LAMEZIA TERME – Scrivere di Corrado Alvaro non è facile, nella maniera in cui non è facile riuscire ad afferrare l’enorme quantità di dati forniti dalla sua lettura, eppure è un lavoro affascinante, al termine del quale l’anima riposa e si inquieta al tempo stesso. “Un treno nel Sud” di Corrado Alvaro, è il libro curato da Vito Teti, inserito nella sua collana “Che ci faccio qui” per i tipi della Rubbettino, la casa editrice che negli ultimi tempi ha rappresentato il boom dell’editoria calabrese con scoperte letterarie fra le più interessanti. Un treno nel Sud, di Corrado Alvaro, è una ripresa, lunga circa mezzo secolo, perché come scrive Teti nelle prime righe di una prefazione attenta e fortemente poetica:
“Ci sono libri che conservi sparsi e spersi qui e là, che non apri mai o che non trovi quando li cerchi. Ce ne sono pochi altri, invece, che occupano posti segreti e speciali, dove vai a colpo sicuro, consapevole di trovare ogni volta qualcosa di nuovo. Un treno nel Sud di Corrado Alvaro appartiene per me a questa seconda lista: un testo con cui mi ritrovo spesso a dialogare”.
C’è un rapporto d’amore, in questo treno, come si evince dall’immagine sentimentale in copertina, curata da Salvatore Piermarini. L’amore dei figli verso le madri, l’amore delle madri verso i figli, l’amore e l’odio verso la propria terra, un viaggio d’amore fatto di andate e ritorni, consapevoli oggi più che mai. La figura di Alvaro, giunge nell’immaginario collettivo come avvolta da uno sguardo penetrante, occhi scuri, tipica faccia greca, e un’accattivante storia, o più storie, da scoprire e ri-scoprire. Alvaro è il miglior interprete della Calabria, per gli italiani e per l’Europea, tutta, e affiora fra le più importanti personalità del mondo della letteratura del ‘900. I calabresi lo sanno, ma continuano a circoscriverlo in spazi tratteggiati, per timore, per gelosia, o per indifferenza, quel tipo di indifferenza di cui, all’epoca di Alvaro, molti uomini amavano circondarsi, e con cui ancora oggi molti giovani continuano a tenere il passo. Perché succede, per restare coerenti alle mille sfumature che contraddicono le terre di Calabria, che in molte scuole calabresi non si conosce affatto lo scrittore Corrado Alvaro, molti docenti non lo nominano neanche, mentre di contro numerosi scrittori contemporanei fanno a gara per entrare a far parte dell’eredità di Alvaro, alcuni politici chiedono finanziamenti per investire in cultura col suo nome insieme a quello di molti altri e così via discorrendo…Insomma sono tante le strumentalizzazioni in atto ma lui continua a sorprendere.
Un treno nel Sud, che nella sua prima edizione concludeva l’Itinerario italiano di Corrado Alvaro, tratta della parte d’Italia più familiare all’Autore, più vicina alla sua sostanza d’uomo, il Sud con la sua particolare civiltà, i suoi complicati problemi sociali, il suo dramma antico e nuovo. Lo scrittore ci fa vedere quanto d’indecifrabile, d’inesplorato, di mitologico si nasconde sotto la patina delle tradizioni e dei pregiudizi. Queste interpretazioni, sempre ricche di richiami autobiografici, quando non ricorrono alla forma diretta dell’inchiesta giornalistica di alto livello, si stendono nell’evocazione narrativa che ricorda i temi veraci del romanziere o si allargano a una specie di ermeneutica della vita e del costume meridionale dove parole, cose e persone acquistano una evidenza rivelatrice, conferendo a queste indagini un valore di testimonianza storica. Tutto, intorno al lettore muta da un momento all’altro. Lettore ch’è seduto accanto ad Alvaro, nello stesso scompartimento di un treno di terza classe, e guardano entrambi da un finestrino scoperto da una tenda per metà. Oltre quella tenda c’è un attraverso del mare, delle colline, dei monti, delle terre di Calabria, ma anche c’è anche Benevento, Napoli, ci sono sussulti di madri del Sud, dietro il finestrino, c’è la dignità e la fierezza dei visi delle donne di Bagnara, ci sono donne accanto a rosai, madri e figlie, donne che lavorano nei campi d’ulivi, ci sono padri che danno in schiavitù i propri figli, come il mercato dei ‘gualani’, che quando li vendono ai proprietari terrieri non guardano in faccia i figli neanche per un saluto, eppure c’è qualcosa in quel silenzio, codardo o umiliato, martoriato dalla fame che fa da cornice a scenari terrificanti. Succede che, nel viaggio, il treno si ferma a volte all’improvviso, e il lettore rimane incredulo assai rispetto l’attualità che Alvaro trasmette dal passato al presente. Ci sono frasi, periodi, che alla mente risuonano familiari, ci sono immagini inedite che però il lettore ha già visto, forse tante volte, non ricorda bene dove e quando ma n’è sicuro: l’ha viste o sentite.
Nessuno come Alvaro riesce a mettere in evidenza, attraverso più metafore, i contrasti, gli eccessi, l’arretratezza e le bellezze del Sud. È un viaggio fatto per ritornare, quello intrapreso da Alvaro, che permette al lettore di avere tra le mani una cartina geografica dell’Italia unita, fra regioni diverse e problemi tutti uguali. Quasi come a testimoniare tanti Sud del mondo. Un viaggio che, come scrive Vito Teti, racconta un nostos nell’universo di origine da cui Alvaro era andato via nell’ottobre 1915 per poi compiere rari e brevi ritorni per trovare i familiari. In questa cartina geografica, Alvaro restituisce uno sguardo dall’interno oltre che dall’esterno, parla dunque di alterità, e così l’osservato ribalta il punto di vista dell’osservatore. Quel suo mondo d’origine, mondo tradizionale, non si contrappone mai al mondo moderno e cerca in tali due facce della stessa medaglia una continuità fatta di memoria, elimina pregiudizi e scetticismi, dà una sensazione di riconciliazione. Un senso di pace fra mondo dei figli e mondo dei padri, una pace che pare ancora oggi non stringersi mai perché le mani sono troppo deboli. È la fuga, il grande tema letterario, il filone principale da cui muove il racconto narrativo e giornalistico insieme di Corrado Alvaro. Ne “Un treno del Sud” come in altri suoi precedenti lavori. Si intravedono i movimenti e i mutamenti, le trasformazioni seguite all’unificazione nazionale, di una terra divisa fra la mobilità, la fuga verso le pianure, le marine, e l’emigrazione, quale elemento di disperazione ma anche indice di libertà. L’immagine suggestiva che Alvaro ci consegna, scrive ancora Vito Teti, è quella “d’una primitiva tribù che abbandona una terra inospite”. Ci sono figure inquiete ed erranti nei suoi romanzi, in fuga dal luogo natio e sempre altrove. E poi c’è la fuga compiuta stando fermi. Questo il punto più alto toccato dalla sua letteratura. Uno sguardo, il suo, che permette un viaggio nuovo, inimmaginabile, un dinamismo, essenziale, per chi sta fermo in un posto, in un ufficio o dietro uno sportello. Quindi Alvaro parla di Sud del mondo, per far comprendere quanto l’Italia faccia parte di questo enorme Sud, e di come il Sud d’Italia sarebbe lo specchio della cattiva coscienza nazionale. Ma spesso, quella cattiva coscienza è il riflesso degli stessi calabresi. Allora lo sguardo si allarga e si rimpicciolisce, scava, entra dentro, sviscera, pulisce. Il riflesso dei loro stessi pregiudizi. Come la leggenda del dolce far niente. “Per una facilmente spiegabile psicologia collettiva, ogni gruppo etnico ama trovare nel suo vicino i difetti che gli piacciono di più; e che in definitiva lo seducono con un misto di disistima ostentata e di larvata invidia. Il peggiore servizio che potremmo rendere a questo libro – conclude Vito Teti – è quello di scorgervi un meridione intrappolato in una dimensione senza tempo. Di usarlo per trasformare il Sud nella sua metafisica. Significherebbe imprigionare Alvaro in una concezione astorica e ingenuamente mitica”.
Non resta, dunque, che conoscerlo Alvaro, studiarlo e farlo studiare nelle scuole, se si intende davvero provare a leggere il presente di una terra bellissima ma ancora troppo povera, se si vuole capovolgere prospettive e ansie rispetto al futuro, occorre, e questo lo si può fare attraverso Alvaro, re-inventarsi. In una regione in movimento, che continua a sfarinarsi, tra crolli, macerie, problematiche antiche, e tra movimenti di umori e sentimenti, antropologie, con la fame di oggi in aggiunta a quella di domani, lo sguardo critico di Alvaro serve a destare ancora meraviglia, stupore, prende le distanze dal pessimismo fine a se stesso, e accelera ad occhi con cui intraprendere nuovi interessanti viaggi. L’altrove di Alvaro non ha limiti, non ha confini, ed è fatto di una bellezza selvaggia, come i suoi panorami d’origine che intravede dai finestrini di un treno tra un flash-back improvviso. Ma nelle gallerie dei soliti binari è ancora possibile avvistare un déjà-vu e sogni, brillanti come le stelle. Perfetta unione di malinconia, nostalgia e speranza, luce. Perché regala, ancora, Alvaro, una fantasia che accarezza la realtà, lontana da illusioni ma vicina a tutte le cose che hanno a che fare col cuore, con la verità.
Per gentile concessione dell’autrice.
Valeria D’Agostino è nata e cresciuta a Lamezia Terme, ha 29 anni, i suoi studi sono giuridici ma attualmente è laletteratura ad essere al centro di ogni cosa. Corrispondente per un giornale locale, blogger del Collettivo Manifest, vicepresidente di Scenari Visibili, si occupa di teatro contemporaneo, dove ne cura aspetti comunicativi ma svolge anche attività laboratoriali.
Foto in evidenza a cura di Teri Allen Piccolo.
Foto dell’autrice a cura di Valeria D’Agostino.