Ho conosciuto Julio nel corso del 100 Thousand poets for Change del 2012, pur avendolo poi potuto rivedere solo un paio di volte – di lì a poco sarebbe cominciata per me una vita un po’ nomade fuori dall’Italia – ne serbo un caro ricordo per l’umanità e l’acume letterario, oltre alla dedizione per la cura dei rapporti interpersonali, Julio non lasciava mai una mail senza risposta e le risposte venivano sempre dal suo cuore e dalla sua esperienza.
I versi che qui presento sono situati nella cosiddetta “Repubblica unita della soia”, quel territorio tra Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia, che è diventato un laboratorio a cielo aperto – come ha detto recentemente la stessa OMS – nell’uso massivo di un pesticida cancerogeno, il glifosato, nell’agricoltura industriale e produzione di soia transgenica. Un laboratorio che sta rivelando oggi le sue nefaste conseguenze per la salute, generando un cancro che sta invadendo letteralmente l’uomo e il Pianeta.
Questi versi oscillano tra quei luoghi del Sud America, e in particolar modo il Gran Chaco (che ho visitato in un lavoro di campo tra le popolazioni indigene dei wichì) e i luoghi di una società di consumo sopita che tarda a cogliere la portata della catastrofe e a sentirsene parte. Anche un albero molto resistente del Gran Chaco, il lapacho, sembra non farcela più, ma quella che descrivo è solo la realtà che si sta profilando se non interveniamo con alternative. Dunque un canto di glifosato di cui ancora spero potremo invertire la rotta, coltivando la parola e l’azione pacifiche.
I
Abbiamo del marcio dentro,
una vacca cresciuta nella Pampa
macellata a Buenos Aires
impacchettata a Wiesbaden
finisce nel mio stomaco,
allo stesso tempo
della soia transgenica
cresciuta in Brasile
da semi rigorosamente patentati
finisce nello stomaco
di quella vacca pampeana
che non vive più nella Pampa
ma in una stalla della Pampa.
II
In memoria di Silvino Talavera, vittima del glifosato
Un ronzio cala nel cuore,
questa notte non dormo,
non riesco, mi giro e mi rigiro,
il vento agita le palme
e sospinge di qualche metro
una lattina sul cammino,
c’è anche uno zufolio sordo
che non so interpretare.
Il vento agita le palme
e porta un canto di glifosato
a depositarsi sul petto
a cancellarmi il respiro.
III
Con tutti i fili
di ciò che non vuoi o non puoi vedere
intreccerò un maglione
per la tua festa imminente.
Dovrò allora lavorarlo a maglie larghe
con fili giallo soia transgenica
altri fili color terra di veleno
e bordo arricciato di ruspe.
Se vorrai forse ancora
il maglione rosso
rassicurante e sgargiante
senza pieghe, senz’anima,
senza storia se non una per tutti,
se vorrai forse ancora questo
per ballare ai margini del caos
senza mai doverlo penetrare,
io purtroppo non avrò altro regalo
più sincero di questo da darti.
IV
Lei dice avere un sogno,
l’ha confidato agli agenti del Colosso[1],
trasformare la steppa patagonica
in terra coltivata a foraggio e mais,
così ripete entusiasta in una conferenza
in un summit in un’intervista.
Sarà una scacchiera di gialli diversi
ma pressoché simili questa terra,
algida l’anima e ricca solo in erbicidi
il sogno che vorremo sognare?
V
Sono arrivate le fiamme,
alte e superbe ballano
involvendo nella danza case,
draghi piombati
nella notte del Gran Chaco
neutralizzano anche
il resistente lapacho[2],
pedala un wichì[3] in bicicletta
sul bordo della distruzione.
VI
Abbiamo del marcio dentro,
mi palpo e in una fitta
già vedo l’ombra di un timore,
i nostri corpi nudi
si stendono su un lettino di paura
alla luce di un’abat-jour
di urla abortite in proiezione.
Sarà questo il mondo
dell’abbondanza per tutti?
Sarà questo il mondo
delle democrazie d’esportazione?
Sarà questo il mondo
dell’informazione attendibile?
Sarà questo, il mondo?
A lunga o corta scadenza
un’agonia delle cose d’attorno,
un trillo avvisa un’altra, ulteriore
obsolescenza programmata[4].
[1] Mi riferisco a Monsanto ma anche a tante altre multinazionali nel settore agrochimico.
[2] Albero della flora originaria del Gran Chaco, regione geografica divisa tra Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay.
[3] Popolazione indigena nativa della regione del Chaco argentino.
[4] Quella con cui vengono ideati i beni di consumo in circolazione.
LUCIA CUPERTINO(1986), antropologa culturale, poetessa e traduttrice, scrive in italiano e spagnolo e sue poesie sono apparse in riviste quali Fili d’aquilone, Sagarana, La otra, Círculo de poesía, Bitácora pública, Vallejo and company. Ha svolto ricerche universitarie e antropologiche in Italia, Argentina, Messico, Spagna, Germania e Australia. Ha curato l’edizione italiana del documentario brasiliano Flor brilhante e as cicatrizes da pedra sugli indigeni Guarani-Kaiowà. Collabora con Nuovi Argomenti, Fili d’aquilone, Irisnews e La macchina sognante.
Mar di Tasman (Collana Isole, Bologna, 2014) è il suo primo volumetto di poesia.
Poesie presentate all’evento: Tenere accesa La macchina sognante Omaggio a Julio Monteiro Martins – MultiVERSI – 8 aprile 2015 – Bologna.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto dell’autrice a cura di Lucia Cupertino.