotto gli operatori del Centro Maschere e Strutture Gestuali e del Teatro del Sole di Milano in meandri didattici di difficile realizzazione. Gli incontri ebbero inizio nella Sala cinema con la proiezione, in sequenza, di immagini riguardanti l’uso delle maschere rituali delle più caratteristiche civiltà dei vari Paesi del mondo con il commento dal vive sui significati e sulle tecniche di costruzione una scorsa panoramica da oriente all’occidente spaziando sui significati tribali e sulle tecnologie d’uso della maschera etnologica rituale. Ciò mi diede l’occasione di sondare le reazioni dei partecipanti al corso mettendomi in grado di valutare le possibilità creative da mettere a frutto durante il laboratorio, cercando di instillare una serie di stimolazioni creative che potessero permettere ai detenuti di utilizzare un linguaggio di comunicazione visiva per poter esternare le urgenze e le istanze del loro stato. La maschera, strumento di comunicazione usata da quando esiste l’uomo sin dalla preistoria e che accompagna le civiltà di tutto il mondo, entra oggi in un contesto diverso popolato da esseri diversi per convenzione. Ed è a questo punto che entra a far parte del gioco un testo, una serie di scritti poetici e canzoni realizzate da un detenuto del carcere di Padova. “NON BASTA DIRE”, titolo dell’opera di Alberto Todeschini. Parla della vita carceraria mettendo in evidenza aspetti e problematiche interne dal lento trascorrere del tempo al sesso, dal rapporto con gli altri alla propria identità. Il testo, coadiuvato da brani musicali, che presenta anche varie figure, dal giudice alla vittima, dalla guardia carceraria al carcerato, viene preso in esame e discusso in accesi dibattiti tra tutti e quindici i detenuti partecipanti e la prova più impegnativa è stata quella di dare ai personaggi una precisa identità scenica, un volto,. una maschera. La maschera ha trovato una nuova energia prendendo forma e identità attraverso il lavoro interpretativo del suo stesso creatore, in questo modo il gruppo ha potuto comunicare ad altri le amarezze, i rancori, i pensieri e le sensazioni con cui affronta quotidianamente il proprio stato di emarginazione, disegni, bozzetti hanno impegnato gli operatori ed i componenti del Centro Maschere e Strutture Gestuali oltre a me stesso, lo scenografo Paolo Trombetta, la mia compagna e architetto Paola Piizzi e il maestro Giuliano Pirani in un faticoso lavoro di ricostruzioni fisionomiche attraverso moltissimi elaborati grafici a penna, acquarello, china ed acrilici, tempere e matite. Un successivo lavoro di selezione ha permesso la scelta dei personaggi che dovevano essere animati durante lo spettacolo. Procedemmo, quindi, con la realizzazione dei calchi in gesso dei volti di coloro che dovevano indossare le maschere. Dalle forme ottenute in gesso o creta si plasmavano modificazioni e deformazioni fino a raggiungere le caratterizzazioni dei “tipi” definitivi. Il poco tempo a disposizione, le distrazioni e le frequenti interruzioni dal lavoro (la “conta” dei detenuti, la verifica dei materiali ritenuti pericolosi, ecc.) cominciò a creare una febbre produttiva dovuta al timore di non riuscire a concludere le opere ed approntarle per il successivo uso teatrale. Si chiese, allora, il permesso di continuare il lavoro durante tempo di riposo o ricreazione nelle celle per recuperare i tempi morti. Rapidamente, in un sempre crescente fervore, realizzammo i calchi negativi delle maschere finite e elaborammo questi con la cartapesta (unico materiale concesso dalla direzione). Pennelli, colle, carta, stucchi e colori furono i materiali che accompagnarono, le veglie notturne dei carcerati.. Gli ultimi giorni furono frenetici e, finalmente, le maschere furono pronte per affrontare l’animazione teatrale condotta da Felice Picco e Claudio Raimondo coordinatori del Teatro del Sole di Milano. Questo fatto costituisce una novità ed un perfezionamento rispetto all’attività svolta l’anno precedente in cui la maschera realizzata rimaneva esclusivamente oggetto scenico senza l’apporto vitalizzante dell’interpretazione teatrale. Con i pochi e poveri mezzi a disposizione, con le difficoltà di impostare un “gesto” teatrale in chi dí teatro era a digiuno, con l’esigenza di sostituire la scenografia con suggerimenti estetici che mettessero in moto tanta e tanta fantasia da parte del pubblico, lo spettacolo prende forma. Si intrecciano gli interventi, si accavallano azioni sceniche e brani musicali e recitati, comincia a profilarsi quella che viene chiamata “tensione drammatica” ed è un trionfo quando viene presentata l’anteprima all’interno del carcere. Il pubblico “interno”, ma soprattutto “l’esterno”, fu coinvolto non solo dalla spettacolarità, ma sopratutto dall’intensità dei messaggi in un luogo dove, per convenzione, le parole restano chiuse tra le inferriate.
Padova 1990
Donato Sartori:, noto scultore padovano, apprende le prime nozioni artistico-culturali. Alla scomparsa del padre l’attività artistica si divide tra la carriera di scultore e la ricerca sulla maschera teatrale. A Parigi nel ’68, prende contatto con Pierre Restany, creatore del Noveau Realisme, conosce Cesar, Tinguely, Christo ed inizia una nuova ricerca stilistica affrancandosi da quella paterna. Contemporaneamente collabora con i più rappresentativi gruppi di teatro e registi d’avanguardia come il Bread and Puppet, Kantor, Peter Brook, Odin Teatret di Eugenio Barba, con la scuola di Lecoq e Dario Fo. In Oriente raccoglie i consensi di grandi famiglie di teatro quali quelle balinesi, il Teatro Nô (Hideo Kanze) e Kyogen (famiglia Nomura) in Giappone, l’Opera di Pechino in Cina (Ma-Ke)…Nel ’79 fonda con Paola Piizzi e Paolo Trombetta il Centro Maschere e Strutture Gestuali e assieme realizza seminari laboratorio, spettacolazioni ed esposizioni in tutto il mondo:Biennale di Venezia, San Paolo, Rio de Janeiro, Parigi, Londra, Tokyo, Mosca…Dal 2002 insegna Storia della Maschera all’Università di Padova dipartimento DAMS. Nel 2005 viene inaugurato il Museo Int. della Maschera Amleto e Donato Sartori con uno spettacolo scritto e creato per l’occasione da Dario Fo e Franca Rame.
Immagine di copertina: Foto dal sito del Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori di Abano Terme.