“Verso Fogland” di Maria Donata Villa (Edizioni Minerva 2020) – note di lettura a cura di Bartolomeo Bellanova

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La prima curiosità che ho soddisfatto sfogliando l’interessante raccolta poetica di Maria Donata Villa, è stata di individuare dove si trova precisamente Fogland. Ho scoperto che è c’è una località vicino a Tiverton, nel Devon, sud ovest dell’Inghilterra. La geografica fisica, però, non deve trarci in inganno: Fogland è, per la poetessa, una pluralità di luoghi, di stati d’animo, di sensazioni profonde.  L’intera opera é percorsa dalla concretezza della terra e allo stesso tempo dalla sua trascendenza: la terra della bassa padana, impregnata dalla nebbia che ottunde il paesaggio, ma che fa vedere, per contrasto, con maggiore chiarezza i contorni delle cose quando emergono dalla coltre di vapore acqueo.  Terra che si confonde e si unisce col cielo abitato dai passeri, dagli uccelli, dai pettirossi,  dalla rondine, da un airone bianco, osservati con gli occhi della meraviglia fanciullesca e col disincanto della desolazione della condizione umana, animali alati coi quali intrecciare un fitto colloquio simbolico-esistenziale, come in Santorini / Città del Messico, poesia dedicata al Bill Congdon, pittore dell’espressionismo astratto statunitense (1914-1998): “e quando avrò imparato / i nomi dei passeri e tutti gli altri uccelli /non rimarrà che cielo / nel corpo del verde c’è  più giallo -/ il blu resta d’avanzo / forse i passeri sono / chiamati per nome / da forze preumane.

Terra che si impasta con gli elementi primordiali del fuoco e dell’acqua purificatrice in Avvento: “…dall’incandescenza della terra / dal disaccordo tra il magma e il freddo / in millenni infiniti di pioggia / venite, acque che vi fate respiro / infilatevi dall’aria nel mio corpo carsico / bevete tutto il male…” ,fino ad arrivare al cuore pulsante della raccolta, la lirica Fogland, dedicata dall’autrice al poeta inglese Seamus Heaney (1939 – 2013)  che rappresenta la principale voce intima di ispirazione.  È proprio della poesia il dono di evocare e rimandare ad altre voci senza confini spazio-temporali, come in questi versi tratti da Consinguineità di Heaney che echeggiano in quelli della poetessa:

 “Apparentato da torba
geroglifica su un campo d’erba
alla vittima strangolata,
il nido d’amore tra le felci,
vado tra le origini
come un cane che rigira
sullo zerbino della cucina
le sue memorie d’una landa selvatica:
il fondo della palude trema,
l’acqua ha un fruscio e mormora
mentre discendo tra macchie
di festuca ed erica.

Amo questo volto erboso,
le sue nere incisioni,
I segreti celati
dei processi e dei riti.
Amo la primavera
fuori dalla terra,
ciascun argine un trabocchetto
patibolare, ciascuno specchio d’acqua
l’imboccatura disostruita
di un’urna, bevitore di luna
da non sondare
ad occhio nudo.  …”

cielo nero

E’ questa tensione alla nostra origine terrena dimenticata dagli uomini moderni abitatori di spazi e tempi, umanità dilaniata da un falso progresso assunto come normalità, che percorre la poesia di Maria Donata Villa, come nella lirica L’esclusoper Gino Covilli , pittore nato a Pavullo nel Frignano nel 1918 e morto nel 2005.

Le immagini dei dipinti di Gino Covilli evocate nei versi della poetessa si sottraggono alla storia per entrare nel mito: cicli, cronache, epopee di un mondo selvatico, fatto di terra, animali e uomini compongono il suo cosmo. Sono immagini della vita perduta delle nostre campagne, che emozionano per la concretezza dei tratti delle case e degli alberi e per la carnalità dei volti e dei corpi intenti nello svolgimento di mestieri abbandonati o colti nei momenti di festa, che rimandano alla pittura del più noto Antonio Ligabue (1899 – 1965) e alle figure contadine di alcune tele di Peter Bruegel il Vecchio (1526 – 1569).

La terra di Donata Villa diventa paesaggio interiore e memoria, storia collettiva della nostra specie, oggi in serio pericolo, terra desolata, la “waste land” di T.S. Eliot, che ritroviamo nei versi di Contronatura e de Il contadino nell’epoca in rovina.

Nel poscritto della raccolta l’autrice vuole lasciare i lettori con una speranza che affida a T.S. Eliot dei four quartet: In my end is my beginning, distico mutato dal poeta inglese dalla celebre frase di Maria Stuarda. In ogni fine di qualcosa c’è sempre l’inizio di qualcosa di nuovo, di imperscrutabile. Aggiungo, ancora con Eliot e per completare la circolarità del tempo evocato dai versi, che ogni inizio porta già in sé la sua fine.

Bartolomeo Bellanova

 

Dalla seconda sezione – Fogland

 

Avvento

nel cuore della nebbia che entra

da sotto il tumulto, dagli scuri

risparmiati dalla grandine

ed entra in casa, si fa respiro

accendo una candela bassa dove si mangia

per ricordare che niente passa invano

il fuoco lavora la cera agli angoli

nella nebbia lavo la paura, accetto

l’imperfezione dell’airone, unico

bianco nella grande traversata

verde che fa l’erba a dicembre

nella pianura, prima del gelo

le mani che tremano sono una forma

di dissenso alla distrazione,

una piccola profezia di fiamma

venite, acque che siete nate

dall’incandescenza della terra

dal disaccordo tra il magma e il freddo

in millenni infiniti di pioggia

venite, acque che vi fate respiro

infilatevi dall’aria nel mio corpo carsico

bevete tutto il male, fatene inno

fate del tempio di carne un cembalo

cavate il suono perfetto dalla pietra delle ossa

che digrada, fate memoria

di quando tutto fu formato, schiaffo e gloria

 

Fogland

(un canto di terra e acqua)

per Seamus Heaney

il mio posto di acque chiare

è inchiodato a qualche parte delle ossa

di questa città – i suoi midolli

di grassa pianura neolitica

le volte dorsali di pietra bianca

e mattoni partoriti di acqua e terra

non c’è posto come la nebbia

in cui poter stare come a casa

temporaneamente e in eterno

trovando i più remoti

istinti del ritorno

il mio posto di acque chiare

abita da qualche parte nelle ossa

di questa piccola città – le sue pinne

di distanza cetacea, i suoi midolli

di grassa pianura neolitica

non proprio una prateria, ma comunque

l’orizzonte taglia il sole a metà

al margine più estremo della Bassa

questo è il mare che conosciamo,

in cui scheletri di balena preistorica

furono sepolti sottoterra

dal formarsi del pianeta

non c’è un posto come la nebbia

in cui poter stare come a casa

temporaneamente e attraverso il tempo

trovando istinti del ritorno

così, al mattino, quando mi sveglio,

se non riesci a promettermi salvezza,

almeno dammi occhi per percorrere le terre

le betulle troveranno

un arco sopra le teste

un punto nel tempo

dove tutto ha avuto inizio

 

Dalla terza sezione – Sotto traccia (canti d’inverno)

 

 Contro natura

la menta si è tramutata in ortica

il maggiociondolo lascia cadere semi avvelenati

i tetti antichi delle case

sono divorati dal bosco

siamo anche noi una forma animale

benché fornita di riparo per la notte

nel tempo del grigio che piomba sul verde

si sente solo il frinire dei grilli

come venisse da sotto la terra

dal regno liquido tra Tartaro e Acheronte

di quando qui non era che mare

e il volo basso delle rondini che si chiamano

per avvisarsi della rovina che viene

 

L’escluso

per Gino Covili

io vi guardo dalla mia zona d’ombra

da questo incedere silenzioso nel giorno;

qui sento il rumore di un mare

alle cui sponde nessuno bagna i piedi

non vedete? c’è un oceano

tra me e i vostri passi, tra tutte le parole

che misurate come guadagno

io vi guardo dal mio confine d’ombra

vedo i buchi neri che avete nella schiena

dove il cuore si rintana tra i vestiti

vi guardo, e non vi passa per la testa stretta

che sorriso lieve mi dia, sotto ai miei stracci,

la presunzione di normalità

non sapete? qui da me il mare

fa capolino ad ogni stanza

e in corridoio si raccolgono conchiglie

e sulla riva ci sono valve vuote da suonare

da cui sono fuggiti muscoli

cardiaci

si sono tutti rifugiati sotto al letto

a risuonare per l’eternità

 

Il contadino nell’epoca in rovina

ho piantato semi di limone

nella terra della nostalgia

li custodisco nell’inverno

non c’è molto che si possa fare

contro il rigore del gelo

quando penetra il nucleo

dell’epoca

siamo nel pieno di un rigore tiepido

vomitato dalla bocca di Dio

un rigore nascosto sotto agli occhi

che si stende sulle palpebre

come un obolo funerario d’argento

ho piantato semi di limone

nella terra della nostalgia

ne verranno frutti aspri

senza la violenza feconda dell’innesto

Mariadonata by Lupe de la Vallina 4

Foto: di Lupe de La Vallina

Biografia –  Mariadonata Villa insegna a Modena, dove vive.

La sua raccolta d’esordio, L’Assedio (Raffaelli 2012) è stata finalista al Premio Carducci.

Il suo lavoro di poeta e traduttrice è stato ospitato su riviste cartacee come ClanDestino, Atelier, versodove, oltre a numerose pubblicazioni on-line, e nell’antologia “Davanti agli occhi c’è un ponte” (Alla chiara fonte, 2013).

Ha tradotto e scritto a proposito di Les Murray, John Burnside, Ewa Chrusciel, Philip Levine, tra gli altri.

La sua nuova raccolta di poesie, Verso Fogland, è stata pubblicata da Minerva nel settembre 2020.

Ha scritto di teatro, arte, fotografia; è stata membro del CdA di Fondazione Fotografia (attualmente FMAV). Ha tradotto i libri Deep Enough for Ivorybills (it. Dai luoghi profondi, Genova 2011) di James Kilgo e Lapsed Agnostic (ibidem, Milano 2012) di John Waters.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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