Terrazza a Vernon è un dipinto realizzato tra il 1920 ed il 1939 dal pittore francese Pierre Bonnard ed è conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.
Per questo dipinto Bonnard ha usato colori caldi e pieni di luce: finestre e terrazze rappresentano per il pittore francese imprescindibili buchi di serratura per guardare il mondo. Esse non hanno la funzione di inscrivere prospetticamente (temporalmente) una rappresentazione sulla tela, ma piuttosto sono degli specchi maculati, cangianti, nei quali il soggetto si disfa e trasfigura in un cromatismo nuovo e sfavillante.
I paesaggi visti dalle finestre e dalla…terrazza sono equivalenti agli infissi o ai vetri, assumono la medesima sostanza cromatica, perché si sono liberati dalle profondità spaziali e temporali: ancora un passo e siamo dinanzi alla assoluta dissoluzione del «soggetto» o alla sua frammentazione in tante individualità.
Un percorso poetico dunque nel quale l’autore diventa i suoi osservatori, il poeta i suoi lettori.
Bonnard fu un perfezionista, originale e maniacale, il suo labor limae era reiterato e instancabile.
Ecco questa sapienza di colori unita alla originalità e maniacalità possono introdurci perfettamente nella personalità e nel mondo poetico di Beppe Salvia.
Beppe Salvia nasce a Potenza nel 10 Ottobre del 1954, secondogenito di Saverio Salvia, vice-intendente di finanza e Nicoletta Liotta, casalinga. Con il fratello Rocco passa un’infanzia spensierata nel capoluogo Lucano. Nel 1970 è irrimediabilmente segnato dalla morte del padre, dovuta a un incidente stradale. Si trasferisce con il resto della famiglia a Roma nel 1971 dedicandosi allo studio dell’entomologia, della scrittura e del disegno. Nel 1979 fonda, insieme ad altri scrittori, la rivista Braci. Collabora a Nuovi Argomenti, Prato pagano e altre riviste. È di questi anni la frequentazione di un gruppo di poeti e scrittori operanti a Roma come Claudio Damiani,Gabriella Sica, Arnaldo Colasanti, Giselda Pontesilli, Marco Lodoli, Gino Scartaghiande, Pietro Tripodo. Muore a Roma il 6 Aprile del 1985. È sepolto a Picerno (Potenza). Escono postumi: Estate (Il Melograno-Abete , Roma 1985), Cuore (cieli celesti) (Rotundo Roma, 1985), ed Elemosine eleusine (Edizioni della Cometa, Roma 1989). Del 2004 è l’antologia , curata da Pasquale Di Palmo, I begli occhi del ladro (Il Ponte del Sale, Rovigo) che raccoglie un’ampia selezione di poesie e prose. Nel 2006 esce, a cura di Flavia Giacomazzi e Emanuele Trevi, Un solitario amore (Fandango libri, Roma). Quest’anno è stato riproposto Cuore nella nuova edizione di Internopoesia curata da Sabrina Stroppa.
Torniamo ora al quadro di Pierre Bonnard e proviamo a leggere questa poesia immaginandoci affacciati su quel terrazzo:
È quasi primavera, io dipingo
già fuori sul terrazzo, tra odori
di mari lontani e queste vicine
piante di odori. La salvia la menta
il basilico e i sedani dipingo
su tele bianche con pochi colori.
Il verde perché son verdi le piante,
e bianco il bianco nulla della tela,
e il rosso dei tramonti su la vela
del cielo che apre un teatro vero
e questi miei pensieri. Io dipingo
la sera quando i tormenti più vivi
accendono il cielo e bruciano il cuore,
e all’alba quando già nulla è la vita.
Qui i versi e le immagini evocate da Beppe Salvia sembrano fare da perfetto contrappunto al quadro di Bonnard tanto da credere che l’una (la tela) sia la descrizione dell’altra (la poesia) e viceversa.
Entrambi i testi – o se preferite i quadri – sembrano essere il risultato di un medesimo processo di crescita: la definizione di uno spazio (il ritaglio di un rotolo di tela; un foglio strappato da un quaderno); la fase estenuante d’impostazione, di ritocco, di revisione, di rilancio cromatico per Bonnard, sillabico per Salvia; la vera e propria decantazione che in alcuni casi poteva durare settimane, mesi o, paradossalmente, non finire mai.
In proposito si narra che Bonnard seguisse i movimenti del custode da una sala all’altra del museo che ospitava le sue tele per intervenire ancora sulle sue opere con un piccolo kit contenente tre tubetti di colore e un pennello.
E non fa riferimento a questo stesso atteggiamento maniacale la ricercatezza delle parole in Beppe Salvia? L’indisponibilità a dichiarare davvero conclusa una poesia in una sua forma chiara e precisa?
C’è infatti nella poesia di Salvia un amore quasi ossessivo per la nitidezza del verso. Per la ricerca del termine non usurato o, per lo meno, restituito al suo uso originario. Ed ecco spiegata la smodata venerazione per la rarità della parola. Una parola mai fine a se stessa ma strumento per raggiungere (tentare di farlo ostinatamente e con disperazione) il senso delle cose. Il cuore.
Come le pennellate di Bonnard i versi di Salvia sono ritmo e gioco; sono versi attenti, distesi sul foglio e luminosi di infiorescenze che appena sbocciate rimandano già all’autunno.
Lui stesso scrive in una pagina, quasi testamentaria, di Elemosine eleusine:
«…in mia vita ho scritto versi di quattro stagioni. inverno fu la prima, e dello scrivere nemico. venne dunque l’estate, d’Elisa Sansovino. e per la primavera un semplice e celeste quadernetto, cieli celesti suo poverissimo titolo. l’autunno ahimè io non l’ho scritto. perché, come per tutta la poesia grande, esso è l’implicito, sta dietro assai a tutti quanti i miei versi, nella mia vita vana».
Beppe Salvia fu conosciuto dal grande pubblico solo dopo la sua morte avvenuta nella vigilia di Pasqua del 1985 dopo un‘ultima occhiata al mondo. In quello stesso anno fu pubblicata una silloge poetica di una giovane poeta, Elisa Sansovino, dal titolo Estate, curata proprio da Beppe Salvia.
La raccolta, poco più di un quadernetto, recava al suo interno una foto della ragazza insieme a tre amiche liceali: il curatore si premurava di informare che la silloge era già stata stampata privatamente nel 1949 in “cinquecento copie, legate in brossura e con la copertina di colore grigio”. Continuando questo gioco di rimandi, Salvia segnalava che nella fotografia, con in prima piano una motoretta e quattro ragazze sedute sul sellino, Elisa era quella con il vestito bianco, la meno carina.
In effetti la raccolta a una prima lettura distratta restituisce la sensazione del diario in versi di un primo amore e, pertanto, la poesia risulta ingenua proprio come quella che ci si può attendere da un ragazzina. Poi, inoltrandosi più attentamente nei testi, si scopre un lessico capace di slanci e ricercatezze che denotano conoscenze ben superiori a quelle di un’adolescente.
Così in quel 1985 si scoprì un po’ alla volta che c’erano già stati altri componimenti poetici di Beppe Salvia sotto eteronimi femminili, come le poesie di Silvia Isola, fatta nascere nel 1962 e pubblicate nella rivista L’oca parlante. E Elisa Sansovino, Silvia Isola e altri eteronimi maschili, a poco a poco, cominciarono a restituire “l’identità” di un vero e nuovo Poeta.
Andrea Zanzotto fu uno dei primi a riconoscere e a definire l’identità di Beppe Salvia :
«…la sua poesia che ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa appunto di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata fra gli uomini e la volontà di prendere contatto con il “cuore” del mondo…[questa poesia] si è fatta subito notare per una straordinaria limpidezza dello spalancarsi di una potenza e di un’unità lirica. Tutto resta preso come in un abbraccio di una sconcertante luce, che da una parte sorregge e dall’altra , però, crea un inquietante sfondo di allontanamento».
Dopo queste parole, le poesie di Estate non solo non sembrano più scritte da una ragazzina di 16 anni ma neanche da un giovane uomo di 10 anni più vecchio di quella ragazzina.
Quelle poesie sembravano davvero essere scritte da un antico poeta cinese che come disse Attilio Bertolucci guardava fuori, una delle sue ultime ore :
la sdraio a strisce piane
è accanto alla vetrata
e a quelle vane bande
colorate posa accanto
smesso un abito sgargiante
bianco
Anche in questi versi ci pare di cogliere una luce di sillabe, e il ritocco maniacale delle parole, della loro disposizione sulla tela , il soggetto – il paesaggio dalla terrazza e nella terrazza – pare lo stesso del quadro di Bonnard: un cielo celeste e un tripudio vegetale che sembra un incendio lontano. Dolcezza e silenzio (autunno) in agguato minaccioso.
Così come nel quadro di Bonnard per i colori, torna anche qui una stessa sapienza per le sillabe, “una più vasta scienza”, agognata come un frutto infantile. È la medesima Arte, lo stesso sguardo sulla crescita naturale di colori e sillabe, di un mondo vasto e libero visto dal terrazzo della nuova casa e il tentativo di coglierlo in ogni dettaglio. E torna quella fatidica impossibilità di contenere tutte le stagioni, quella necessità di dover osare maniacalmente la perfezione riconoscendo, in fondo, che il cuore, è invaso da un segreto, una segregazione (un autunno) che uccide.
Pochi ricordano che Estate terminava con una poesia mancante nella prima edizione del 1949, quella di Elisa Sansovino, una poesia aggiunta da Beppe che nell’ultima occhiata dalla…terrazza duplica il gioco e lo rovescia.
Elisa/Beppe/Saggio Cinese dedica i suoi ultimi versi a un interlocutore lontano, oltre il quadro, oltre la pagina. oltre:
vorrei darti conforto,
ma mi mancasti prima e spesso io
ti cerco invano…
Questi versi versati non importa da chi sembrano diretti ora proprio a chi li ha versati a Chi con suoi colori, con le sue parole e con le sue maschere intendeva nascondere la sua grande poesia alla morte. Riuscendoci.
Giuseppe Ferrara, nato a Napoli, è cresciuto e ha studiato a Potenza. Dopo la maturità conseguita presso il Liceo-Ginnasio “Quinto Orazio Flacco” del capoluogo lucano, si è laureato in Fisica all’ Università di Salerno. Vive e lavora a Ferrara come fisico in un Centro Ricerche privato. Ha pubblicato cinque raccolte di poesia: L’Orizzonte degli eventi (Este Edition, Ferrara 2011); segnicontroversi (Edizioni Kolibris, Ferrara 2013), Appunti di viaggio di un funambolo muto (Tracce, Pescara 2016) e Il Peso e la Grazia (96 rue de- La- Fontaine Edizioni, Follonica 2018); Raccolta Differenziata (InternoLibri , Latiano 2021). È presente in diverse antologie tra le quali I poeti del Duca- Excursus nella poesia contemporanea di Ferrara (Kolibris Edizioni, Ferrara 2013); Riflessi, n°40 (Pagine, Roma 2015); Il mio mandala-Antologia 114 haiku (Collana Cascina Macondo, 2015) e Folate di versi (Paolo Laurita Edizioni, Potenza 2019). Scrive di poesia e altro sul suo blog Il Post Delle Fragole (www.thestrawberrypost.blogspot.it). Collabora con diverse associazioni culturali e lit.blog.