“Vedere il mondo con gli occhi della cicogna”, poesie di Azita Ghahreman, trad. di Vida Bardiyaz e Mia Lecomte

ridotto

AZITA GHAHREMAN

 

da

Nagative yek akase dastegiamì / Negativo di una foto di gruppo

 

traduzione di Vida Bardiyaz e Mia Lecomte

 

 

 

BICICLETTA ROSSA

 

Sogno ancora

la mia bicicletta rossa

sulla spiaggia verde dell’estate

i capelli a ombreggiare l’acqua

acini d’uva cospargono i compiti.

 

Crescere era difficile allungarsi

in quell’aria di spine e sassi,

lasciare cadere una ad una le biglie colorate.

 

Sedersi ai margini del vicolo senza un compagno di giochi

con una bicicletta arrugginita in cantina

la foto di una strada verde al muro.

 

 

PRIME PIOGGE DI MAGGIO

 

Meglio occuparsi di se stessi

o tenersi impegnati con ciò che ci dispensa

dalla dura fatica dell’amore:

induce a scavare lungo tunnel ciechi

dietro brevi frasi

a vedere il mondo con gli occhi della cicogna

imparare la lingua delle lucertole

trasformarsi in una formica stordita

che trascina i suoi grossi semi

lungo la linea retta di un muro.

Lasciando come unico guadagno

gli ultimi venti d’autunno

le prime piogge di maggio.

 

 

GLAUCOMA

 

Vennero prima i papaveri

poi le locuste, nell’ora del vento.

Era questa tutta l’infanzia dei tuoi occhi

prima dell’acqua nera, delle spine,

la catena montuosa di Hezar masjed

attraverso fiori folli.

 

Prima se ne andarono i papaveri

poi la nonna e la stanza umida del principe

le foto di Oppenheimer e Patric Lumumba,

la poltrona rossa in svendita dal rigattiere Elias.

 

Passarono gli azzurri foulard a fiori

fisarmoniche e le bandiere del lutto

turchi e curdi,

gli zii con i loro ritratti sul fondo del narghilè,

di spalle mia madre

in prima fila per la preghiera del venerdì,

mio fratello con la milizia Basij.

 

Prima vengono le locuste, poi i papaveri

no! Prima andarono i papaveri

e le locuste…

 

La cavità dell’occhio a riempirsi di neve

le valli così bianche dell’inverno

poi spine e acque nere…

 

 

NEGATIVO DI UNA FOTO DI GRUPPO

 

Sono più giovane in questa fotografia,

più giovane delle frasi false

e della terza persona assente.

 

Sotto la maglia, la gonna, risaltavano le parole.

Come una falena nel bozzolo dell’estate

me ne uscii fuori con destrezza

poeticamente dalle dita

dalle fessure nascoste.

 

Il mio cuore sotto stretta sorveglianza

a due passi da lì, in agguato

sedevo nuda.

Nel buio ero in cerca di un abete spietato

o forse di una corda verde.

Ve lo ricordate di sicuro, Ghazaleh!

 

Sono più giovane in questa fotografia,

il mio corpo più giovane della mia ombra

a compenso sotto la pelle di mia figlia

ciò che non devo scrivere

mi vestì più stretto di mia madre.

Volteggiammo verso le prime nuvole

per afferrare le radici della pioggia

ma nel mio petto ferito a vuoto

dorrà il posto di sette donne.

Ve lo ricordate di sicuro, Nazanin!

 

In quei giorni pazzi più di qualsiasi guerra

giungeva il rumore del silenzio

con parole atterrite

sotto una vecchia coperta militare.

Solo la poesia mi stringeva nell’abbraccio sicuro

quando non balbettava

sull’infanzia, tra le crepe

dietro la S e la G.

Scriveva in codice, grafia raffazzonata

separando l’estate e il livido ramo.

Tra la strada che mi s’attorcigliava al collo

e le parole che si incendiavano nella tua bocca.

 

Non penso che vi ricordiate di me!

 

In questa foto ho scontornato

le ombre con le forbici

ma le tue linee continuano ancora il mondo

la poesia era il regalo di capodanno

l’unico abito che conoscevo bene

e l’amore più bello alle sue spalle

le nostre teste una accanto all’altra.

 

Siamo stranamente giovani in questa foto

“Con deferenza, intima, adagio.

Vostra affezionata, sempre”.

 

In questo negativo a macchie bianche e oscure

restiamo in piedi a figura intera, con il sorriso,

di contro al muro, a fronteggiare il mondo.

 

 

PAROLE

 

Si perde dietro le parole

perché tu la cerchi.

Ti chiama intonando il vento

perché ti volti

invia segnali luminosi,

sbircia tra le frasi

con la maschera

svanisce nel profumo dei gigli

perché tu

brancolando per questo oscuro svio

possa arrivare

fin dopo il ponte traballante

il serpeggiare delle scale bagnate

a bussare ancora alla vecchia porta.

Per trovarmi d’improvviso accanto a te

nelle sembianze di una donna

che non le somiglia per niente.

 

 

LA BARCA CHE MI HA PORTATA

 

Dietro il volto con i tuoi occhi

vecchi nomi stanno svanendo,

immagine accartocciata il sangue

e il vento è un uccello di rame

pare che il deserto m’abbia indossato

come un tessuto.

 

Non sono nuda

le mie parole tra colpi di tosse

la luna spumosa nel bicchiere

a volte si perdono.

 

Questo viaggio mi è stato sempre sulla lingua

e le vene non hanno nascosto nulla alla morte

per tracciare i passi sulla linea sols

l’estate mi aveva rivelato

questa lanugine verde attorno alle dita congelate.

 

A volte mi manca

la barca che mi ha portata qui

qui di fronte alle palpebre dell’inverno

miei testimoni ancora questo vecchio cielo

e una valigia che cela il mio profilo azzurro

 

 

 

Azita-Gahreman (3)

Azita Ghahreman (Mashad, Iran, 1962) è vissuta come esiliata politica in Svezia dal 2006, e ora risiede in Turchia. È autrice di cinque raccolte poetiche: Avazhaaye havva (I canti di Eva, 1991), Tandishaaye paeezi (Le sculture d’autunno, 1995), Faramooshi aine sadei daarad ( L’oblio ha un rituale semplice, 2002), Inja humehaye kalaghast (Qui la periferia dei corvi, 2008), Hipnos dar matab doktor kaligari (Hypnos nello studio del dott. Kaligari, 2012), in parte tradotte in svedese nel 2009 grazie alla collaborazione con Sohrab Rahimi e Christine Carlson. Nel 2013 ha ricevuto il Premio Prince Wilhelm del Pen svedese. La traduzione russa e ucraina dei suoi testi si è guadagnata l’Udmurtia Russian Academy’s Ludvig Nobel Prize nel 2014. Le poesie qui tradotte sono tratte da Nagative yek  akase dastegiamì/ Negative of a Group Photograph, pubblicazione bilingue farsi-inglese (Bloodaxe Books & Poetry Translation Centre, 2018), ha vinto il Warwick Prize for Women in Translation 2019.

 

Immagine in evidenza: Opera grafica di Irene De Matteis.

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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