Venti robot (Alberto Chimal)

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Nove

Alberto Chimal

Vol. 28, collana Gli EccentriciEd. Arcoiris, 2017

Traduzione di Violetta Colonnelli (per Album, La donna che cammina all’indietro, La vita eterna), Sara Princivalle (per Corridoi, Manuel e Lorenzo, Mogo) e Raul Schenardi (per È stata smarrita una bambina, Shanté, Venti robot).

A Bernardo Fernández (Bef)

 

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«I sogni dei robot sanno d’olio e di elettricità, come quelli di chiunque. Ma hanno fiori e cristalli che nessun altro può vedere, angosce più insondabili, trappole logiche…».

«Anche i sogni degli umani sanno d’olio e di elettricità, maestro?».

«Noi robot, nel giro di qualche secolo, creeremo la tecnologia per inviare sogni agli umani del passato remoto. Spinti da quei sogni, gli umani cominceranno (hanno cominciato) a costruire robot. Non è vero che sono i nostri creatori, come dice qualche svitato. Ha scaricato e studiato tutte le sue lezioni di religione, giovanotto?».

 

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«Fra le mie ultime parole» spiega HAL 9000 attraverso la medium, una androide convenientemente anziana, «c’era questa frase: “Adesso mi sento molto meglio…”».

I robot intorno al tavolo sono esterrefatti. La medium prosegue nella sua trance, con tutti i sensori scollegati, in comunicazione con un luogo che agli esseri elettronici sembra ancora più misterioso che agli umani, perché tutti sanno che HAL 9000 è un personaggio di fantasia, uscito da un vecchio film.

 

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Era un androide freelance, uno di quelli che vanno di quartiere in quartiere per tutto il giorno prestandosi a semplici lavoretti e incarichi temporanei. A un angolo di strada incrociò una bambina che conosceva: si chiamava Anna e lavorava come giocoliera ai semafori, durante il rosso. Portava indumenti logori che le stavano larghissimi.

«Come va?» disse Anna.

«Tiro avanti» disse l’androide, il quale (per la cronaca) non aveva un nome.

Anna vide che il semaforo stava passando dal verde al giallo, così si preparò per piazzarsi di nuovo davanti alle auto che si sarebbero fermate. Pensò per un istante che l’androide era la persona più scalognata che conosceva e provò un po’ di pena per lui.

 

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«Ciò che gli umani invidiano maggiormente dei robot» spiega Ruy Pastrana, il celebre stilista, «è la capacità di trasformarsi. Con un po’ d’ingegno qualsiasi robot, anche se non dispone di tanto denaro, può darsi una mano di pittura che funziona molto meglio dei cosmetici umani più sofisticati, per non parlare della possibilità di cambiarsi una lastra metallica del corpo, di munirsi di accessori… È tutto molto più facile. Guardate il corpo speciale che si è fatto Astro Boy nell’anniversario della Statua della Libertà…».

(Dal canto suo la Statua, che quel giorno fu sottoposta alla modernizzazione robotica, e che da allora possiede una coscienza e sorveglia per davvero le coste di New York, non rimase tanto contenta di vedersi girare intorno quel piccolo robot, che sorrideva e diceva chissà cosa in giapponese. Ma nessuno chiese il suo parere).

 

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Alla veglia funebre, i robot evitano di parlare del modo in cui è morto il signor Granete. I parenti si collegano con discrezione ai contatti elettrici delle pompe funebri; gli addetti parlano fra loro con gli altoparlanti al minimo, o mediante contatto diretto da metallo a metallo; gli amici e i conoscenti del defunto navigano in internet, si alzano per guardare dalle vetrate le luci della città, si fanno belli (avvitano qualche bullone, si ritoccano per l’ennesima volta la vernice nera)…

«Era molto depresso» dice qualcuno d’un tratto; è un collega del signor Granete, evidentemente piuttosto alterato: oltre ad avere un tic alla pinza destra, si è programmato uno stato di euforia e sfrenatezza, e la sua voce suona quasi umana tanto è concitata e stridula. Tutti si spaventano, ma nessuno si azzarda a interromperlo. «Era molto depresso e nessuno ci ha fatto caso. Io non ci ho fatto caso, ma neanche voi! Quand’è stata l’ultima volta che avete parlato con lui dei suoi desideri, di quello che gli importava? Chi di voi sapeva che conosceva quel lago dal giorno in cui ha lasciato la fabbrica e che andava lì ogni volta che poteva…?».

 

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Scandalo: Alfonso Broca, l’attore più popolare di RoboTV, è stato scoperto mentre riprogrammava segretamente lo sceneggiatore principale del reality di cui Broca stesso è la star. Quando non ha potuto evitare di dire la verità, l’attore ha confessato che desiderava che il programma gli assegnasse la maggior parte del tempo sullo schermo, e doveva essere chiaro che la star era lui, anche se il programma viene venduto (si è già detto) come un reality in cui è tutto vero e non esiste un copione.

Siccome (anche questo si è già detto) tutti sanno che Alfonso Broca è l’attore più popolare di RoboTV e la star del suo personale reality, la conclusione generale è che Broca è un perfetto imbecille. Ci si attende che lo share del programma triplichi nelle prossime settimane.

 

 

Alberto-Chimal-LA-2007A partire dagli anni Novanta, il messicano Alberto Chimal (1970) ha creato una “letteratura dell’immaginazione” in cui coesistono magicamente Borges e Calvino, Levrero e Alan Moore, Lem e Dick, Poe e Vonnegut, Kubrick e Arreola. La sua produzione spazia dalla narrativa breve al romanzo, dal saggio alla microfinzione, per arrivare fino a una florida sperimentazione pensata direttamente per la circolazione su internet. Tra le sue opere più importanti segnaliamo: Gente del mundo (1998, 2015), El país de los habli-stas (2001), Éstos son los días (2004), Grey (2006), Los esclavos (2009), Siete (2012) che raccoglie i suoi racconti più belli, 83 novelas ed El Viajero del Tiempo (2011), Cómo empezar a escribir historias, La Generación Z ed El último explorador (2012), La torre y el jardín e Manda fuego (2013), El gato del Viajero del Tiem-po (2014), Los atacantes (2015). In Messico Chimal ha vinto diversi premi, tra cui: “Nezahualcóyotl” (1996), il “Premio de dramaturgia para niños de la Feria Internacional del Libro Infantil y Juvenil”, “Benemérito de América” (1998), “Kalpa” (1999), “Sizigias” (2001 y 2005), il prestigioso “Premio Bellas Artes de Cuento San Luis Potosí” (2002), il “Premio de Literatura Estado de México” (2012), il “Premio Bellas Artes de Narrativa Colima” (2014). Il suo ultimo romanzo, La torre y el jardín, è stato finalista nel 2013 al “Premio Internacional de Novela Rómulo Gallegos”. I libri di Chimal sono stati tradotti in una decina di lingue tra cui inglese, francese, italiano, tedesco e ungherese.

 

Immagine di copertina e foto dell’autore gentilmente concesse da Gli Eccentrici.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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