A volte i libri sono come le persone, s’incontrano al momento giusto, quando quella sottile vibrazione elettrica che è l’attesa raggiunge la perfetta intensità; così a me è capitato di imbattermi in un bellissimo libro, L’anima al lavoro, di Franco Berardi Bifo, edito da Derive approdi nel febbraio del 2016. Un libro che in realtà cercavo da tempo, c’erano tante domande che non trovavano risposta, e che ancora costituiscono per me una specie di clamoroso punto interrogativo, e questo libro non ha esaurito completamente il ventaglio di ipotesi, tuttavia mi ha regalato una visione nuova, che condivido, che sposo, e che in parte avevo presagito.
Vorrei proporre alla vostra attenzione alcuni brani per me significativi (di seguito in corsivo evidenziato). Il primo riguarda la rivoluzione: sono stato giovane negli anni 70, e come molti della mia generazione ho sognato la rivoluzione! In un certo senso ci abbiamo provato, abbiamo condiviso i grandi sogni di un’epoca che prometteva enormi cambiamenti. Le promesse non sono state mantenute, e anzi si è verificato un rovesciamento dei fronti, il sistema si è apparentemente irrobustito, la classe operaia ha perso la sua centralità, non esistono oppositori, dunque chi farà la rivoluzione ?
“Il movimento anticapitalista del futuro non sarà un movimento dei poveri, ma un movimento dei ricchi. Coloro che saranno capaci di creare forme di consumo autonomo, modelli mentali di riduzione del bisogno, modelli abitativi per la condivisione delle risorse indispensabili saranno i veri ricchi del tempo che viene. Ciò richiede la creazione di ritornelli di ricchezza dissipativa o di ricchezza ascetica o frugale”. –
Si tratta di una visione che mi piace, mi convince, soprattutto che non è semplice modello utopico, nel senso che si può cominciare a lavorare in questa direzione, si può tendere a modelli mentali di riduzione del bisogno, esistono già correnti di pensiero che spingono da questa parte, per esempio il progetto della decrescita felice, come esistono tentativi rivolti alla creazione di forme di consumo autonomo. In questo senso ho trovato illuminante l’esperienza che stanno provando a realizzare Lucia Cupertino e i suoi amici in Colombia. Esistono già comunità che tendono alla condivisione delle risorse indispensabili. Mi piace soprattutto l’idea che sta alla base di questo assunto: che la vera ricchezza è il tempo! Tempo per conoscere, studiare, tempo per viaggiare, per dedicarci a quello che più amiamo, per l’amore e per l’amicizia, per vivere, in definitiva, secondo i nostri desideri. Circola in rete un aforisma di cui ignoro l’autore, ma che tuttavia trovo illuminante: – “Esistono persone così povere, ma così povere che tutto quello che hanno sono i soldi!”. Credo che oggi comincino a essere in molti quelli che si rendono conto di quanta povertà esistenziale comporti il desiderio di accumulare, di possedere, quanto spazio vitale sottragga questo impulso a diventare ricchi di denaro, di beni materiali, a scapito di scelte ben più gratificanti. A questa costrizione sono, siamo, indotti tutti, dall’ultimo dei travet fino agli amministratori delegati delle grandi società, nessuno si sottrae a questo impulso micidiale e suicida. Ma a chi spetta portare la buona novella, dare l’esempio, indicare una possibile via d’uscita?
“Nel modello virtualizzato del semiocapitalismo l’indebitamento ha funzionato come cornice generale dell’investimento, ma al tempo stesso si è trasformato in una gabbia per il desiderio: ha trasformato il desiderio in mancanza, in bisogno, dipendenza che si trascina per tutta la vita. Trovare la via d’uscita da questa dipendenza è un compito politico la cui realizzazione non tocca ai politici. Tocca all’arte, modulatore – orientatore del desiderio e mixer dei flussi libidici, e alla terapia, intesa come rifocalizzazione dell’attenzione e come spostamento degli investimenti dell’energia desiderante”.
Scopro una singolare coincidenza di visione con quanto afferma Flavio Ermini in un piccolo, bellissimo libro di pochi anni fa: Essere il nemico. Discorso sulla via estetica alla liberazione, Ed. Mimesis 2013. Riporto un breve brano tratto da un’intervista all’autore pubblicata su Versante ripido nel numero di luglio 2015:“Ci sono battaglie che ogni individuo deve combattere da solo: sostituire il dono alla vendita, l’onore al lucro, la magia alla religione …”. Pensi che sia iniziato questo cammino? Si scorgono alcuni segnali, ma qual è il passo decisivo da compiere in questa direzione?”
Il dono, l’onore, la magia, il sacro … solo una relazione autentica e aurorale con la natura può far sì che si ritorni a considerare la terra come dimora poetica che dona nutrimento. Nessun altro passo può essere compiuto se prima non abbiamo imparato che la natura non va solo “usata” o “ammirata”. E questo passo può essere compiuto dall’essere umano solo nella misura in cui l’essere umano non si costituisce come puro soggetto del conoscere e dell’agire, ma quando vive profondamente l’esperienza di un accordo naturale con il mondo.
Portare alla parola questo accordo può accelerare il nostro cammino “sulla via estetica alla liberazione”.
Che cosa implica questa nuova assunzione di responsabilità per l’arte? E nello specifico per la poesia, considerato che di poesia ci occupiamo? Non saprei rispondere con precisione, ma credo che vada nella direzione indicata da Roland Barthes nel suo discorso all’Accademia di Francia, quando parlando della letteratura assegnava allo scrittore l’impegno a spostare la lingua più in là, dove non è attesa: “Le energie di liberta che esistono nella letteratura non dipendono dall’individuo civile, dall’impegno politico dello scrittore che, dopo tutto, non è che “uno” tra altri, neppure dal contenuto dottrinale della sua opera, ma dal lavoro di spostamento che egli esercita sulla lingua”.
La lingua obbedisce a precise regole che appaiono funzionali alle direttive del semiocapitalismo, così come definito da Bifo, ingabbiata dentro stereotipi, tic, automatismi; liberare l’energia della lingua significa liberare l’energia del pensiero, guadagnare spazi di libertà.
Ora la poesia non è che una corrente nel vasto mare dell’arte, si dirà che è confinata in una nicchia, che i suoi fruitori sono un numero esiguo. In realtà una indagine statistica commissionata da un editore del sud, Giuseppe Laterza, ha individuato in circa quattro, cinque milioni di persone quella che definisce una “elite senza potere”, lo zoccolo duro dei fruitori di eventi culturali, cioè quelle persone che leggono almeno un libro al mese, frequentano i teatri, i cinema, visitano i musei, le mostre, insomma la parte attiva, curiosa, del nostro paese. Si tratta di numeri assolutamente non marginali. Inoltre dalla esperienza maturata in Versante ripido posso dire che esiste un pubblico della poesia, che legge, si appassiona, si interessa. E aggiungo che tra le arti esiste uno scambio, un reciproco guardarsi con interesse e aspettative. Ricordo per esempio il bellissimo film documentario che la regista Francesca Archibugi ha dedicato al poeta Pierluigi Cappello.
Per concludere una specie di chiamata alle armi, di appello, è necessario spingere perché sia liberato il tempo dalla costrizione del lavoro, perché le persone possano vivere secondo i propri ritmi e i propri desideri.
“La società non ha bisogno di più lavoro, di più posti di lavoro, di più competizione. Al contrario. Abbiamo bisogno di un enorme taglio del tempo di lavoro, una enorme liberazione della vita dalla fabbrica sociale, per poter ricostruire il tessuto della relazione sociale […] Ora abbiamo bisogno di permettere alla popolazione di sviluppare la conoscenza, l’affettività, la creazione, la comunicazione. Questa è la ricchezza di oggi, non l’inutile lavoro compulsivo. Fin quando la maggioranza dell’umanità non sarà libera dal nesso tra reddito e lavoro la miseria e la guerra saranno la regola della relazione sociale”.
Il poeta italiano Paolo Polvani è nato il 1 giugno 1951 a Barletta, dove vive. Ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza all’Universita’ di Bari. E’ socio fondatore dell’associazione culturale autorieditori.com. E’ fondatore e co-direttore della fanzine online Versante Ripido (http://versanteripido.wordpress.com).Si è classificato primo a numerosi, prestigiosi premi letterari nazionali fra i quali: Spiaggia di velluto, Senigallia, 1999; Liberalia città dei sassi, Matera, 2006; Altri segni, Perugia, 2009; Thesaurus, 2012. Ha pubblicato:
Nuvole balene, ed. Antico mercato saraceno, Treviso 1989; La via del pane, ed. Oceano, Sanremo 1998; Giulia, ed. Oceano, Sanremo 1999: queste pubblicazioni sono state il riconoscimento per concorsi letterari della città di Andria. Alfabeto delle pietre, ed. La fenice, Senigallia 1999: questa pubblicazione è stato il riconoscimento del primo premio al concorso Spiaggia di velluto. Trasporti Urbani, ed. Altrimedia, Matera 2006: questa pubblicazione è stato il riconoscimento del primo premio al concorso La città. Compagni di viaggio, ed. Fonema, Perugia 2009: Questa pubblicazione è stato il riconoscimento del primo premio al concorso Altri segni. Gli anni delle donne, ed. del Calatino, 2012: questa pubblicazione è stato il riconoscimento del primo premio al concorso Il retroverso. Un inventario della luce, ed. Helicon, 2013: questa pubblicazione è stato il riconoscimento del primo premio al concorso Thesaurus. Cucine abitabili, Mreditori 2014; Una fame chiara ediz. Terra d’Ulivi 2015.