Paolo Gera “L’ora prima” (Edizioni Rossopietra, Modena 2017)
si trasforma in lupo per avere contatti
e cadere ululante nella rete visualizzato un milione di volte
ha mangiato carne umana a più riprese
a chi lo riprendeva ha mostrato il lato fotogenico
un selfie coi denti insanguinati
ora i commenti si dividono come l’acqua del mar Rosso
se debba astenersi otto anni
per riprendere il suo volto da uomo di successo
se rendere più razionali e raffinati quei morsi inferti a caso
in un sistema di tubi dove scorrano liberi
i cloruri il curaro il pentobarbithal
addomesticare la morte del lupo in una fine da cani
comunque seguitissima
il re era convinto lo riprendessero in giro
lo mettessero in mezzo con una candid camera
ho sempre vissuto sul chi vive
ho ballato il limbo come una bestia tremula e aggressiva
nutrito dalla diffidenza ho svolto un training pesante
di sollevamento maschere
ho ideato brillanti controscherzi per smerdare il regista
e palette giganti per schiacciare le papere
ora ululo solitario nella sala del trono
I like Licaone
che cucinasti carne di bambino
per smascherare un dio
*
appena arrivata in città
senza nessuna protezione
tutto ammesso e concesso
orientale cubana foresta de’ noantri
tutta completa settima di seno
tutta piena di buchi pronti all’uso
o se lo vuoi senza penetralia
tutta liscia che non fa una piega
senza una bocca per stabilire un prezzo
oppure gola profonda
esperta nel risucchio e nella confessione
davanti ad una webcam
purpurea e digitale
lato b disponibile
anche in pieno centro
puoi montarmi da dietro
lo puoi mettere in conto
messa a novanta ti messaggerò
col prossimo cliente
con mia figlia appena laureata
con la mia amica di Tallin o di Cracovia
puoi montarmi come una nuvola di panna
o rincorrermi nei vicoli d’Europa
tutto scoperto caro
tutto provato e risaputo
tutta esaurita la ginnastica dolce
tutto raccontato
tutto archiviato
tutto banca dato
le misure enormi dell’uccello
che rapì Ganimede
la circonferenza splendente
da cui Dafne fuggiva
i portenti di Zeus trasformato in mandingo in toro in pornostar
i teenager stuprati risarciti con un posto da barista
le ragazze violentate nel bosco
le ciocche dei capelli strappate appena morte
portate via dalla scena del crimine e usate per l’arrosto
e la pioggia di soldi a concludere in bellezza
i soldi gli euro i dollari
le dracme in mucchi inflazionistici
il profumo dei soldi
cento duecento rose
il potenziale erotico
la borsa tutta gonfia
l’orgia da record nella Bundesbank
tutto
tutto
tutto questo sesso
trasformato in poesia
*
Quando disilluso chinerai il tuo bianco capo
e nelle ossa trafitte dal tempo
il cumulo degli anni, l’umidità dell’aria
sentirai forte, non abbandonarti
e non paralizzarti in stanche consuetudini.
Non lasciare la guida della vita
a medici e badanti e alla pietà dei figli,
prima che il male ti divori a pezzi
e i tuoi pensieri in frammenti confusi
non siano più incollati dal gioco dei ricordi,
prima che t’abbia un funereo ospedale
e una lungodegenza preludio della fine
offra il tuo corpo a cure vergognose,
non chiedere alla macchina un residuo respiro.
Gli ultimi giorni donali alla lotta,
con le forze rimaste fuggi da te lontano
sulla mappa del mondo cerca guerra
per diritti soppressi, per libertà violate,
accanto ai campesinos costruisci recinti,
sali le barricate con i curdi
e spiani le tue rughe il vento dell’azione
che spira sull’assalto e la difesa;
non uccider nessuno, ma protesta e urla forte,
per scudo offri il tuo corpo ai ragazzi più esposti
che da anziano morire combattendo,
falcidiato insieme a mille giovani
è scelta dignitosa ed onorata.
Non chiuderai i tuoi occhi sui giorni ormai perduti,
ma il carro della luce ti porterà all’Altrove.
————————————————————————————————————————
Paolo Gera da “Poesie per Recaptcha”, di prossima pubblicazione da Oedipus, Salerno.
Filottete
Ridevano al gioco del mimo.
Io silenzioso di solito,
ero il più bravo a creare figure dal nulla,
a muovere le mani, a marciare sul posto.
Chi ero?
Parlavo poco, ma tutti mi cercavano
per le mie battute acute come frecce.
Scambiavano cazzate con bicchieri di vino
e mi volevano bene, se voler bene
era starmi vicino
e stringermi le spalle con il braccio robusto.
– Non è ancora arrivato -, dicevano smarriti
e subito chiamavano per dirmi di arrivare.
Adesso tra i compagni io sono conosciuto
come quello che puzza e urla di dolore.
Nessuna transizione.
Dal silenzio al lamento incessante.
– Su, non fare così -, dicono.
E io posso tapparmi la bocca,
ma la piaga anche a fasciarla stretta non può stare zitta
e impesta l’aria con tutto il suo marciume.
Mi sopportano e basta: su una barca non c’è spazio.
Tutti mi evitano e se salutano
lo fanno mani sulle orecchie e turandosi il naso,
sporgendosi sul mare, cercando il salmastro.
È una terribile cosa da niente che non mi fa morire
e mi ricorda agli altri come scandalo.
Non bei tempi andati, non fiori sulla tomba.
Chi ero?
Io mi trascino e ora troverei tante parole più sensate,
invece devo urlare.
Alla fine non ne possono più e mi rinchiudono in un faro.
Ma anche tutti gli altri hanno rotto
e circondano se stessi di stanze e segnali.
L’urlo, la puzza, la distanza.
Forse è un nuovo tempo e io l’ho inaugurato.
Ognuno combatte da solo per farsi bello
e dimostrarsi più eroico.
Si circonda di scudi metallici
che riflettono le luci della casa.
Io solo urlo e la mia piaga spurga solitudine.
Gli altri anche se soli si fingono coinvolti.
Mi mandano messaggi alla prigione,
non vedendomi in faccia mi ricordano comico.
Richieste di amicizia, come se mai ci fossimo abbracciati.
Chiedono frecciate per vincere un concorso,
– tu che sei bravo… -,
dove per scherzo si abbattono le mura
e si dà fuoco ai vecchi per strada.
La strada di sotto
Prima di entrare, a fondo mi pungo un dito.
Seguendo a ritroso le gocce di sangue
ritroverò l’uscita.
Ho spento lo smartphone
perché il Minotauro legge i messaggi
e ad ogni vibrazione inarca le corna, lo zoccolo scalpita.
Dov’è lo splendore degli ori?
Labirinto è ammasso di macerie:
a stento riconosco un tracciato,
i sentieri devo riprendere
salendo su muri crollati ed intonaci a pezzi.
Ringhiere contorte, vetri infranti, lamiere esplose
fiancheggiano il duro cammino.
Dov’è il mio nemico?
Il centro: un cratere di bomba ed un minion bruciato.
Intorno solo distesa devastata dove l’occhio arriva.
Voglio tornare.
Le stille versate si sono confuse: il sangue degli altri,
fresco ancora sui viali, ha ricoperto il ritorno.
Perduto.
Scavo, sprofondo, trovo i morti:
una bambina sepolta mi dice la strada di sotto.
Paolo Gera nasce a Novi Ligure il 1959. Si laurea in Lettere Moderne all’Università di Genova con Edoardo Sanguineti. E’ insegnante, scrittore, autore e regista teatrale. Con sue opere ha partecipato a importanti eventi come il Festival di Santarcangelo e il Festival Filosofia. Nel 2016 pubblica la raccolta di poesie “L’ora prima” (ed.Rossopietra, Modena) e diventa collaboratore on line della rivista letteraria Cartesensibili e della fanzine Versante Ripido.
Nel 2017 è incluso nell’antologia poetica “Il segreto delle fragole” ( Lietocolle), diventa collaboratore de “L’Indice dei libri del mese”, vince con il suo gruppo Teatro della Pozzanghera il premio europeo Tragos per il Teatro e la Drammaturgia ( XIII edizione) ed è tra i vincitori per la sezione Poesia del concorso “Il sapore della ciliegia”, organizzato dal blog letterario “Le stanze di carta”.