Un uomo ucciso a calci
Pablo Palacio
Traduzione di Alice Piccone
Gli Eccentrici, Edizioni Arcoiris, 2018
La storiella
Temi di grandissima importanza sociologica o politica sono all’ordine del giorno: la questione del Marocco, i sistemi coloniali francese e spagnolo, il grande problema della finanza, l’identità dell’Europa feudale e dell’America coloniale, la difficile questione della provenienza dei primi abitanti di questo continente, e così via. Ma credo che tra tutti spicchi l’eternamente nuova ed eternamente vecchia faccenda dell’opinione pubblica.
L’opinione pubblica, freno dei governanti e unico timone sicuro per condurre con successo la nave dello Stato! L’opinione pubblica, distruttrice delle consuetudini politiche, delle consuetudini sociali, delle consuetudini religiose!
Supponiamo che esista un uomo sinceramente e totalmente in armonia con l’opinione pubblica. Supponiamo poi che si chiami Francisco o Manuel e che sia di mezza età, né grasso né magro, né barbuto né sbarbato.
Che sia bassino, con le borse sotto gli occhi, e indossi un tight e un odioso cappello.
Supponiamo che cammini lentamente, brandendo un bastone e muovendo i fianchi.
Scapolone annoiato, avrà un’amica già amica di tutti, conquistata con la forza dell’abitudine, una donna che un qualsiasi altro perditempo potrebbe chiamare con un:
«Pss. Pss… (ecc.)».
Quest’amica – Laura o Judith – avrà un naso qualunque – facciamo conto aquilino –, un qualunque colore di capelli – cannella –, un qualunque colore di occhi – scuri –, e sarà smilza e vogliosa.
Abiterà all’inizio di una strada sporca.
Avrà amiche molto allegre con cui trascorrere dei momenti vivaci, con cui saltare da una storiella a un pettegolezzo come un cavallo in una pozza che schizza fango su un vestito nuovo.
Il piccolo sociologo, oh meraviglia, andrà due volte a settimana all’inizio della strada nota e si aggirerà davanti alla porta, guardando agitato da tutte le parti e cercando di evitare brutti incontri. Quando le lancerà un sassolino alla finestra, lei farà cigolare i vetri e gli risponderà con la rabbia negli occhi.
Naturalmente lei dovrà divertirsi nonostante la presenza di lui, perché con lui non è possibile divertirsi.
E poiché il sociologo non avrà un cattivo intuito, e come al solito non saprà cosa dire, tossirà un po’ alterato.
«Senti, Laura – o Judith –, credo che qui ci sia stato qualcun altro. Dimmi di chi è quella cicca».
Lei lo annienterà con il silenzio.
Allora anche il sociologo, sbigottito, dovrà tacere per un attimo.
Dopo quell’attimo:
«Dai, Laura – o Judith –, non fare così. Sembra che io ti stia chiedendo… per carità. Ieri sera eri con uno dei miei amici, me l’ha raccontato lui, senza sapere che poi…».
Grande reazione:
«Vattene, animale: non sopporto più le tue porcherie. Se te ne esci di nuovo con queste cose, ti spacco la testa!».
Pensiero:
“Se questa donna mi spacca la testa, che cosa dirà l’opinione pubblica?”.
Pablo Palacio nasce in Ecuador, a Loja, nel 1906. Ottiene risultati precoci in ambito letterario e partecipa attivamente ai circoli avanguardisti. La sua produzione letteraria si concentra tra il 1927 e il 1932: pubblica sulle testate della capitale i suoi racconti, tra cui «Un hombre muerto a puntapiés» (Un uomo ucciso a calci, Edizioni Arcoiris 2018), titolo dell’omonima e fortunata raccolta, che desta non poco scandalo per l’irriverenza e la novità assoluta dei temi trattati. Il romanzo breve Débora lo consacra al successo letterario alla straordinaria età di ventuno anni. La sua terza e ultima opera, Vida del ahorcado, è di nuovo un romanzo breve. Sebbene la sua carriera sia in costante ascesa, è costretto a ritirarsi a vita privata. Lo scrittore muore nel 1947 in una clinica psichiatrica di Guayaquil, avvolto dall’oscurità come il protagonista di un suo racconto.
Immagine in evidenza: Collage di Basseck Mankabu.