Vita dell’impiccato, di Pablo Palacio

PMA Exhibition New Grit: Art & Philly Now

Vita dell’impiccato

Pablo Palacio

traduzione di Alice Piccone

Gli Eccentrici, Edizioni Arcoiris, 2021

Prima mattina

di maggio

 

Succede che gli uomini, una volta terminato il giorno, siano soliti congedarsi da parenti e amici, e che, isolandosi in grandi cubi ad hoc, dopo essere rimasti al buio si spoglino, si stendano sulla propria schiena, si coprano con coperte colorate e rimangano lì senza pensare, immobili, ciechi, sordi e muti. Succede anche, generalmente, che questi stessi uomini, trascorso un po’ di tempo, all’improvviso si sentano tornare in vita e inizino a muoversi e a vedere e ad ascoltare, come da lontano. Subito dopo questi stessi uomini, o almeno una minima parte di loro, introducono la propria pelle nell’acqua, sbuffano, rabbrividiscono e fischiettano. Poi nascondono tutto il corpo in stoffe speciali, lasciando fuori solo gli apparati indispensabili per relazionarsi con i propri simili, ed escono dai grandi cubi, con le palpebre gonfie e giallastre.

Ebbene: mi sono svegliato in questo momento. È avvenuto così, all’improvviso, come quando si accende la luce, come quando si spegne la luce. Stendo una gamba, amico mio, e vedo il posto in cui mi sono svegliato. È un cubo simile a quello in cui si svegliano tutti gli uomini. Ci si riesce a vedere a sufficienza. È giorno. È già l’ora di ieri, amico mio. Ogni cosa è al suo posto.

Eppure le palpebre mi si chiudono di nuovo, eppure è già l’ora di ieri.

«Andrés» bisbiglia una voce.

Sussulto. Ascolto. Chi mi ha chiamato? Qui non può esserci altra voce che non sia la mia.

Trattengo il respiro. Mi alzo in punta di piedi, tutti i sensi all’erta. Bisogna dire che in questo cubo c’è qualcosa di pericoloso.

 

Venite, entrate, signore e signori borghesi, signore e signori proletari. Entrate, voi, cacciati via da ogni rifugio, e voi, che siete delusi da tutti. Entrate, voi tutti, compatrioti di questo piccolo Paese. Lei, compatriota obeso; lei, compatriota rachitico; lei, compatriota con il naso a salsiccia; lei, compatriota incipriato; lei, compatriota romantico; lei, compatriota annoiato; lei, lei, lei.

Non abbiate paura di non trovare posto. Venite invece ad ammirare la capienza di questo cubo dai grandi muri lisci e spogli, dove tutto ciò che vi entra si allunga o si accorcia, si gonfia o si restringe, per adattarsi e disporsi al proprio posto come un oggetto di gomma. Guardate, l’obeso compare Tixi ha perso l’enorme pancia per far posto alle sue allegre e buone comari, e guardate come le buone comari hanno sagomato e appiattito il volto felice per non essere d’impaccio al voluminoso deretano di quell’intelligentone stirato come un budello. E guardate com’è schiacciato il venerabile borghese Heliodoro, sembra quasi un povero disegno sul pavimento. Qui, nel cubo, c’è posto per tutti.

Ma venite, entrate a vedere queste e altre cose.

Non volete ascoltare? Siete sordi? Esitate? Forse non vi trasmetto fiducia?

Va bene, non importa.

Vi condurrò qui alla mia maniera e vi rinchiuderò in questo cubo, dove c’è posto per ogni uomo e per ogni cosa.

Volevo spiegarvi che sono un proletario piccolo-borghese che ha trovato un modo per convivere con i borghesi, i borghesi buoni e rispettabili.

Ecco qui, un prodotto delle oscure contraddizioni capitalistiche che sta a metà strada tra il mondo antico e quello nuovo, nel fiato sospeso, nel vuoto che c’è tra la sua stabilità e il suo stesso caos. Anche tu sei lì, ma hai una gran paura di ammetterlo perché uno di questi giorni dovrai fare il salto, e non sai se cadrai da questo o dall’altro lato del vortice. Ma ti stai mostrando a viso aperto, amico mio, nemico della borghesia, tu che ignori da quale parte cadrai dopo il salto.

Però mi rendi già tutto più chiaro: sto vivendo la transizione del mondo. Qui, davanti a me, c’è il rovescio della medaglia, l’altro lato della giustizia, e sempre qui, dentro di me, ci sono tutti i secoli congelati, invecchiati e gravidi. Provo amore per questi secoli; provo amore per questo rovescio.

Mio padre e mia madre sono là e non mi capiscono. Mio padre e mia madre sono i miei principali nemici. La voce non è arrivata loro in tempo, e il tempo che la voce ha impiegato ad arrivare ha interposto un secolo tra noi. Ed ecco che allo stesso momento siamo tanto vicini quanto lontani.

Eh? Forza, da’ fuoco alla miccia, stai ritardando l’equilibrio definitivo del mondo. Poi, davanti agli occhi lucidi di tua madre, fa’ come ti pare. Ma alla fine che importa. Tutti gli ostacoli sono borghesi.

La realtà è che provi pena per la tua mucca e per il tuo maiale. Sei innamorato della tua mucca e del tuo maiale, e in futuro non ti saranno più permesse simili passioni bestiali.

Ascolta, dobbiamo iniziare una nuova vita. Una nuova vita meravigliosa. Dobbiamo eliminare la cravatta e il colletto. Dobbiamo permettere a tutti gli uomini di rivolgersi la parola senza togliersi il cappello. Dobbiamo proibire le genuflessioni e le riverenze. Così potremo guardarci tutti in faccia. Cosa vuoi di più? Cosa potrai perdere in questo modo?

Abbasso, abbasso la borghesia!

Però càlmati, stai diventando pazzo, amico mio. Chiudi il becco e ascolta il piccolo sermone che ho imbastito per infastidirti le orecchie.

Cover eccentrici

Pablo Palacio nasce in Ecuador, a Loja, nel 1906. Ottiene risultati precoci in ambito letterario e partecipa attivamente ai circoli avanguardisti. La sua produzione letteraria si concentra tra il 1927 e il 1932: pubblica sulle testate della capitale i suoi racconti, tra cui «Un hombre muerto a puntapiés» (Un uomo ucciso a calci, Edizioni Arcoiris 2018), titolo dell’omonima e fortunata raccolta, che desta non poco scandalo per l’irriverenza e la novità assoluta dei temi trattati. Il romanzo breve Débora lo consacra al successo letterario alla straordinaria età di ventuno anni. La sua terza e ultima opera, Vida del ahorcado, è di nuovo un romanzo breve. Sebbene la sua carriera sia in costante ascesa, è costretto a ritirarsi a vita privata. Lo scrittore muore nel 1947 in una clinica psichiatrica di Guayaquil, avvolto dall’oscurità come il protagonista di un suo racconto.

 

Estratto pubblicato per gentile concessione della casa editrice.

Immagine in evidenza: Michelle Angela Ortiz, “Arrival and Belonging”, 2021, Installazione Multimediale, Philadelphia Museum of Art, Gallery View.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

Pagina archivio del macchinista