I desaparecidos dell’Argentina
Nel quartiere di Pompeya,
ciascuno ha un nome e un volto,
Olivia, Jose, Emilio, Oscar, Cecilia, Esperanza…
Lo spazio che abitavano
resta riservato a loro
al tavolo nel lungo corridoio del centro sociale
dove i bambini imparano il tango
e le famiglie si riuniscono per dividere un pasto.
I desaparecidos sono un’ombra una casa sì
e una casa no in tutto il paese:
la sedia vuota nel salotto,
gli spazi tra i lavoratori ai picchetti,
il vuoto tra le braccia di una madre
o l’impronta nel letto accanto all’amante.
Trentamila vuoti continuano il viaggio finale
sul sedile posteriore o nel bagagliaio di Ford Falcon verdi
lanciate a tutta velocità nelle strade buie di Buenos Aires,
Cordoba o Resistencia:
continuano la loro caduta libera dagli elicotteri
nei luccicanti oceani sottostanti;
continuano a gridare nelle celle di tortura
delle fabbriche della morte, all’ESMA,
continuano a scavarsi la fossa in luoghi segreti;
continuano a rifiutare di confessare, o in altri casi,
si arrendono e denunciano la propria madre:
continuano a sentire lo scricchiolio delle ossa e i denti
che battono per la paura;
continuano ad essere inseguiti per vicoli ciechi o
fino alla porta di case in cui non rientreranno mai più
E’ così per i desaparecidos che non spariscono mai:
in Argentina sopravvivono più a lungo dei vivi.
The Disappeared of Argentina
In the barrio of Pompeya,
each one has a name and a face:
Olivia, Jose, Emilio, Oscar, Cecilia, Esperanza…
The space they inhabited
remains reserved for them
around our table in the long hall of the neighborhood center
where children learn the tango
and families gather to share a meal.
The disappeared are a shadow inside every
other house in the country:
the empty chair in the living room,
the gaps in the picket line,
the emptiness between a mother’s arms
or the hollow in the bed beside the lover.
Thirty thousand emptinesses continue their final trip
in the back seats or trunks of green Ford Falcons
barrelling down the dark streets of Buenos Aires,
Cordoba or Resistencia:
They continue to free fall out of helicopters
into the glimmering ocean below;
they continue to scream in the torture cells
of the factories of death and the Military Mechanic’s School;
they continue to dig their own graves in secret locations;
they continue to refuse to confess or, again,
they break down and turn their mothers in;
they continue to feel their bones rattle and teeth
chatter with fear;
they continue to be followed into blind alleys or
up to the doors of homes they’ll never reenter.
That’s the way it is with the disappeared who never disappear:
In Argentina they outlive the living.
Alba nel Panopticon
Aspetta fuori dalla porta nel mattino
e ti segue come una eco, un’ombra,
mentre cammini sui marciapiedi vuoti
lungo le strade piene di rifiuti,
il vento balbetta la sua confessione nelle foglie,
il cielo, silenzioso, con nuvole a mani giunte in preghiera.
Non ti lascerà anche se ogni giorno
vedrai affievolirsi l’evidenza:
un brandello di fumo nell’aria,
una frase che svanisce in una conversazione,
una faccia grigia che passa tra la folla,
ma non puoi ignorare che è lì.
Gridala, allora, alla fine,
la conosci già l’ultima battuta.
(1984, Oakland)
Dawn in the Panopticon
It waits outside the door in the morning
and follows like an echo or a shadow,
as you step along the empty sidewalks
along the littered streets,
the wind stuttering its confession in the leaves,
the sky, silent, with clouds folded in prayer.
It will not leave you though each day
you’ll see evidence of it disappear:
A wisp of smoke in the air,
a phrase fading in a conversation,
a gray face passing in a crowd,
but still you’ll know it’s there.
Shout it out, then, in the end:
you already know the last line.
(1984, Oakland)
Apocalisse a Oakland
La città di infiniti orrori
e sogni come trattati traditi.
Un urlo continuo di strade;
piedi e iarde misurati alla lunghezza di tombe;
la terra con la cicatrice del sasso, cemento e asfalto;
edifici alti ravvetrati per proteggersi dal sole;
un uragano di aria petroleata
che arde ritornando al nero carbone,
un urlo di acciaio,
un vortice di voci
e risa ridotte in lacrime,
riflessi in frammenti di vetro e metallo,
ruscelli e laghi morenti;
un’infinità di vecchie macchine ed edifici abbandonati:
le carcasse di camion, autobus,
mattoni rotti, calcinacci, legno
e resti sparsi di idoli decomposti.
Trovo invitanti le strade che sigillano la città
e le seguo nei freddi labirinti di oro e rifiuti
fino al monumento all’Uomo perduto.
Forse un urlo potrebbe far cadere le mura.
Forse il vuoto che ci arde nel profondo
troverà infine le piume nere del volo,
divenendo uccello che il mondo divora.
Mi svuoto dentro questa notte
un’altra ombra che mette le ali.
(1985 Oakland)
Oakland Apocalypse
The city of endless horrors
and dreams like broken treaties:
A continuous scream of streets;
feet and yards measured in the length of graves;
earth scarred with stone, concrete and asphalt;
tall buildings glassed against sunlight;
a hurricane of oiled air
burning black to carbon,
a howl of steel,
a vortex of voices
and laughter cut to tears,
reflected in shards of metal and glass,
dying streams and lakes;
a plethora of old cars and abandoned buildings;
the wreckage of trucks, buses,
broken bricks, plaster, wood
and the scattered remains of the idols of decay.
Streets, so sealing the city, invite me,
and I follow them into the cold maze of litter and gold,
through the monument to the lost Man.
Maybe a scream would bring the walls down.
Maybe the vacancy burning deep inside us
will at last find the black feathers of flight,
become a bird that will devour this world.
I empty myself into this night,
another shadow growing wings.
(1985, Oakland)
Traduzione italiana di Pina Piccolo, per gentile concessione dell’autore, dalla raccolta Translations from Silence – New and Selected Poems by Clifton Ross, introduzione di Jack Hirschman, Freedom Voices, San Francisco 2009.
Q&A
La domanda perseguita
la risposta solo infastidisce.
Come la faccia di pietra di un dio
che nasconde solo l’inganno di un imbroglione
o la certezza della cortina opaca
che nasconde il Mago di Oz:
le risposte, alla fine,
non sono che deviazioni attorno alle domande:
dov’è finito quel dio,
chiediamo,
e perché il Mago
ci vuole spaventare?
Q&A
The question haunts,
the answer only annoys.
Like the stone face of a god
that hides only a huckster’s fraud,
or the certainty of the opaque curtain
that conceals the wizard of Oz:
answers, in the end,
are only detours around the questions:
Where did the god go,
we ask,
and why does the wizard
want to scare us?
Una volta perso tutto
Una volta perso tutto, proprio tutto
fino all’ultimo bottone e l’ultima briciola
che precipitano di nuovo verso la terra,
ricordati la terra.
Non fummo mai gli dei che pensavamo di essere,
un passo sotto gli angeli alati,
noi, solo una tra le creature
appena emerse da un mare selvaggio
o dal fango o dalla polvere.
Possa la sapienza persa in tutta la nostra conoscenza
essere richiamata quando tutto è perso
che ci sia concesso di salvare la saggezza
che ci salva mentre precipitiamo:
questa terra affamata abbraccia
anche i suoi figli più ostinati,
noi che avevamo dimenticato
e pensavamo di esserci persi.
Once It’s All Lost
Once it’s all lost, everything,
down to the last button and crumb
all tumbling back to earth,
remember the earth.
We were never the gods we thought ourselves to be,
one step beneath the winged angels,
we, always just another creature
recently risen from the wild sea
or the muck or dust.
May that wisdom lost in all our knowledge
then be recalled when all is lost;
may we save the wisdom
that saves us as we fall:
this earth hungrily embraces
even its wayward children,
we who had forgotten
and thought we were lost.
Ombre
Le ombre non hanno nazionalità
ma incrociano il cammino, i venti trasversali,
traversano i mari e le profondità dei canyon,
i deserti senza alberi e le infinite pianure,
incidenti dei tempi, delle guerre e della fame,
sospinte da una sete infinita
verso una qualche oasi remota o porto sicuro
o un posto riparato per emergere
quando la notte offre un tunnel verso nuove terre.
Ma all’altro capo, alla luce del sole,
per noi restano ombre, forme senza parola
che rabbuiano il perimetro delle città,
emarginate nella terra di donne e uomini,
spettri di quel che temiamo di diventare.
Shadows
Shadows have no nationality
but cross paths, cross winds,
cross seas and deep canyons,
treeless deserts and endless plains;
accidents of time, war and hunger,
driven by an infinite thirst
to some distant oasis or safe port
or some sure place to emerge
when night offers a tunnel into new lands.
But on the other side, in sunlight,
they remain to us shadows, speechless
shapes darkening the outer edge of the cities,
outcasts in the land of women and men,
specters of what we fear we might become.
Sitges, 4-5-17
Versi scritti ascoltando Victor Jara
Per Marc Villà
Ascolto un disco rovinato di Victor Jara
e nonostante la distorsione la voce
è chiara come il sole che splende cristallino
dopo giornate di pioggia.
C’è stato un tempo in cui solo
quella voce riusciva a richiamarmi dal vuoto,
in cui amavo le sue parole come un monaco i versetti della Bibbia:
“no creo en nada, sino en el amor de los seres humanos.”
Ora sono solo nel cimitero della mia biblioteca,
eppure il sole scalda la stanza fredda
come la voce del poeta morto mi scalda il cuore,
tanto pieno di disperazione in questa giornata invernale.
Strano come cose fugaci come la musica,
idee scritte su carta e rilegate in un libro,
o l’eco di una voce zittita tanto tempo fa
possano durare più delle pietre, dei sassi, dei proiettili o delle ossa.
Lines Written while Listening to Victor Jara
for Marc Villá
I’m listening to a bad recording of Victor Jara
and even with all the distortion the voice
is clear as the sun shining crystalline
after days of rain.
There was a time when only
this voice could summon me from the void,
when I cherished his words as a monk does a Bible verse:
“no creo en nada, sino en el amor de los seres humanos.”
Now I’m alone in the graveyard of my library,
yet the sun warms the cold room
as the voice of a dead poet warms my heart,
so full of despair this winter day.
Strange how something so transient as music,
ideas written on paper and bound in a book,
or echoes of a voice long silenced,
can outlast stones, rocks, bullets or bones.
per gentile concessione dell’autore, da Poems, poesie inedite del 2017, traduzione di Pina Piccolo.
In questo numero anehe una recensione del documentario di Clifton Ross “In the Shadow of the Revolution” a a cura di Valerio Evangelista apparsa originariamente in Frontiere News http://frontierenews.it/2017/09/documentario-proteste-venezuela-maduro/
Clifton Ross è uno scrittore, poeta, ricercatore, blogger, traduttore e film maker statunitense. Con lunghi anni di attivismo politico e sociale in America Centrale ed America Latina, negli ultimi anno ha concentrato le sue ricerche ed attività filmiche sul Venezuela e le riflessioni sul bolivarismo. Tra i suoi libri più recenti Home from the dark Side of Utopia (2016), The Map or the Territory (2014), Until the Rulers Obey (2014), Apprezzato anche come poeta, nel 2005 ha rappresentato gli Stati unit al Festival Mondiale della poesia del Venezuela. La sua raccolta Translations from Silence (2009), con prefazione din Jack Hirschman, ha vinto il prestigioso Oakland PEN Josephine Miles Award ed è stato tradotto in spagnolo dal ministero della cultura venezuelano.
Foto dell’autore dal suo blog personale.
Immagine in evidenza di Giulio Rimondi, Albissola, Liguria, dall’antologia “Italiana” Kehrer Verlag Heildelberg, Berlin 2016 (vedi galleria fotografica).